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Mese: Ottobre 2006

A cimma

A cimma

fda cimma

Stanno in piedi anche senza la musica questi versi de  “A’ çimma” di Fabrizio De Andrè e Ivano Fossati. Sono uno degli esempi di musicalità intrinseca della parola, e delle parole combinate con altre parole. E’ una probabile caratteristica del dialetto che qui in aggiunta, consente ai versi di raggiungere una perfezione non solo metrica. Questi :

Cè serèn tèra scùa
carne tènia nu fàte nèigra
nu turnà dùa

ne sono un esempio. C’è un lavoro puntiglioso dietro al  testo, quindici giorni “legati alla sedia” come Vittorio Alfieri, come ha raccontato Ivano Fossati .Poi accade che la musica di Mauro Pagani, non priva di forti accenti mediterranei e suggestioni greche (Ndelele, bouzouki ,Gironda, Derbóuka) concorra a determinare un’ atmosfera piuttosto particolare, da cucina placidamente stregonesca, tra preghiere invocazioni e riti scaramantici , il tutto per la riuscita della Cima, un “lavoro” che è fatto di passaggi delicati, di ripieni  di varie interiora, di pinoli, maggiorana e piselli da amalgamare, assistiti dall’alchimia ma anche dalla madonna che scaccia gli spiriti maligni dalla pentola in cui avviene il tuffo finale, il battesimo nelle erbe aromatiche. Un solo rammarico al momento in cui i camerieri verranno a portare via il pranzo, lasciandoti solo con “tùttu ou fùmmu d’ou toèu mestè” , tutto il fumo del tuo lavoro.

Ti t’adesciàe ‘nsce l’èndegu du matin
ch’à luxe a l’à ‘n pè ‘n tera e l’àtru in mà

Ti sveglierai sull’indaco del mattino
quando la luce ha un piede in terra e l’ altro in mare

ti t’ammiàe a ou spègiu de ‘n tiànnin
ou cè s’amia a ou spègiu da ruzà
ti mettiàe ou brùgu rèdennu’nte ‘n cantùn 

ti guarderai allo specchio di un tegamino
il cielo si guarda allo specchio della rugiada
metterai la scopa (di saggina) usata (usurata, indurita) in un angolo

che se d’à cappa a sgùggia ‘n cuxin-a stria
a xeùa de cuntà ‘e pàgge che ghe sùn
‘a cimma a l’è za pinn-a a l’è za cùxia

che se dalla cappa scivola in cucina pulisce
a forza di contare le paglie che ci sono
la cima è già piena è già cucita

Cè serèn tèra scùa
carne tènia nu fàte nèigra
nu turnà dùa

Cielo sereno terra scura
carne tenera non diventare nera
non ritornare dura

Bell’oueggè strapunta de tùttu bun
prima de battezàlu ‘ntou prebuggiun

Bel guanciale materasso di ogni ben di Dio
prima di battezzarla nelle erbe aromatiche

cun dui aguggiuìn dritu ‘n pùnta de pè
da sùrvia ‘n zù fitu ti ‘a punziggè
àia de lùn-a vègia de ciaèu de nègia

con due grossi aghi dritti in punta di piedi
da sopra a sotto svelto la pungerai
aria di luna vecchia di chiarore di nebbia

ch’ou cègu ou pèrde ‘a tèsta l’àse ou sentè
oudù de mà misciòu de pèrsa lègia
cos’àtru fa cos’àtru dàghe a ou cè

che il chierico perde la testa e l’asino il sentiero
odore di mare mescolato a maggiorana leggera
cos’altro fare cos’altro dare al cielo

Cè serèn tèra scùa
carne tènia nu fàte nèigra

Cielo sereno terra scura
carne tenera non diventare nera

nu turnà dùa
e ‘nt’ou nùme de Maria

non ritornare dura
e nel nome di Maria

tùtti diài da sta pùgnatta
anène via

tutti i diavoli da questa pentola
andate via

Poi vegnan a pigiàtela i càmè
te lascian tùttu ou fùmmu d’ou toèu mestè

Poi vengono a prendertela i camerieri
ti lasciano tutto il fumo del tuo mestiere

tucca a ou fantin à prima coutelà
mangè mangè nu sèi chi ve mangià

tocca allo scapolo la prima coltellata
mangiate mangiate non sapete chi vi mangerà

Cè serèn tèra scùa
carne tènia nu fàte nèigra
nu turnà dùa
e ‘nt’ou nùme de Maria
tùtti diài da sta pùgnatta
anène via.

