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Anno: 2008

Trasgressione a buon mercato

Trasgressione a buon mercato

Cayo paloma 3

Qui non si arriva alle siderali distanze che Cacciari pone tra sè e il  Palinsesto –  Isola dei famosi? E che è? – e qualche puntata del reality a cura della premiata ditta Endemol, la si è pur vista. Abbastanza per farsi un’idea.

Confesso che mi sarebbe piaciuto osservare di più  la Luxuria alle prese con l’abituale clima improbabile e sgangherato dei realities, lei che quando faceva spettacolo, aveva spesso rivisitato  Trash e Kitch in chiave di intelligente ed ironica parodia ( c’è anche una dignitosa filmografia in cui è  interprete) .

Anche per questo mi era spiaciuto il taglio sociopoliticoculturalmilitante che alla vigilia della partenza per l’Honduras, la Vladimir aveva inteso conferire alla sua partecipazione. Era un po’ come rinnegare le sue indubbie doti artistiche in favore di un non meglio identificato messaggio politico, in quel caso ritenuto - non si capiva bene  per quale motivo – intrinsecamente più nobile.

Tuttavia, per quel che ho visto del programma e per quel che se ne è scritto, mi sentirei di escludere che la connotazione politica, sia stata al centro dell’essere naufraga tra i naufraghi, di Vladimir . Ma ora che si è aggiudicata il premio, il di lei successo, torna ad assumere la valenza di fenomeno socialmente rilevante.

Le associazioni gay e transgender esultano strillando al cambiamento epocale, Ferrero le offre candidature europee,  e specularmente, i detrattori dichiarano che senza ombra di dubbio, questo è l’ennesimo segnale della morte della sinistra. Come da copione.

Per quel che ne so io,  non è inusuale in questi format che il pubblico prediliga la persona che mostri più intelligenza o buon senso, fu il caso di Lori Del Santo –  una finta tonta con molto più sale in zucca di quanto possa apparire – o di Sergio Múñiz o Walter Nudo, modelli – comportamentali,  oltre che per professione –  che all’interno della dinamica del gioco, avevano dimostrato  una certo senso della misura tanto più marcato quanto più  messo a confronto con le modalità sguaiate ed urlanti del resto della compagnia. 

Credo che però,  nel caso di Luxuria, nemmeno questo tipo di  savoir faire abbia giocato un ruolo centrale nell’acquisizione del consenso. Piuttosto Vladimir,  dal quale ci si attendevano esplosioni, cinguettii e trasgressioni, si è distinta per il suo comportamento del tutto normale.

Il che ha significato sfiorare il moralismo facendo la spia su presunte liaison e corna che  compagni di gioco avrebbero inflitto a rispettivi inconsapevoli partners nella vita, ovvero ingaggiare dispute verbali con Patrizia, contessa De Blanc, sul fatto che l’Italia è una Repubblica e non una Monarchia e che dunque si decida anche lei a cedere un po’ delle sue  brioches al popolo , oppure sentenziare sul significato di  espressioni in slang col marito di Ivana Trump,  un giovanotto,  che pur avendo in quel caso ragione, è antipatico e poco televisivo a prescindere.

Insomma Luxuria ha dimostrato in tutto e per tutto di poter essere la concorrente ideale. Votarla in massa deve aver avuto  lo stesso significato  che assume l’amico gay, quello che tutti si vantano di avere ed esibiscono come prova inconfutabile di tolleranza & liberalità.

Salvo poi inorridire e dar battaglia se costui  pretenda la reversibile o l’ eventuale intervento chirurgico pagato dalla mutua, mai sia, se vuole adottare un figlio, fulmini e saette se lo desidera avere con l’eterologa nel senso di inseminazione. O più semplicemente se vuol essere libero di indossare l’abbigliamento che crede, che si tratti del gay pride, dell’abito nuziale col velo per andare a sposarsi o del foureau per prendere il the con le biscugine monarchiche , poco interessa.

