Corri Gordon, corri…
Siccome tutta la sinistra è come il mondo, cioè paese, anche in Inghilterra l’elettorato delle municipali punisce il governo centrale infliggendo ai laburisti una sconfitta pesante ancorché annunciata dai sondaggi – almeno lì funzionano – e dai malumori diffusi .Del resto la stella di Gordon Brown, subentrato ad un Tony Blair ai minimi storici del gradimento, è durata quel tanto che è bastato a farlo desistere dal proposito iniziale indire elezioni nazionali. Forse un errore – peraltro suggerito da nuovi sondaggi, nuovamente in discesa verso l’autunno dopo l’impennata primaverile – del quale si è avvantaggiata l’opposizione guidata dall’arrembante David Cameron che non ha esitato per questo a definire Brown titubante – Ditherer. Il resto ricalca un percorso già noto: attese deluse – Gordon Brown ministro del tesoro è stato l’artefice più importante del successo di Blair – rispetto ad un deciso programma riformatore, quantunque una ridefinizione delle fasce fiscali abbia favorito i più poveri, (ma scontentato tanti altri), il tasso di criminalità si mantenga basso e l’economia britannica navighi in acque migliori di tanti altri paesi. Eppure oggi Brown è meno popolare del Blair dei tempi peggiori. Gordon Brown è sulla terra per ricordare al popolo britannico quanto fosse in gamba Tony Blair, avvertiva Lord Desai, Pari laburista del Regno, ancor prima che i dati elettorali sancissero la disfatta, il che la dice tutta sul sovrapprezzo di veleni all’interno del partito, tant’è che al Ditherer dell’opposizione, si sono aggiunte altre delicatezze , una per tutte il fatto che Brown sia come il porridge – la tradizionale pappina d’avena britannica – se confrontato allo scoppiettante Blair identificato nientedimeno che con lo ..champagne. E in effetti l’immagine pacata e anche vagamente depressa – ma io rimango un’estimatrice delle qualità politiche di Gordon Brown – stride nel confronto con il Tony Blair sempre dinamico, sorridente e pieno di energia propositiva. E’ possibile che nel mondo in cui si conduce la politica contemporanea, l’amore per il cambiamento connaturato nei media, giunga a mostrare Cameron, bravissimo comunicatore, come un’alternativa possibile anche se il messaggio politico è piuttosto debole ed incerto. I Labour hanno ancora due anni per recuperare consensi, sarà interessante osservare in che modo vorranno gestire la risalita anche se Anthony Giddens osserva come sia oramai divenuto fisiologico il fatto che i partiti di centrosinistra in Europa, fatichino a far passare programmi riformatori, incapaci oramai di coinvolgere l’elettorato in riforme del welfare o dei sistemi pensionistici e dei mercati del lavoro ed individua in questa carenza la causa dell’insuccesso. C’è da aggiungere l’eterna questione riguardante le paure connesse all’immigrazione, alla criminalità, al terrorismo, al venir meno dell’identità nazionale e alla facilità che la Destra ha di agire sullo sconcerto proponendo forme di nazionalismo xenofobico dall’apparenza più “rassicurante” delle difficilmente interiorizzabili politiche inclusive del centro sinistra. Oltre che nuovi leader probabilmente occorre una nuova sintesi per questi partiti e non sarebbe male che tali riflessioni travalicassero la dimensione nazionale per svilupparsi all’interno dei raggruppamenti europei. Nel frattempo non ci si può che dolere della caduta di Ken il rosso, l’eccezionale sindaco di Londra che ha migliorato i trasporti, combattuto con successo la criminalità e guidato la città vivacizzandone le attività culturali. Dopo un decennio lascia il posto ad un uomo di destra meglio noto per le sue presenze in televisione che per la sua progettualità. E dire che che Ken tutto ha fuori che l’aria stanca o depressa.
Un paio d’ore e, più passate a leggere le geremiadi post sconfitta dei titolari di blog e siti, legati, iscritti, eletti o trombati nelle liste del Partito Democratico, mi hanno chiarito le idee sull’entità e sulla qualità della protesta contro la mancanza di democrazia interna nel partito stesso. Devo confessare che più di risollevare il morale già duramente provato dalla disfatta – qualcosa si muove? Macchè - sono piombata, come se ce ne fosse ulteriore bisogno, nello sconforto più totale. Non che non condivida in linea di massima i rilievi che vengono posti alla nomenklatura ma solo perchè, una volta tanto, in calce alla lista delle doglianze, mi piacerebbe facesse capolino un’avvisaglia del che fare di buona memoria. Non sarebbe poi male, che a margine di tali dibattiti,si tenesse conto che un Partito sedicente Democratico, in occasione di critiche all’interpretazione del criterio di rappresentanza, dovrebbe riflettere quantomeno sul tipo di regole che si è dato con le Primarie, considerando come, le pur legittime aspirazioni di cambio di vertici e compagini varie, possano risolversi esclusivamente tenendo conto di quelle regole. In sostanza se la classe dirigggente non va, c’è un solo modo di sostituirla : diventare maggioranza al congresso, proponendo una nuova dirigenza e un nuovo segretario. Come si ottiene ciò? Convincendo gl’iscritti con proposte alternative politicamente dignitose. Altrimenti non c’è scampo, sono tutte uguali le nomenklature del mondo esattamente come sono tutte uguali le opposizioni alle stesse, con il risultato che all’affresco autoreferenziale già abbondantemente declinato nelle lamentele, si aggiungono nuovi personaggi, tingendosi l’atmosfera generale con i colori inquietanti dell’impotenza. Veltroni è stato eletto poggiando la sua candidatura su liste omogenee ad un progetto politico. E’ impensabile che il segretario governi il partito con altri che non siano quelli che le primarie hanno designato direttamente ed indirettamente. Il nodo è tutto lì. Allora perchè io sento parlare di cambiamento senza che – tranne in un caso conclamato – in ciò venga anche inclusa la carica di segretario?. Si abbia allora il coraggio di mettere in discussione il nome di Veltroni invece che di menare il can per l’aia prendendosela, ora con i singoli candidati ( le poche donne sono i bersagli preferiti,tra l’altro ), ora con non meglio identificate sedi informali di decisione dai nomi suggestivi…caminetti, salotti e – new entry nel gergo populista – ora pure le terrazze. Chi ragiona in questi termini o solo di questo, va cercando rassicurazioni per sentirsi autorizzato a non fare i conti con una durissima realtà italiana. Ecco perchè sarebbe gradita un’analisi onesta che si avventuri oltre la campagna elettorale, che non individui i motivi della sconfitta solo in quella e soprattutto che si ponga il problema del futuro e cioè di quale opposizione fare: Sotto questo aspetto la discussione è stata assai povera di considerazioni.Si potrà riempire quel vuoto? Potrà il configurarsi di una nuova cultura precedere la scelta di nuove classi dirigenti? O dobbiamo aspirare al nuovo senza conoscerne i contorni? Chi ha qualche anno conosce assai bene la discussione sui contenitori che è senz’altro da annoverarsi tra gli errori più frequenti del passato.Tenere botta – ci mandano a dire – Nel contempo però cerchiamo anche di farci del bene.




