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Categoria: La fabbrica del cinema

Il potere della macchina da presa (The touch of devil)

Il potere della macchina da presa (The touch of devil)

Orson welle563075929_8c53f6c143Un movimento di macchina girato tutto in una inquadratura,senza stacchi di montaggio, della durata di quattro minuti e trenta  che inizia con il dettaglio di un uomo che piazza una carica esplosiva sotto un’ automobile in sosta. Un signore anziano e una giovane donna vi salgono sopra  e la camera  segue ininterrottamente la macchina che attraversa vari isolati ,varca il confine ed esplode.L’intera sequenza sembra la realizzazioni di certe strategie narrative secondo le quali la tensione è data da alcune informazioni rilasciate esclusivamente allo spettatore (o al lettore).Rendere disponibili più informazioni di quante ne abbiano i personaggi è lo strumento più potente della suspense.Siamo noi gli unici in sala a sapere che sotto quella macchina c’è una bomba e siamo anche di fronte ad una sequenza superba che traccia in uno spazio virtualmente infinito, la traiettoria di un movimento ampio e maestoso che celebra il potere della macchina da presa di librarsi ovunque e di essere a qualsiasi distanza da tutto    : dal dettaglio iniziale del meccanismo ad orologeria, al totale che la macchina da presa  delinea al massimo della sua altezza da terra  incorniciando l’intera prospettiva della cittadina di confine.Orson welles21415281_4bf9bde1af

Un enorme soprabito grigio,l’ampia camicia bianca, le bretelle con l’attaccatura a ipsilon, la cravatta sciupata a piccoli rombi chiari su fondo scuro. E il bastone. E’ in questi panni che  Quinlan – Welles fa la sua apparizione nel film The touch of devil (L’infernale Quinlan) –  Una bellissima figura carnosa, greve, impastata di machiavellismo scriverà Italo Calvino. L’ingresso vale già da solo il capitolo di un romanzo,Welles  aveva lavorato sulla propria immagine con lo stesso accanimento che rivelerà ogni inquadratura. Questo film, una sorta di misterioso avamposto di disincanto,violenza e rammarico abissale, racconta di Hank Quinlan poliziotto che regna incontrastato in una zona di confine tra Stati Uniti e Messico fin quando un investigatore messicano, coinvolto accidentalmente in un’ indagine insieme a lui, non scoprirà che Hank, circondato dalla fama di avere un’ intuizione prodigiosa, ha l’abitudine di fabbricare prove false contro i suoi sospetti. Di qui l’ intreccio allusivo e sfuggente, una regia di straordinaria potenza drammatica supportata da angolazioni,montaggio ,illuminazione,scenografie mentre tutto concorre  a conferire ad ogni sequenza un’energia che stordisce .Ed è anche,fotogramma dopo fotogramma,  l’ agognato ritorno alla regia di Orson Welles che the Touch of devil racconta.

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La scena che Welles amava di più è quella dell’interrogatorio di Sanchez,il presunto colpevole, realizzata nello spazio angusto di un paio di camere.Spostando pareti mobili e studiando al millimetro la distanza di facce e corpi dalla macchina,disegnando minuziosamente la composizione dell’inquadratura ma soprattutto trascinando lo spettatore in una scena talmente dialogata che tutti gl’interpreti ricordano come un tour de force micidiale,il regista mette insieme una sequenza di grande tensione.E’ anche la scena che consente a Welles di enunciare uno dei più saldi principi dell’estetica cinematografica : i migliori movimenti di macchina sono quelli che non si vedono.La concitazione drammatica dalla quale veniamo presi,non ci consente di percepire la completa assenza di stacchi interni e tantomeno il continuo e vigile movimento della macchina da presa.

Orson quarto uomoQuando Orson Welles scrisse e diresse  The touch of Devil aveva quarantatrè anni.Il cinema racconta spesso di rapide ascese e violente cadute ma nella vita reale non è così frequente trovarne di repentine come quelle che dovette subire lui.Negli anni trenta aveva terrorizzato un’ intera nazione mettendo in scena alla radio La guerra dei mondi.Era divenuto l’intellettuale di punta del teatro americano e agli inizi degli anni quaranta, il cinema gli era stato offerto perchè ne facesse quel che voleva.Fu così che dal suo incredibile Talento nacquero film senza i quali il cinema sarebbe stato di sicuro diverso.Poi le cose andarono in maniera tale che poco meno di vent’anni dopo Citizen Kane, ritroviamo Welles nei sobborghi di Los Angeles con il copione di un noir in mano a girare di nuovo per un grande studio .Conosceva bene Shakespeare e aveva una certa  conoscenza dei mezzi di comunicazione, soprattutto aveva nelle corde l’arte della regia teatrale intesa come responsabilità e direzione degli attori e di tutto ciò che fa parte della scena quando ancora non era stata canonizzata dalla cultura contemporanea,se non da alcune frange dell’avanguardia.Eppure per buona parte della sua vita Welles sognò il cinema.L’occasione  si ripresenta con il ruolo di Quinlan truccato con abnormi borse sotto gli occhi,un enorme naso finto e un inedito taglio di capelli.Sceneggiatore ,regista e attore.Il giusto risarcimento per vent’anni di sofferta lontananza dal set.

