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Anno: 2008

Corri Gordon, corri…

Corri Gordon, corri…

 

Siccome tutta la sinistra è come il mondo, cioè  paese, anche in Inghilterra l’elettorato delle municipali punisce il governo centrale infliggendo ai laburisti una sconfitta pesante ancorché annunciata dai sondaggi – almeno lì funzionano – e dai malumori diffusi .Del resto la stella di Gordon Brown, subentrato ad un Tony Blair ai minimi storici del gradimento, è durata quel tanto che è bastato a farlo desistere dal proposito iniziale indire  elezioni nazionali. Forse un errore – peraltro suggerito da nuovi sondaggi, nuovamente in discesa verso l’autunno dopo l’impennata primaverile –  del quale si è avvantaggiata l’opposizione guidata dall’arrembante David Cameron che non ha esitato per questo a definire Brown titubante  – Ditherer. Il resto ricalca un percorso già noto: attese deluse – Gordon Brown ministro del tesoro è stato l’artefice più importante del successo di Blair  – rispetto ad un deciso programma riformatore, quantunque una ridefinizione delle fasce fiscali abbia favorito i più poveri, (ma scontentato tanti altri), il tasso di criminalità si mantenga basso e l’economia britannica navighi in acque migliori di tanti altri paesi. Eppure oggi Brown è meno popolare del Blair dei tempi peggiori. Gordon Brown è sulla terra per ricordare al popolo britannico quanto fosse in gamba Tony Blair, avvertiva Lord Desai, Pari laburista del Regno, ancor prima che i dati elettorali  sancissero la disfatta, il che la dice tutta sul sovrapprezzo di  veleni all’interno del partito, tant’è che al Ditherer dell’opposizione, si sono aggiunte altre delicatezze , una per tutte il fatto che Brown sia come il porridge – la tradizionale pappina d’avena britannica –  se confrontato allo scoppiettante Blair identificato nientedimeno che con lo ..champagne. E in effetti l’immagine pacata e anche vagamente depressa – ma io rimango un’estimatrice delle qualità politiche di Gordon Brown – stride nel confronto con il Tony Blair sempre dinamico, sorridente e pieno di energia propositiva. E’ possibile che nel mondo in cui si conduce la politica contemporanea, l’amore per il cambiamento connaturato nei media, giunga  a mostrare Cameron, bravissimo comunicatore, come un’alternativa possibile anche se il messaggio politico è piuttosto debole ed incerto. I Labour hanno ancora due anni per recuperare consensi, sarà interessante osservare in che modo vorranno gestire la risalita anche se Anthony Giddens osserva come sia oramai divenuto fisiologico il fatto che i partiti di centrosinistra in Europa, fatichino a far passare programmi riformatori, incapaci oramai di coinvolgere l’elettorato in riforme del welfare o dei sistemi pensionistici e dei mercati del lavoro ed individua in questa carenza la causa dell’insuccesso. C’è da aggiungere l’eterna questione riguardante le paure connesse all’immigrazione, alla criminalità, al terrorismo, al venir meno dell’identità nazionale e alla facilità che la Destra ha di agire sullo sconcerto proponendo forme di nazionalismo xenofobico dall’apparenza più “rassicurante” delle difficilmente interiorizzabili politiche inclusive del centro sinistra. Oltre che nuovi leader probabilmente occorre una nuova sintesi per questi partiti e non sarebbe male che tali riflessioni travalicassero la dimensione nazionale per svilupparsi all’interno dei raggruppamenti europei. Nel frattempo  non ci si può che dolere della caduta di Ken il rosso, l’eccezionale sindaco di Londra che ha migliorato i trasporti, combattuto con successo la criminalità e guidato la città vivacizzandone le attività culturali. Dopo un decennio lascia il posto ad un uomo di destra meglio noto per le sue presenze in televisione che per la sua progettualità. E dire che che Ken tutto ha fuori che l’aria stanca o depressa.

