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Mese: Aprile 2008

I care

I care

Mi sta a cuore. Più efficace traduzione del motto dei giovani americani migliori , Don Lorenzo non avrebbe potuto trovare . Nella selva di metafore e slogan politici che hanno attraversato gli ultimi  anni, l’ I care  mantiene integra la sua forza, un po’ perchè filo conduttore di un’esperienza Unica quale è stata Barbiana ma soprattutto perchè I care stimola l’istinto dello scatto in più rispetto al nostro abituale essere o meno d’accordo su di un’idea o su un progetto. I care. E corri con la mente subito a cosa puoi fare, perchè se ti sta a cuore davvero qualcosa, il solo Pensiero non può essere sufficiente a contenere la determinazione di quell’istinto. Ma non è tutto .  Don Lorenzo per esempio, ancora testimonia come essere dalla parte degli Ultimi significhi in realtà volere molto altro. Giustizia, equità, stesse opportunità per ciascuno. In una parola : Democrazia. Ancora quell’esperienza indica con chiarezza quanto sia aspro il cammino di chi si mette per traverso, magari perchè semplicemente s’interroga, coltiva o insinua dubbi e con questa piccola operazione si costruisce un’etica che di questi tempi equivale a mettere le bombe sotto la carrozza del tiranno, ovvero perchè direttamente contrasta interessi, o mette in dubbio poteri costituiti. Il Partito Democratico che ha preso l’avvio da Barbiana, ha espresso l’ambizione d’interiorizzarne lo spirito. E’ tuttavia lecita ogni perplessità e  senso di scoramento che accompagna il voto di domenica. Non può essere sufficientemente motivato chi vede ancora  irrisolte le grandi questioni che assillano la vita di questo Paese, ne’ l’aver avuto in Romano Prodi l’artefice del risanamento potrebbe di per sè attenuare la delusione, quando non il peso dell’insistere di effettivi disagi. L’astensione non è una scelta che mi è congeniale ma capisco chi ne è tentato.Il Partito Democratico non ha potuto ancora offrire di sè una visione certa, ne’ una prova dei fatti tale da poter essere considerato una garanzia effettiva. C’è molto di detto e scritto, ci sono i programmi, le liste, i dibattiti, la stampa, la generosa partecipazione di molte donne e di molti uomini, ma un partito non si può giudicare dalla campagna elettorale ne’ dalle scelte , seppur felici, ad essa connesse.Troppo poco per le aspettative deluse e per il conseguente bisogno di concretezza degli elettori. Troppo poco per capire come e se, l’idea di sintesi tra diverse sensibilità riuscirà a materializzarsi in un progetto comune che sia laico e improntato al valore irrinunziabile della Giustizia Sociale. I partiti si giudicano alla prova dei fatti. E fin qui il Partito Democratico  ha potuto solo esprimere promesse, dichiarazioni d’intenti : Parole. E anche se la gente di Roma ha trovato in Veltroni sindaco, l’amministratore che ogni capitale europea meriterebbe, ciò non è ancora sufficiente a confortare dubbi e disillusioni. Noi possiamo argomentare quanto vogliamo con gli elettori indecisi, presentare programmi e chiarire dubbi , motivare, ove ce ne fosse bisogno, alcune scelte del Partito Democratico dalle Primarie fino alla compilazione delle liste passando per le prove di dialogo sulla riforma elettorale, quanto poi a presentare Berlusconi come un reale pericolo per la Democrazia, non si fatica nemmeno troppo, in ogni piega dei suoi discorsi, è contenuto un pesante disprezzo per le istituzioni, un’idiosincrasia per le regole, particolarmente per quelle che potrebbero contrastare quel modo rapace di fare impresa di cui è campione indiscusso. Si può votare contro e in questo caso specifico  il contro sarebbe già un’affermazione ben definita ma si dovrebbe anche votare per un’idea di futuro che si stima essere la migliore e che appassiona. Quale che sia l’idea, noi sappiamo si dovrà confrontare con le persistenti anomalie di questo Paese : una destra con tentazioni autoritarie oltre il consentito e che non svolge il ruolo  liberista che le sarebbe proprio, una parte di sinistra che  cerca di sopperire alla carenza con quel che ne consegue in termini di confusione , mentre l’altra parte, poco incline a gestire il proprio rapporto con il potere, sembra destinarsi a quella perenne testimonianza che, almeno altrove, ne ha invariabilmente assottigliato le fila. In mezzo tutto l’ individualismo e il corporativismo che il tempo che passa sembra acuire e che impedisce la formazione di una coscienza del Bene Comune.  Alla fine di tutto, quel che si può chiedere agli elettori è sempre un (ennesimo) atto di fiducia verso una forza politica che si spera abbia conservato nel proprio DNA uno dei tratti distintivi del proprio passato e che a più riprese ha sempre offerto un contributo essenziale per combattere la disgregazione in questo Paese. Andiamo a votare, non mi pare ci sia altra scelta se non tornare ad attivare la Speranza. I care. Nonostante tutto, molto ci sta ancora a cuore. Veltroni si può cambiare. Berlusconi no.

barbiana40Nelle illustrazioni c’è l’aula di Don Lorenzo Milani a Barbiana , il perchè la visione di questi ambienti, abbia su di me, che non sono nemmeno credente, un forte impatto, rimane un mistero

Jezebel!