Luxuria in proposito non  ha dimostrato di sostenere le grandi rivendicazioni della Prima Ora. Così, è divenuto più facilmente il simbolo della trasgressione alla portata di tutti.  Ha convinto e vinto. Di qui però a festeggiare l’avvio di un processo di grande  mutazione sociale, ce ne corre.

Guarda caso, nelle ore in cui Luxuria festeggiava la vittoria, un transessuale veniva assassinato a Roma, mentre qualche giorno prima, alcuni gay, avevano denunciato l’impossibilità di prendere in affitto appartamenti, per i ripetuti dinieghi di padroni di casa. Pretesto addotto : la diversità degli aspiranti inquilini.

Altre storie. Differenti da Vladimir che ha sostenuto di meritare il cospicuo premio per essersi messa in gioco fisicamente, esteticamente, con i capelli bianchi e i difetti fisici. Mediti pure chi questa impresa compie ogni giorno, con l’aggiunta di abilità conquistate a costo di sacrifici, ma senza enfasi ne’ medaglie, e per soprattutto per compensi di gran lunga inferiori.

Dice Paolo Ferrero con ardita acrobazia  lessicale che Vladimir Luxuria è un modello antropologico molto positivo . A me sembra solo l’ennesimo personaggio che va ad accomodarsi buon ultimo nel rutilante mondo del similvero, quello in cui vince chi si mette più in evidenza, chi sa farsi valere. Qualcosa che col valere non ha niente in comune. La cultura di riferimento è quella solita : puntare tutto sull’essere diversi, somigliando però il più possibile alla figlia della portiera. Un po’ di qua e un po’ di là.

Crederci sempre. Arrendersi mai.

Il lato chiaro di questa società

Il lato chiaro di questa società

La pazienza l’emo persa, essendo questo uno striscione romano, in altre città l’eventuale perdita della virtù dei forti, può essere declinata a piacimento

La violenza sulle donne non è l’esito di una devianza eccezionale, ne’ responsabilità di degenerati. E’ il lato chiaro di questa società, della sua cultura, della sua organizzazione e di politiche che, umiliandone la condizione, ricacciano le donne in casa, il luogo meno sicuro, quello in cui sono più esposte.

Ce lo hanno chiarito sabato scorso anche le studentesse dell’Onda : tra i disoccupati, le donne sono le ultime a trovare un lavoro, tra le precarie le prime a perderlo, ma staranno a casa anche quelle che non potranno più usufruire del tempo pieno per i loro figli . Le donne, pagano la crisi – slogan caro alle surfiste – più di tutti gli altri.

Necessariamente insostenibile

Necessariamente insostenibile

Il bambino che credeva  vittima di un rapimento e che le viene restituito non è suo figlio. La polizia di Los Angeles, spregiudicata e corrotta, vuole risolvere le indagini a tutti i costi e  insiste fino a rinchiudere in manicomio lei, Christine Collins –  la madre del piccolo – dopo averla  bollata come persona difficile  e questo   solo perchè si oppone alla versione degl’investigatori. Sarà sottoposta a terapie violente ed umilianti, somministrate senza particolari formalità, così come consentito dalla legge di allora. 

Il caso specifico non sarà risolto, ma indagando sul mistero della scomparsa del bambino, si scopriranno gli omicidi seriali di un pedofilo che sarà poi mandato a morte, come una sorta di colpevole predestinato però, dunque senza che in tutto questo si possa rinvenire  la benchè minima idea di giustizia.

Tratto da una storia vera, resa la sceneggiatura  ancor più aderente alla realtà da un’indagine accurata su materiali d’epoca – ma la verità è la virtù più importante del pianeta, ama dire  Eastwood – questo film si colloca sulla direttrice tracciata da una produzione che con Mystic River, Un mondo perfetto etc,  nell’analisi impietosa della società americana, racconta  i passaggi dolorosi della  perdita d’innocenza di quel  paese. Mischiando i generi, senza tralasciare l’ horror e finanche lo splatter,  in un crescendo di atrocità  che comunque preludono alla sconfitta, Eastwood scrive un altro capitolo sulla fine del Sogno Americano. Un film straziante, di indispensabile violenza in ogni suo passaggio. Particolarmente  nel racconto dell’esecuzione del pedofilo.