Cielo sereno terra scura
carne tenera non diventare nera
non ritornare dura
e nel nome di Maria
tutti i diavoli da questa pentola
andate via

American way of life

American way of life

Borat : Cultural Learnings of America for Make Benefit Glorious Nation of Kazakhstan.Il titolo è già tutto un programma.Borat Sagdiyev è un reporter kazako che  attraversa in lungo e in largo gli Stati Uniti  per girare un documentario sul celebrato stile di vita americano,  lo scopo del viaggio è intervistare qualcuno – politici, esperti di comportamento – per provare a capire la cultura americana:il chiodo fisso però è soprattutto  incontrare l’eroina del suo telefilm preferito (e cioè Baywach dunque Pamela Anderson) e sposarla.
Borat è un Mockumentary dissacrante, ironico, demenziale e scorretto, che dell’America non salva nemmeno un bruscolo .ll reporter Borat qui si presta,  ma va detto, le persone sono vere filmate in situazioni reali,a mettere in difficoltà i propri interlocutori nei modi più imbarazzanti possibili.L’incontro con un gruppo di femministe newyorchesi, la cena con un predicatore del sud e la performance a un rodeo in West Virginia, sono le gag più riuscite Ovviamente di fronte ad una materia così vasta e densa di spunti, è possibile che la volgarità prevalga senza che però venga mai meno una certa dose di intelligente satira politica e sociale .Ne viene fuori un film irriverente,sovversivo,oltraggioso ai limiti della sopportazione . Eccezionale bravura di Baron Cohen nel dare vita a un personaggio cinico e sconcertante che non esita  a sfiorare misoginia e razzismo scardinando di volta in volta le certezze e le ipocrisie di una cultura carica di pregiudizi e oscenità. 

Il fascino discreto del Tiranno

Il fascino discreto del Tiranno

Isola d’Elba 1814. C’è  un giovane maestro ,velleitario visionario,ossessionato dal tirannicidio che è stato licenziato dalla scuola per le sue idee sovversive .C’è la sua amante una baronessa godereccia e un pò mignotta, (per ammissione della stessa interprete Monica Bellucci) una donna che non è vissuta e resta attaccata alla sua giovinezza perduta E poi c’è tutto un ambiente provinciale e isolano scombussolato ed esaltato  dall’arrivo a Portoferraio di lui ,proprio lui ,Napoleone al suo primo esilio.Rivisitazione del bel libro di Ernesto Ferrero il film si dipana intorna al tema tutto novecentesco del fascino persuasivo del tiranno in questo caso interpretato da un Daniel Anteul bravo da non far rimpiangere nemmeno un po’ ne’ gli Steiger ne’ i Brando, con l’impeccabile interpretazione della noia e dei poco imperiali vezzi quotidiani

Alla fine il giovane maestro,assunto come bibliotecario da Napoleone non riuscirà nell’intento tirannicida ma rimarrà affascinato dalla personalità del generale che tuttavia tornerà a deluderlo  portandosi via nella fuga anche la baronessa Emilia.

Molti hanno contestato l ‘eccesso di livornesità e invece a Virzì va dato merito di una direzione molto accurata e di una discreta chimica con gli attori, ciò ha consentito a  Massimo Ceccherini, di affrancarsi dalla sua maschera consueta impersonando Cosimo, un locandiere impacciato che corteggia la Diamantina della bravissima Sabrina Impacciatore con uno stile ed un linguaggio sorprendentemente misurato.

 

 

L’Arriflex di Gillo

L’Arriflex di Gillo

Conservo un bel filmato di Genova 2001, non so se sia stato poi montato: Gillo Pontecorvo è affacciato ad una finestra, accanto a lui, c’è un operatore con una cinepresa Arriflex.

 

Gillo guarda di sotto, fa un gesto largo con la mano, suggerisce l’inquadratura –  un corteo di ragazzi  che sciama,  tra le loro mani  centinaia di cineprese digitali in funzione – impartisce altre istruzioni, sorride e poi sparisce lasciando solo il cameramen .