Tenere botta ( facciamoci del bene)

Tenere botta ( facciamoci del bene)

PD sede Un paio d’ore e, più passate a leggere le geremiadi post sconfitta dei titolari di blog e siti, legati, iscritti, eletti o trombati nelle liste del Partito Democratico, mi hanno chiarito le idee sull’entità e sulla qualità della protesta contro la mancanza di democrazia interna nel partito stesso. Devo confessare che più di risollevare il morale già duramente provato dalla disfatta – qualcosa si muove? Macchè - sono piombata, come se ce ne fosse ulteriore bisogno, nello sconforto più totale. Non che non condivida in linea di massima i  rilievi che vengono posti alla nomenklatura ma solo perchè, una volta tanto, in calce alla lista delle doglianze, mi piacerebbe facesse capolino un’avvisaglia del  che fare di buona memoria. Non sarebbe poi male, che a margine di tali dibattiti,si tenesse conto  che un Partito sedicente Democratico, in occasione di critiche all’interpretazione del criterio di rappresentanza, dovrebbe riflettere quantomeno sul tipo di regole che si è dato con  le Primarie, considerando come, le pur legittime aspirazioni di cambio di vertici e compagini varie, possano risolversi esclusivamente tenendo conto di quelle regole. In sostanza se la classe dirigggente non va,  c’è un solo modo di sostituirla : diventare maggioranza al congresso, proponendo una nuova dirigenza e un nuovo segretario. Come si ottiene ciò? Convincendo gl’iscritti con proposte alternative politicamente dignitose. Altrimenti non c’è scampo, sono tutte uguali le nomenklature del mondo esattamente come sono tutte uguali le opposizioni alle stesse, con il risultato che all’affresco autoreferenziale già abbondantemente declinato nelle lamentele, si aggiungono nuovi personaggi, tingendosi l’atmosfera generale con i colori inquietanti dell’impotenza. Veltroni è stato eletto poggiando la sua candidatura su liste omogenee ad un progetto politico. E’ impensabile che il segretario governi il partito con altri che non siano quelli che le primarie hanno designato direttamente ed indirettamente. Il nodo è tutto lì. Allora perchè io sento parlare di cambiamento senza che – tranne in un caso conclamato – in ciò venga anche inclusa la carica  di segretario?. Si abbia allora il coraggio di mettere in discussione il nome di Veltroni invece che di menare il can per l’aia prendendosela, ora con i singoli candidati ( le poche donne sono i bersagli preferiti,tra l’altro ), ora con non meglio identificate sedi informali di decisione dai nomi suggestivi…caminetti, salotti e – new entry nel gergo populista – ora pure le terrazze. Chi ragiona in questi termini o solo di questo, va cercando rassicurazioni per sentirsi autorizzato a non fare i conti con una durissima realtà italiana. Ecco perchè sarebbe gradita un’analisi onesta che si avventuri oltre la campagna elettorale, che non individui i motivi della sconfitta solo in quella e soprattutto che si ponga il problema del futuro e cioè di  quale opposizione fare: Sotto questo aspetto la discussione è stata assai povera di considerazioni.Si potrà riempire quel vuoto? Potrà il configurarsi di una nuova cultura precedere la scelta di nuove classi dirigenti? O dobbiamo aspirare al nuovo senza conoscerne i contorni? Chi ha qualche anno conosce assai bene la discussione sui contenitori che è senz’altro da annoverarsi tra gli errori più frequenti del passato.Tenere botta – ci mandano a dire – Nel contempo però cerchiamo anche di farci del bene.

Il finto barocco (malgré moi)

Il finto barocco (malgré moi)

