Sfogliato da
Categoria: La fabbrica del cinema

Dove tutto può succedere

Dove tutto può succedere

indivisibili_marianna_fontana_angela_fontana_jpg_1400x0_q85

Cinema Vesuviano –  per gli amanti dei cataloghi – in cui il paradosso è un nobile stratagemma, ovvero l’unico modo per raccontare con esattezza una realtà che abitualmente travalica la fantasia.L’unico per non scivolare in uno dei tanti cliché legati al territorio :  dalla necessità che genera comportamenti al limite, al paganesimo del sentimento religioso,all’arte di arrangiarsi. L’universo che vi risiede non è mai troppo facile da definire sebbene il bozzetto –  perfino quello di qualità – imperversi da anni, tingendosi ora di nero,ora di rosa, ora di grottesco.Questo film sfiora tutti questi generi  ma  con la mano felice di chi conosce assai bene la materia e crea una modalità a sé.

 

Ed ecco a noi  l’impresa di Castelvolturno Viola & Desi,  siamesi da baraccone esattamente come le  Violet e Daisy di buona memoria. Freaks dunque, laddove i mostri, in questo caso come nell’altro, non sono certo le indivisibili sorelle neomelodiche (in puro stile Tatangelo prima della cura) per feste, comunioni e processioni a campare la famiglia intera con performances di indiscutibile e locale successo, non si capisce bene se dovuto alla particolarità fisica o al talento.Che tuttavia posseggono, esattamente come le due decise individualità  che vorrebbero esprimere ciascuna per proprio conto, grazie ad un semplice e possibilissimo intervento chirurgico di separazione.Gemelle, sotto questo aspetto,esemplari. Quel che succede al mondo che sta loro intorno a fronte di questa legittima aspirazione è uno dei temi chiave del racconto.

 

Incantevole – in senso stretto – film diretto da chi, come era già successo con Perez e Mozzarella story, aveva già dato prova di abilità nel penetrare ambiti locali e umane debolezze.

 

E pazienza se Desi e Viola non andranno a Los Angeles (anche nella finzione avrebbero voluto…).Forse è più giusto che data la generale indifferenza – quando non l’aperto disprezzo –  sia il racconto dei poveri cristi in mare a parlare di Noi. Vincere stavolta è meno importante. E poi non è detto.

 

Indivisibili è un film di Edoardo De Angelis. Con Marianna Fontana, Angela Fontana, Antonia Truppo, Massimiliano Rossi, Toni Laudadio durata 100 min. – Italia 2016. – Medusa

 

 

oh..

oh..

Oh…  che è il titolo del libro di Philippe Djian da cui è tratto il film è diventato Elle. Tra esclamativo e pronome il passo non sarebbe breve se non ci fosse di mezzo appunto Lei – il personaggio ma anche l’attrice – che tutto monopolizza e su cui tutto s’incentra.

Dunque Elle non a caso, Paul Verhoeven regista molto abile nella trattazione di sentimenti estremi, ambiguità del desiderio e foschi  scenari dati da segreti stratagemmi dell’anima ha voluto il cambio e rimaneggiato la sceneggiatura senza che Djian,partecipe dell’impresa,  se la prendesse a male  Tutti d’accordo dunque anche  Saïd Ben Saïd il lungimirante produttore, per avere trovato un’onorevole  quadra tra un libro di non semplice trasposizione e un film non semplice tout court

Storia di una vittima di stupro che non vuol essere vittima. Michéle subisce violenza in casa propria da parte di un uomo con il volto coperto. Dopo non chiama la polizia ma ordina la cena per telefono. Il come se niente fosse ovviamente è  apparente : cinismo e indifferenza non sono i sentimenti dominanti anche se una storia personale  piuttosto travagliata e un presente da manager inflessibile e di successo con corollario di madre e figlio impossibili, possono deviare l’attenzione dalla volontà d’indagare un sentimento complesso le cui manifestazioni, pur ben descritte, non sono sempre spiegabili.

Incredibile Huppert per la sua capacità di interpretare qualunque personaggio.