 

Pontecorvo sta partecipando alle riprese di un documentario collettivo che poi si chiamerà Il cinema italiano a Genova insieme a  Monicelli, Scola ed altri.

Lo aveva detto che avrebbe utilizzato l’Arriflex  – come una volta – aveva anche aggiunto. – A Genova ci concentreremo sulle espressioni, gli umori, le frasi dei manifestanti, le dichiarazioni dei personaggi che andremo a intervistare. Ma se partendo dai fatti di Genova riusciremo poi a parlare dei problemi drammatici del mondo di oggi, inserendo nel filmato dei frammenti di vita autentica nel mondo contemporaneo, ecco che il tutto si trasformerà in un’occasione unica per fare davvero un film insolito

Il tono dei suoi interventi conservava l’entusiasmo degli esordi. Quello dei suoi  film, tra  i movimenti di massa, quando per scarsità di mezzi era preferibile una botta in testa dalla polizia che lasciar cadere in terra  l’Arriflex.

 

Sarebbe bello raccontare di Gillo, regista che ci lascia  non moltissime opere, attraverso progetti mai realizzati per non aver trovato produttori coraggiosi .

 

Uno si sarebbe dovuto chiamare Confino Fiat sui sindacalisti che in epoca scelbiana erano messi in un reparto speciale. Lavoro impossibile da produrre negli anni 60. Un altro sui poteri paranormali sciamanici nato da colloqui con Ernesto De Martino e dalle sue ricerche in vari paesi.

 

Altri sull’Italia dell’autunno caldo, sulla strategia della tensione. O altri ancora su Cristo visto come “eroe del suo tempo, rivoluzionario di un’epoca di passaggio, si sarebbe dovuto intitolare I tempi della fine. Oppure sugli indiani d’America nel Sud Dakota.

 

Fu solo grazie a star del calibro di Susan Strasberg e Marlon Brando che spesso Pontercorco riuscì a imporre alle produzioni i suoi film. Il suo primo lavoro diventa subito  un successo internazionale : Kapò .

Poi arrivò La battaglia di Algeri, la messa in scena della guerra di popolo. Yacef Saadi in persona, il comandante militare del  Fronte di liberazione viene in Italia a cercare un regista che racconti l’epopea del suo popolo.

 

Diventerà uno dei più grandi film sul Senso della Rivolta –  abbiamo raccontato lucidamente come nasce, come si organizza e come si combatte una guerriglia – diceva Solinas. Gillo del resto, quel film l’aveva già vissuto durante la guerra partigiana. Lo sguardo del regista era vasto come l’internazionalismo che teorizzava.
Visionato indifferentemente dalle Black Panthers e dai militari americani entrambi desiderosi  di imparare qualcosa su repressione interrogatori e tortura, il film fu fatto uscire clandestinamente in Francia nel 1971 e poi ritirato per una serie di attentati ai cinema in cui veniva proiettato. Ufficialmente fu riproposto nel 2004, i francesi del resto hanno sempre considerato i massacri compiuti un falso storico.

 

La filmografia è scarna :

La grande strada azzurra (1957);
Kapo’ (1960);

La battaglia di Algeri (1966);

Queimada (1969);

Ogro (1979) con Gian Maria  Volonte’ , il film sull’Eta e sull’attentato a Carrero Blanco.

 

Poi, tanto lavoro politico – che Pontecorvo ha sempre continuato a fare dai tempi della militanza con Berlinguer  e che non si interruppe nemmeno quando nel 1956 uscì in silenzio dal PCI a cui rimase comunque vicino tutta la vita.
Poi un po’ di pubblicita’. La direzione della Mostra del cinema di Venezia e la presidenza di Cinecittà. Ma niente piu’ cinema. Perche’? A chi glielo chiedeva Pontecorvo rispondeva che per fare cinema lui doveva innamorarsi. Del progetto, naturalmente.

Hanno scritto su Gillo Pontecorvo :

Massimo Ghirelli, Gillo Pontecorvo, Il castoro cinema, Milano

Irene Bignardi. Memorie estorte a uno smemorato. Vita di
Gillo Pontecorvo, Feltrinelli, Milano 1999]