Non è tanto perchè voglia trasferire l’Ara Pacis, teca di Meier inclusa, in periferia per un motivo, a suo dire, puramente estetico – di gusto personale ? –  Anche se considerare le periferie come il ricettacolo di tutto ciò che non ci aggrada in centro, non è rivelatore di una grande idea di città democratica. Oltretutto verrebbe da chiedersi quanto un giudizio soggettivo possa giustificare un tale dispendio di quattrini pubblici, ma sorvoliamo anche su questo. Il vero problema, è che ieri sera Alemanno, Primo Cittadino di Roma MioMalgrado®, dopo aver ripetuto il mantra del sindaco di tutti – manco non rientrasse nei suoi obblighi istituzionali esserlo – ha declinato, mentre era ospite del solito Vespa, la sua visione piuttosto singolare del modo in cui  dovrebbero articolarsi, sviluppo e crescita di una città . Prima di tutto …armonia & concordanza, che tradotto in altri termini, per esempio tecnici, starebbe per ambientamento – borsa e scarpe, pochette e cravatta uguali, come dire  e ha citato il contesto dell’Ara Pacis e di largo Augusto Imperatore definendolo barocco ( non è tutto barocco a parte qualche  chiesa un po’ più in là, ma non è questo il punto) dunque secondo l’Alemannopensiero, nel terzo millennio, dovendosi edificare una teca per un monumento romano in un ambiente barocco, si dovrebbe osservare il medesimo stile. Cioè a dire : un bel presunto barocco che realizzato con tecniche e materiali da costruzione moderni, ci precipiterebbe immediatamente nel pieno del Las Vegas style,  Caesars Palace, insomma. Non una grande soluzione, soprattutto se il punto di vista prevalente dev’essere  quello estetico. In realtà il rispetto di quanto è stato costruito prima di noi, non importa affatto l’omologazione dei nuovi edifici. Basti pensare alle Olimpiadi del 1960 che furono l’occasione per il recupero e l’annessione alla città delle incompiute del regime fascista – Foro Italico, Eur – il che dimostra come i concetti di recupero e inglobamento funzionino assai di più di quelli di demolizione e rimozione – non solo materiale – dei monumenti. C’è, dentro questa storia, tutta intera l’idea di cultura di destra orgogliosamente rivendicata in campagna elettorale : Anche noi abbiamo intellettuali, non solo la sinistra,anche noi possiamo promuovere eventi culturali in città. Ma, a parte il terzetto Montesano, Barbarossa, Squitieri quest’ultimo seriamente intenzionato a ridimensionare in chiave nazionalistica la Festa del Cinema, non si sono visti altri volenterosi. S’è visto invece un proposito arrogantello di erigersi ad esperto di architettura ed estetica, prerogative che abitualmente non sono comprese nella semplice investitura a Sindaco.

In nome del popolo romano

In nome del popolo romano


Promettendo sgomberi e deportazioni, Gianni Alemanno cattura il voto delle periferie. Non è una novità dell’Oggi . Dal 1976 al 1985, una terna di Sindaci -  Argan Petroselli Vetere –  eletti nelle liste del PCI ed espressione di una classe politica di prim’ordine lavorò alla riqualificazione del territorio – si direbbe oggi – abbattendo le baraccopoli ed edificando le abitazioni per i cittadini , allora erano romani, che vi abitavano. Ma non solo. L’idea di Luigi Petroselli di un diverso rapporto centro – periferie come  appartenenza ad un ‘unica città, espresso simbolicamente dall’Estate Romana e il parco archeologico dal Campidoglio all’Appia antica, al centro della città, in modo da far coincidere come diceva Nicolini il nome e la cosa Roma , si andava delineando.  Ugo Vetere, amministrazione specchiata, moralità e conti in ordine, buon ultimo, dovette cedere la poltrona di sindaco, sconfitto proprio in quelle periferie che aveva contribuito a risanare. L’alternanza – allora si votava con il proporzionale e il sindaco non veniva eletto direttamente –  non poteva essere elemento del dibattito post elettorale nemmeno nella forma elementare del fisiologico bisogno di cambiamento e, nello smarrimento generale di un partito comunista  che proprio allora cominciava ad interrogarsi sul proprio destino, fu concluso, non del tutto a torto, che, per un difetto di comunicazione, gli indubitabili vantaggi dell’amministrazione di sinistra, non erano stati opportunamente promossi tra i cittadini e che il difficile rapporto col sottoproletariato urbano andasse risolto con una maggiore presenza anche a costo di una vera e propria mutazione dei linguaggi tradizionali. In pochi pensarono che quel che stava accadendo non dipendeva solo da buone o cattive amministrazioni. I tre sindaci che negli anni successivi si alternarono, confermando gli elettori ogni volta, la Democrazia Cristiana al comando, consegnarono la città al degrado e alla corruzione. Signorello, Giubilo, Carraro, i comitati d’affari del secondo che ben anticiparono tangentopoli e le  imprese del terzo che guadagnarono a lui e ai suoi gli onori delle cronache nazionali. Era il 1993 quando con la mossa del cavallo rappresentata da un sistema elettorale differente, nuove le regole e nuovissimo, data la sua storia, il candidato, portammo Francesco Rutelli in Campidoglio. Oggi a distanza di quindici anni, la destra si riappropria della città. Chi ha proposto Rutelli candidato per il 2008, evidentemente  più che pensare al rinnovamento, ha ritenuto proporre l’incarnazione della continuità stimando il Modello Roma, vincente comunque. Invece la percezione è stata della riproposizione di un vecchio arnese dismesso dalla politica nazionale da riciclare come sindaco.E questo è valso per gli elettori ma anche per gli alleati visto lo scostamento di 60.000 voti  da Comune a Provincia e un diverso orientamento nel voto dei municipi.  Ma, Rutelli a parte, non è bastato nemmeno che a Roma il Pil sia salito più che in ogni altra città italiana, non sono bastate le Notti Bianche, la Feste del Cinema o l’Auditorium, la nuova Fiera di Roma o la metropolitana : la Roma che trae ricchezza dalla sua stessa vita ed ha instaurato in questi anni relazioni internazionali proponendosi come una città di prestigio mondiale, ha ceduto il passo ad un’immagine distorta, irreale di  città insicura, degradata trascurata dai suoi amministratori a vantaggio della facciata : il cinema prima di tutto.  Oppure  il consolidamento di  gruppi di potere accomodati in salotti immaginari che di tanto in tanto, i detrattori,  tra invenzione e desiderio indicano come luoghi di decisione. Una vecchia cantilena cara alla destra e anche a una certa sinistra del Rigore e dei Quaresimali.