Guardare, Inquadrare,Filmare

Guardare, Inquadrare,Filmare

Hai visto l’Eclisse?Io ci ho dormito.Una bella pennichella.Bel regista Antonioni.C’ha una Flaminia Zagato.Una volta sulla Fettuccia di Terracina m’ha fatto allungà il collo.

Michelangelo Antonioni non ha mai perdonato a Dino Risi questa battuta tratta dal film Il Sorpasso, dal canto suo Risi ha sempre risposto che quell’espressione era strettamente funzionale alla sceneggiatura :serviva a meglio definire la superficialità  del personaggio interpretato da Gassman . Al di là delle antiche ruggini (ogni film di Antonioni era puntualmente celebrato dalla critica, quelli di Risi, un po’ meno) il sentimento del Comune Spettatore rispetto ai film di Antonioni, era proprio quello descritto nel Sorpasso.Michelangelo Antonioni che raccontava i silenzi e l’incomunicabilità – come si diceva allora – in pellicole di una lentezza estenuante non faceva film molto popolari.Ne’ dal tratto fortemente sperimentale del suo cinema, ci si sarebbe potuto attendere di più.Ma le diciassette macchine da presa che nel 1970 filmarono l’esplosione dei simboli del benessere e del consumismo con sottofondo di musica dei Pink Floyd in Zabriskie Point, scrissero egualmente una pagina memorabile della storia del cinema anticipando di parecchio i contenuti,le idee e i drammi del futuro.Antonioni mancava da molto tempo,il suo ultimo film   – Al di là delle nuvole – nato da un consorzio artistico incredibile con Wim Wenders e Tonino Guerra è del 1995 ed è dedicato alla rinuncia dello sguardo che s’interroga su cosa c’è al di là delle nuvole dopo aver tentato invano di portare in scena la vera immagine della realtà assoluta.La cronaca di un tormento ed insieme un saggio in forma di fiction su cosa significhi guardare,inquadrare,filmare.

 

La lanterna magica

La lanterna magica

Ingmar Bergman set 1957

Bergman metteva in riga i miei migliori (e scomposti) istinti di spettatrice.I suoi film non lasciavano molto spazio alla fantasia, ne’ alla riflessione, ne’ alla fuga .Faceva, diceva, esprimeva tutto lui .Ogni volta – che rabbia – era sufficiente sedersi e guardare.E ogni volta l’intreccio consueto: immagini e dialogo in perfetta alchimia, risultavano esaustivi. Cos’ altro si sarebbe potuto aggiungere a Sinfonia d’autunno a Fanny e Alexander al Settimo sigillo a Scene da un matrimonio o al Posto delle fragole? Proprio nulla . Per questo nonostante il sentimento di profondo rispetto e la consapevolezza di essere al cospetto di autentiche opere dell’ingegno,io Bergman non l’ho mai davvero amato.Però non ho perso un suo film, ne’ una sua produzione televisiva,ne’, quando è stato possibile,una sua opera teatrale.Capitava a me ciò che spesso accade con quelle persone che si stimano moltissimo .ma alle quali ,per pudore, non si riesce a dare del tu.

Nell’illustrazione Ingmar Bergman sul set di Settimo Sigillo

Bree (e le altre)

Bree (e le altre)