Di quale pace parlate? – si chiede Eastwood – Dopo uno spettacolo simile, quale tranquillità sperate di ritrovare? È per questo che ho voluto filmare questa scena con il più grande realismo, il rumore del collo che si spezza quando il corpo oscilla nel vuoto, i piedi che si agitano al momento dell’agonia… è insopportabile da vedere, ed è questo l’effetto che cercavo.

Impeccabile Malcovich nella parte del predicatore radiofonico che sosterrà, la battaglia di Christine. Toccante Angelina Jolie e, manco a dirlo, straordinario, lucido, indipendente tessitore, Clint Eastwood. Nessuna Palma a Cannes ( altre ingiustizie)  ma meritatissimo premio alla carriera, per il regista.

Changelling è un film di Clint Eastwood. Con Angelina Jolie, John Malkovich, Jeffrey Donovan, Colm Feore, Jason Butler Harner, Amy Ryan, Michael Kelly, Devon Gearhart, Kelly Lynn Warren, Gattlin Griffith, Michelle Martin, Frank Wood, Devon Conti, J.P. Bumstead, Debra Christofferson, Russell Edge, Peter Gerety, Pamela Dunlap. Genere Drammatico, colore 140 minuti. – Produzione USA 2008. – Distribuzione Universal Pictures

Toh…un film

Toh…un film

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Veramente ce n’è in giro un altro paio,  forse tre, ma diciamo che dopo il Festival di Roma e qualche settimana di quaresimali passati  in sala a sciropparsi inutili visioni, questo Rachel Getting Married, potrebbe rimettere in pista il piacere di andare al cinema. Dunque, qui abbiamo Anne Hataway, già sulla via della disintossicazione da ruoli zuccherosi di aspiranti principesse, aspiranti donne in carriera, aspiranti giornaliste,  subito dopo Havoc di Barbara Kopple, in cui tra parolacce e versi di Jay – Z e Tupac, completava il quadretto della bad girl, dedicandosi anima e corpo  al sesso svelto e al crack. Una grande riabilitazione.

Che prosegue con  Rachel getting married, dove  interpreta il ruolo del corpo estraneo, della pecora nera, il cui momentaneo ritorno in famiglia per il  matrimonio della sorella maggiore, provoca tensioni, alimenta nevrosi e  scombussola equilibri, come si conviene ad una vera problem child  che oltretutto custodisce assieme ai suoi un terribile segreto.

Ma soprattutto abbiamo Jonathan Demme, regista indipendente dalla eclettica traiettoria artistica che per raccontare la festa di nozze di un uomo d’affari di colore con una ragazza bianca della media borghesia agiata e liberal dell’East Coast, convoca sul set  una bella combriccola di amici, compagni e familiari che poi sono il  poeta sino-americano Beau Sia,  attori come Anna Deavere Smith, cineasti del calibro di Roger Corman e Anisa George, musicisti world,  iracheni, greci e palestinesi, solisti alla chitarra (come suo figlio Brooklyn) e amici delle Pantere nere (come il cugino Bobby ). Più una scuola di samba a ravvivare le coreografie.

Aggiungi,  in un simile contesto, una colonna sonora con  i ritmi di Zafer Tawil e altri  sound  – del jazzista Donald Harrison jr., del percussionista arabo d’America Johnny Farraj con il suo ria, del trombettista iracheno e suonatore di santoor Amir Elsaffar, della vocalist siriana Gaida Hinnawi, con la sua personale interpretazione del maqam arabo, del pianista greco Dimitrios Mikelis – e la parata transculturale, pre elezione di Obama ed in suo onore, come da dichiarazioni veneziane, è servita.