Giocano in questo voto molti fattori dipendenti dall’andamento nazionale e più strettamente  legati ad esigenze territoriali: l’assillo della sicurezza con quella distanza tra percezione e realtà dei numeri che è stata la chiave di volta della vittoria della destra alle politiche, innanzitutto. Limitare la propria indagine ai soli confini del candidato sbagliato significa semplificare una questione che invece richiederebbe maggior sforzo analitico. Il Pd spero vorrà riflettere su un’antica magagna: il ricambio della classe dirigente che pure è un punto fermo nei propositi delle democratiche e dei democratici che hanno accettato di dar vita alla nuova formazione , importa un maggiore impegno in direzione dello spazio e delle responsabilità da conferire ai giovani,alle donne, ad esponenti della società civile. E’ improbabile che  quand’anche si fosse voluto sottoporre alle primarie la candidatura a sindaco di Roma, ci sarebbero stati competitori credibili  per Francesco Rutelli. La sua campagna elettorale pur  generosa ma inevitabilmente  fagocitata dalla campagna nazionale e, al secondo turno, sebbene correttamente giocata sul”esaltazione dei risultati ottenuti e sull’antifascismo, non è riuscita ad essere convincente. Sulla sicurezza tema sensibile in una campagna elettorare ha dovuto  giocare di rimessa preso, come tutti noi, in contropiede da un utilizzo spietato da parte dell’avversario, di recenti episodi di cronaca.Una serie di concause, in definitiva, ne hanno accentuato la debolezza. Inutile recriminare o attribuire responsabilità dello sfracello a Veltroni : in cinque mesi non si risale la china del consenso perduto, non si approntano due campagne  elettorali difficili contestualmente rinnovando il partito. Credo che anche in caso di conta congressuale, la sua leadership non sia in questione. Tornando a Roma, chi  scrive appartiene alla scuola del rispetto per il popolo sovrano,pertanto è  giusto che Gianni Alemanno governi la città che il popolo stesso gli ha affidato. Pur non essendo insensibile ai saluti romani e alle spacconate, particolarmente sulle scale di Palazzo Senatorio, simbolo della Municipalità, più che l’arroganza dei vincitori brucia e immagino brucerà ancora per molto, la fine del Modello Roma, un progetto appassionante che  per arditezza e modernità, è stato il compedio ideale di un Fare Politico che riusciva a rendere disponibili e al servizio della città idee, sensibilità, ed esperienze. Un percorso di partecipazione che da Petroselli a Veltroni si è rivelato fonte di entusiasmo e infinite soddisfazioni. Ciò che è stato realizzato non potrà essere facilmente sottratto ai romani pena una sensazione collettiva di grande vuoto. E questo rimane motivo d’orgoglio e di una non piccola consolazione.