Elle è un film con Isabelle HuppertLaurent LafitteAnne ConsignyCharles BerlingVirginie EfiraCast completo Titolo originale: Elle. Genere Drammatico, – Francia2016durata 130 minuti

Quando si dice visione

Quando si dice visione

lav-diazAddentrandovi nelle pieghe della Rassegna Stampa Veneziana  leggerete che The women who left, Leone d’oro 2016, è un film di ben 226 minuti (con uno o più punti esclamativi o puntini di sospensione a piacere)  e che tale perniciosa dilatazione dei tempi,  definita con grande  spreco di aggettivi  acquatici (fluviale, torrenziale etc), concilia il sonno o la fuga dalla sala. Rivendicando  il critico il proprio sacrosanto diritto di spettatore ronfante o fuggitivo, apprenderete così che egli  ne scrive avendo visto, se va bene, il film a metà.

A seguire e per meglio accompagnare la disperazione con straccio delle vesti di Distributori ed Esercenti,  vi sarà anche offerta l’occasione di apprezzare l’expertise  di campioni del box office italiano  i quali, pochissimo tergiversando, concluderanno  che certi premi non aiutano. (altri che non hanno visto ma ne parlano si aggiungono alla fitta schiera)

Infine che The women who left è un film noioso.

Tutto qui? Più o meno

Se non la ritenessi indispensabile mi verrebbe da scrivere lasciate perdere la critica e  andate egualmente a vedere questo film destinando alla visione le aspettative che merita. Oppure che la dicitura completa del Festival continua ad essere Mostra d’arte cinematografica e comunque che il cartellone di quest’anno, ben calibrato tra film noiosi – un nuovo genere? – e rutilanti di hollywoodiana fattura, offriva a noi ampia panoramica sullo stato delle cose cinematografiche nel mondo e, di conseguenza, alla Giuria discreta possibilità di scelta.

Oppure adottando una modalità di argomentazione ironico-paradossale molto in auge, che, in fondo rispetto  alle nove ore di  Death in the Land of Encantos, il regista  Lav  Diaz con questi suoi ultimi duecentoventisei minuti ha finalmente trovato la sintesi.

Invece dirò che per raccontare (mostrando e non spiegando)  la Complessità in contesti di cui così poco sappiamo, la dilatazione del tempo attraverso lunghe inquadrature e i dialoghi ridotti all’osso fanno parte di una scelta artistica  plausibile e sin necessaria all’Idea di Cinema che Lav Diaz ha ben impressa nella mente. E che quando da location per niente accattivanti emerge così immediata la Bellezza, siamo di fronte all’esito di  una lavorazione attenta e  meticolosa  affidata a specialissimi effetti quali l’impiego del bianco e nero, un modo particolare di usare la Luce, una recitazione ineccepibile.Quando si dice un gran mestiere.

Ecco perché una Mostra che si rispetti non può esimersi dal promuovere questo cinema che diversamente, data la scarsezza complessiva dei mezzi ( 75.000 dollari di budget) non troverebbe – e sarebbe un peccato –  cittadinanza nemmeno nei circuiti più segreti e  misteriosi della cinefilia arrembante.

Poi certamente ci sono i gusti ma se la Critica dovesse essere affidata solo a quelli allora tanto varrebbe far scrivere di cinema la Santanché e il suo nuovissimo innamorato Dimitri d’Asburgo – Qualcosa, rincorsi sul red carpet e intervistati sul tema dell’Amore che, manco a dirlo, vince sempre.Roba che manco all’epoca del Conte Volpi.

The women who left è una storia (liberamente tratta da un racconto di Tolstoj Dio vede la verità ma non la rivela subito) di una donna accusata ingiustamente di omicidio che, finalmente riconosciuta innocente, esce dal carcere dopo trent’anni e ritrova un Paese in cui sono rimaste immutate solo violenza e ingiustizia.Temi non inediti della Casualità che soprintende le nostre vite e della umana fragilità sobriamente ed sviluppati in elegante e non fine a se stessa cornice.

Grande prova della protagonista Charo Santos-Concio impegnata a rendere con evidenza il ruolo non semplice di chi è alla ricerca (desiderata e temuta) della vendetta nei confronti del suo accusatore ma anche di una sorta di propria  riedificazione di se stessa vissuta e realizzata attraverso la  solidarietà nei confronti di un’umanità dolente e messa forse peggio di lei. Da vedere con animo sgombro da preconcetti.