Intanto piccoli miracoli compiono, la camera a mano ( spesso digitale) che si lancia nella mischia dei festeggiamenti o irrompe in casa e le riprese in tempo reale. Demme non vuole che il pubblico sia fuori del film . E riesce nell’impresa di non escluderne mai la presenza.

Così mentre il  microcosmo familiare si scompone e si ricompone, tra gare di crudeltà verbale  e boxing match tra consanguinei , è impossibile che l’elemento multirazziale, nemmeno troppo di sottofondo, appaia per quel che è : la vera risorsa contro lo sfascio del Sistema America.

Regole narrative saggiamente scombinate da  Jenny Lumet, figlia di Sidney, sceneggiatrice di talento, ricercata e fantasiosa. Una delle felici scoperte di questo film.

Niente premi a Venezia. Ingiustamente.

 

 

Rachel sta per sposarsi (Rachel getting married ) è un film di Jonathan Demme. Con Anne Hathaway, Rosemarie DeWitt, Mather Zickel, Bill Irwin, Anna Deavere Smith.

Drammatico, durata 114 min. – USA 2008. – Sony Pictures

 

La bella politica

La bella politica

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Non c’è niente di male ad ammettere che il PDL abbia ritirato, dopo aver opposto una breve resistenza, la candidatura Pecorella a giudice della Corte Costituzionale. Anzi non c’è niente da ammettere : è la verità.

Che poi tra Pecorella e Orlando ci siano differenze abissali, è tanto vero quanto ininfluente, soprattutto quando si parla di metodo e non di merito.

Confondere i due piani equivale ad un’ inesplicabile  scalata agli specchi. Alla fine della quale la verità rimane tale e quale,  e cioè  che la PDL ha ritirato una candidatura sulla quale non c’era possibilità di convergenza, mentre PD e IDV hanno insistito oltre ogni ragionevole chance di successo, con la candidatura Orlando.

Poi ci lamentiamo di non riuscire a trovare formule comunicative efficaci.

Men che meno, quando ad Omnibus un  passaggio di bigliettini tra La Torre PD, e Bocchino PDL, intercettato dalla regia e mandato in onda da Striscia la Notizia, rivela uno scenario in cui quelli che dovrebbero essere aspri contraddittori, altro non appaiono se non come un artefatto gioco delle parti, in cui il contendere c’entra pochissimo.

Io non lo posso dire…ma il precedente della Corte ? Pecorella.. sta scritto nel (non più) misterioso foglietto che stamane Antonello Piroso ha mostrato al pubblico e successivamente consegnato al Direttore del Riformista. Per gli usi consentiti, come si dice in questi casi.

Il mistero però, con buona pace di tutti i media che su  quel biglietto ricameranno a piacimento nelle ore a seguire, è  tutto racchiuso in quel io non lo posso dire.

Il senatore La Torre non lo può dire per rispetto all’alleato Italia dei Valori ?

Che non lo dica allora, assumendosi la responsabilità di una posizione francamente insostenibile, ma quantomeno chiara. 

Ovvero  dica apertamente cosa accade. Cioè che Di Pietro, al quale in questi giorni, è stato più volte richiesto di fornire una rosa di nomi in alternativa , si è rifiutato, insistendo su Orlando.

Certo che subito dopo un simile outing, a La Torre toccherebbero risposte a domande imbarazzanti, del tipo ma che alleato è uno che si comporta come Di Pietro?

Ma questa è un’altra storia. Non si può mascherare oltre certi limiti, l’errore di avere scelto alleati inaffidabili. Ma sono conti che si regolano direttamente. Non ci si può attendere che lo faccia l’avversario in vece nostra.

Poi è inevitabile che vada come è andata , cioè nel ridicolo e nella confusione.Con tanti saluti alla Bella Politica e annessi propositi della Prima Ora.