Nell’illustrazione il Tabularium realizzato in una galleria che unisce la parte vecchia e quella nuova dei Musei Capitolini


Grandezza dell’anima russa

Grandezza dell’anima russa

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I vostri romanzi sembrano scritti contro i rivoluzionari, ma in realtà sono più incendiari dei proclami terroristi. L’ispettore di polizia Pavlovich non lo sa, ma sta esprimendo, con largo anticipo, tutto il controverso sentimento che la critica marxista sviluppò nei confronti di Fedor Dostoevskij, l’opera del quale ammirò, senza mai riuscire ad amarla. Uno fra tutti Lukacs,  seppur nell’ammissione che quel modo in cui i personaggi si consumavano o si disintegravano costituiva la protesta più ardita che mai si sia pronunziata contro l’ordine sociale dell’epoca. Il che già rende immediatamente  comprensibile perchè l’epoca staliniana appena tollerasse Dostoevskij. Meno motivati continuano ad apparire i detrattori  Nabokov e Kundera, quest’ultimo in particolar modo offeso dagli eccessi del mondo dostoevskiano fatto  di cupi abissi e di sentimentalismo aggressivo. Ma uno si vantava di essere il nipote del comandante della Fortezza di San Pietro e Paolo in cui fu recluso lo scrittore e quell’altro è ben distante dalla comprensione della grandezza dell’anima russa. Entrambi poi, sono scrittori della contemporaneità al cospetto del Monumento e pertanto lontani da una visione seppur vagamente obiettiva.

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Ma, controversie a parte, vale comunque la pena di cogliere l’offerta contenuta nelle intenzioni  di Giuliano Montaldo di fare un film su Dostoevskij  per chi non sa nulla di lui, non fosse altro perchè, aggirati i rischi connessi, nulla viene sacrificato al movente didattico che qui si traduce in una esaustiva definizione della visione del mondo dello scrittore e dei suoi contemporanei, resa attraverso la narrazione, frammentata da flashback, di alcuni episodi della sua biografia e non soltanto nelle puntualizzazioni e nelle spiegazioni alle quali pure il racconto fa ampio ricorso.  Nella Russia di un secolo e mezzo fa, con i fallimenti di ogni istanza rivoluzionaria proiettati in una triste realtà, Montaldo ravvede analogie col presente. Dostoevskij è, in effetti, un buon tramite, con l’adesione ai petraševcy, il carcere, la condanna a morte tramutata in extremis (sai che delusione per lo zio di Nabokov) e il carcere siberiano, resterà per tutta la vita l’uomo capace di aderire  alle inclinazioni opposte e di darne una rappresentazione trascinante soprattutto nel caso in cui  se ne proponga una condanna, perchè in realtà, più che dover scegliere se stare dalla parte dello Zar o da quella dei terroristi, lui semplicemente opta per stare dalla parte della condizione umana a qualunque costo e di qualunque rango.Tante le cose belle di questo film dall’allestimento sontuoso, al cast di attori e tecnici incredibilmente bravi, alla frenesia dell’attentato imminente, assimilata alla frenesia della consegna del nuovo romanzo. Il giocatore. Da un’idea mai realizzata di Konchalovsky, cinquanta giorni di lavorazione e vent’anni di riflessione per il ritorno di Giuliano Montaldo alle sale e tra di noi. 

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I Demoni di San Pietroburgo è un film di Giuliano Montaldo. Con Miki Manojlovic, Carolina Crescentini, Roberto Herlitzka, Anita Caprioli, Filippo Timi, Patrizia Sacchi, Sandra Ceccarelli, Giovanni Martorana. Genere Drammatico, colore 118 minuti. – Produzione Italia 2007. – Distribuzione 01 Distribution