 

Dedicato dal regista al popolo filippino per la sua lotta e alla lotta dell’umanità.The women who left è un film di Lav Diaz. Con Charo Santos-Concio, John Lloyd Cruz, Shamaine Buencamino, Nonie Buencamino Titolo originale Ang babaeng humayo. Drammatico, durata 226 min. – Filippine 2016.

 

Grazie per il Mondo Nuovo (e per tutto il resto)

Grazie per il Mondo Nuovo (e per tutto il resto)

il mondo nuovo

Aveva deciso di non realizzare quel film di troppo che scalfisce la carriera ai cineasti più celebrati e per questo aveva smesso di girare. Ma non di esserci e di dire la sua : un bel libro a fumetti illustrato da Ivo Milazzo,un documentario su Fellini,il suo impegno, la sua parola ovunque fossero richiesti.

Leggeremo che come pochi Ettore Scola ha raccontato questo Paese. Molti lo hanno fatto, qualcuno  anche con grande efficacia, mai però  con quella capacità  speciale nel proporre un metodo di lettura che, fuori da ogni sicurezza auto-celebrativa, approdasse alla consapevolezza piena dei nostri limiti. Che poi è forse la chiave per una possibile ripartenza.

Il tema della fine di un’epoca assai presente in molti suoi film  si è rivelato un terreno particolarmente adatto a descrivere le paure,le nostalgie,le amarezze, le speranze, le disillusioni proprie delle fasi di passaggio.Sentimenti che formavano trama e ordito di vicende raccontate  in grande esattezza di contesti  con quel  talento narrativo che nella piccola storia ti lascia intravedere la Storia.

L’intero suo cinema è stato così : il piacere della visione e il divertimento poggiato su solide basi di scrittura e indagine.

Su precise istruzioni dell’Interessato si dovranno tenere a bada gli istinti celebrativi e la Retorica del Caro Estinto ma..il dispiacere è davvero tanto ed è probabile che non ci si riesca.E poi c’è il senso di gratitudine ad essere ulteriormente molesto.Grazie per Elide, per Antonietta, per Luciana, per Adelaide e soprattutto grazie per Sophie de La Bord.

Grazie per averci aperto gli occhi.

 

 

 

Liberté

Liberté

bande a part 2 louvre

La folle corsa di Anna, Sami e Claude nel tentativo di visitare il Louvre in meno di 9 minuti e 45 secondi, il madison improvvisato dai tre amici  in un bistrot, Parigi (coprotagonista) con la nebbia e infine il cuore del film : l’ inquadratura fissa  di Anna nel metrò mentre sullo sfondo passa casualmente l’indicazione di una fermata : Libertè.

Inutile tirare in ballo i Rafale,i droni, la religione, lo stile di vita e non so più cos’altro.I nostri autodichiaratisi  nemici hanno in odio proprio la conquista più difficile e impegnativa : la libertà.

Definendone il concetto con sostantivi prelevati dal vocabolario dell’oscurantismo più sinistro : blasfemia,idolatria, perversione, abominio, hanno colpito i luoghi del divertimento più innocente : lo stadio, un teatro, alcuni ristoranti.Obiettivi non casuali di una strategia precisa.

Che dire. Centoventisei morti impongono sobrietà e non starò qui a scomodare i costruttori di cattedrali o i maestri del libero pensiero per opporre l’importanza dell’opera loro alla barbarie distruttrice.

Tuttavia, se il lascito di maestri e costruttori preoccupa al punto di dichiarare una guerra  a mezzo mondo, significa che la forza di quell’eredità è ancora viva. Non farne tesoro significherebbe consegnarsi mani e piedi al Terrore e quindi al Ricatto.

La libertà di decidere come essere,come vivere e da chi farsi governare non è il trascurabile orticello  che non vale la pena di una strenua tutela. E’ gran parte di tutto quello che abbiamo e in cui dobbiamo tornare a credere qualora  avessimo smarrito, persi nei  distinguo e nelle nostre digressioni geo-politiche, il senso di un Bene da trasferire intatto a chi verrà dopo.

 

 

 

Bande à parte è un film del 1964 regia di Jean Luc Godard con Anna Karina, Sami Frey, Claude Brasseur