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E’ finita mercoledì scorso la terza stagione delle Desperate Housewives lasciando aperta ogni singola vicenda delle abitanti di  Wisteria Lane, a soluzioni che potranno agevolmente dipanarsi nella prossima serie. Checchè se ne pensi, Desperate è un prodotto televisivo dai molti pregi. Il mix giallo rosa è ben amalgamato e il contrappunto esistenziale introdotto dalla voce narrante, arricchisce notevolmente il racconto senza scadere troppo nel moralistico melenso (alle volte è un attimo) . Da ultimo: il dialogo serrato  e vivacissimo è di buon livello ed ironico senza forzature. Riflettendo su questo tipo di telefilm di pura evasione ,dal costo, almeno fin qui, non elevatissimo – quasi tutto si svolge in interni , case dislocate nei 100 metri di un tratto di strada e in altre semplici  ambientazioni ricostruite in studio – dalla sceneggiatura  accurata e coerente nonostante i mille intrecci , non si capisce bene perché  le nostre serie televisive non riescano ad avere la  stessa verve e lo stesso successo e soprattutto vendano così poco all’estero.Personalmente non sono riuscita ad andare oltre la terza puntata dei Cesaroni (troppi stereotipi) e di Un ciclone in famiglia (troppo Vanzina) che pure sono interpretati da bravi attori.Il punto credo sia nella sceneggiatura, vicende famigliari, complicazioni  sì, ma con l’happy end troppo a portata di mano,personaggi complessi e pieni di difetti ma che poi trovano remissione dei peccati e facile ravvedimento nell’arco di una o due puntate. Desperate è diverso : non c’è una figura femminile che abbia un buon carattere o un tic che l’abbia portata sull’orlo della crisi di nervi, quando non alla violazione delle regole di buona convivenza eppure alla soglia della quarta stagione e nonostante discrete peripezie,ognuna è rimasta quel che era, senza miracolosi interventi d’innamorati o di vicissitudini strazianti.Come poi, in fondo, è anche nella vita.

Nell’illustrazione : il personaggio preferito

Save Harry

Save Harry

harry

Sette libri di successo con inclinazione alla  Saga, non sono uno scherzo e anche se si tratta di letteratura per ragazzi, l’impalcatura narrativa, in tal caso robusta e strutturata, rende oneroso  il governo delle storie che vi  s’intersecano.In quel di Hogwarts poi, ce n’è un assortimento .Tant’è che J.K.Rowling, l’ immaginifica autrice di Harry Potter,avverte che le incongruenze della narrazione, debitamente elencate nei siti dei fans, sono tutte vere,talmente inevitabili che nemmeno se ne scusa ma, britannicamente, rimanda i cultori delle incoerenze drammaturgiche ,dal suo sito a quello degli esegeti.

harry potterStanca, dev’essere stanca, seppure in  buona, (letteraria) compagnia di illustri predecessori,da Doyle a Camilleri a Simenon ,tutti sono passati per questa insofferenza da lunga coabitazione con la propria creatura. L’autore del resto, è una specie di padreterno che fa e disfa e come niente, distrugge, con buona pace dei lettori e degli editori che, a diverso titolo, si appropriano dei Personaggi.Dunque,informano le agenzie, a ridosso dell’uscita dell’ultimo film, Mrs Rowling, sarebbe intenzionata a farla finita con Harry Potter.Prevedibilmente i lettori, che per la maggior parte sono ragazzi con uso di Internet ,scatenano una campagna per salvare Harry da morte sicura. La Crudele Rowling si sarebbe in seguito a ciò  dichiarata possibilista  ma –  e qui le cose si complicano – ci sarebbe un altro problema: l’immagine di Harry è strettamente legata a quella di Daniel Radcliffe, non più adolescente e sempre più lontano, fermo l’impegno professionale della regia e del trucco, dalla grazia inquietante del giovane Potter tutto occhioni, occhialoni e ciuffo.Ci siamo già passati con 007-Sean Connery,dopo di lui, solo legnosità  (Roger Moore) e  piacionismo  (Pierce Brosnam).Non potremmo sopportare altri succedanei. Continuino pertanto i racconti, unico luogo in cui a the wizard boy, potrebbe essere concesso di avere eternamente dodici anni  ma appare inevitabile la fine (o il decadimento) dell’esperienza cinematografica.

Maggie Smith Emma ThompsonDa una parte è un peccato : il meglio del cinema (e del teatro) inglese da Emma Thompson a Maggie Smith a Imelda Staunton a Kennet Branagh a Julie Christie si è cimentato in queste produzioni diverse da quelle loro abituali .I film (l’ultimo più degli altri) sono giocattoloni ben confezionati, dalle scenografie mirabolanti come del resto gli effetti speciali.Buoni prodotti commerciali, coerenti e non privi di grazia, di messaggi positivi e di occasioni di puro divertimento.Tutto lì però.Dall’altra non si può pretendere che una medesima formula funzioni in eterno, con lo stesso campus gotico,le stesse scale (deliziose) che amano cambiare e gli stessi quadri alle pareti che improvvisamente si animano.Il cinema è più stereotipizzato, meno duttile della letteratura che invece contempla infinite soluzioni ed – è il caso – infiniti stratagemmi e magie.Non amo l’happy end e nella struttura narrativa, preferisco semmai il manifestarsi di un tenue filo di speranza,per questo the wizard boy non deve morire, come è giusto che non vinca, ma rimanga in vita, tu -saichi. Entrambi dovrebbero però rinunciare al cinema,lasciando così un ricordo gradevole e divertito delle reciproche performances.

Harry Potter 3

Harry Potter e l’ordine della Fenice è un film di David Yates prodotto dalla Warner Bros