Jezebel!

Il confine tra un cattivo carattere e l’avere carattere è , come si sa, molto esile. Questa donna ha dato filo da torcere a tutti : mariti (quattro) , produttori , sceneggiatori, registi, amici, ma se le avessero affidato, com’era previsto, il ruolo di Scarlett , Via col vento sarebbe stato un capolavoro immortale e non un polpettone indigesto che prende luce solo quando il colonnello Buthler mostra al mondo quanto è maschio lui. Non certo per l’interpretazione leziosa e priva di dramma della Leigh. Bette Davis però, non ebbe quella parte per la quale aveva fatto un provino e preso accordi e che rispetto alla Mitcheliana descrizione, le calzava a pennello. In  compenso mise in croce Jack Warner della concorrenza perchè producesse la Figlia del Vento. I due film ebbero destini diversi (anche  la Figlia del Vento però , fu premiato dall’Academy) , ma oggi noi ci ricordiamo di Rossella – Vivien Leigh e niente più, mentre Bette Davis è nelle nostre menti  indipendentemente dai personaggi che ha interpretato. Il carattere è un’arte e, in sottordine, una categoria del cinema. Ma per avere carattere cioè per essere se stessi ad ogni costo, si pagano prezzi altissimi . E a Bette Davis per lavorare capitò anche di scrivere un’inserzione su Variety . Ciò non le impedì di aggiudicarsi i premi più ambiti : due Oscar e una Palma d’oro . Il suo discorso sul genere femminile rimane ancora oggi di una modernità sorprendente, niente a che vedere col femminismo soft aereobico di Jane Fonda. Bette uccideva mariti e amanti, maltrattava sorelle, detestava mamme, vinceva impari tornei di scopone con i baraccati , sopportando però con dignità il peggior contrappasso per un’attrice : essere soppiantata da un’attrice più giovane. Fuori da qualsiasi schema, in controtendenza con il  melò  dai 40 th in poi , si mangiava tuttavia ,  l’Actor’s Studio a colazione, non era bella ( o forse si ) non era docile (sicuramente no ) ma era un’attrice di impressionante bravura. Doppiata in Italia dal magico birignao di Tina Lattanzi ( chi ha chiuso la luce caaara?) , coeva di Anna Magnani con la quale intrattenne una fitta corrispondenza  che durò fino alla morte di Anna, compirebbe in questi giorni 100 anni. Per 50 ha graffiato gli uomini della sua generazione (Tavernier diceva che aveva gli occhi tondi da rapace), facendosi poi perdonare tutto quando mandò in giro per il mondo la vecchina delle mele di Angeli con la pistola.

Alla buon’ora ( ma non pensarci)

Alla buon’ora ( ma non pensarci)

 

 

non pensarciFamiglia

Ultratrentenni alla deriva, si direbbe, se Gianni Zanasi – finalmente ritornato tra noi  – non ci avesse messo del suo, cioè a dire un  sincero estro letterario capace di trasformare con bella penna profonda e mai  retorica, il dolore in leggerezza e il senso di smarrimento in speranza . Vale a dire il giusto approccio per affrontare un tema  di apparente banalità : famiglie al top della dissociazione , sogni non realizzati e crisi esistenziali a gogo . Zanasi risolve  mescolando elementi con idee brillanti e affidando  il tutto ad un cast strepitoso capace di trasmettere vitalità. Chi dice che non abbiamo registi, non abbiamo attori, non abbiamo storie e nemmeno linguaggi,  guardi con attenzione questo Non pensarci  e si renda infine conto che al nostro cinema, a parte i mezzi, un po’ di coraggio e una buona legge , non mancherebbe proprio nulla per sfilare sulle croisette  e sui red carpets di tutto il mondo dove non è che sempre si viaggi a colpi di capolavori assoluti. Esce con duecento copie (una miseria ) sette mesi dopo Venezia 2007 dove lo si è potuto apprezzare alle Giornate degli Autori.

non pensarciDelfini

 

 

Non pensarci è un film di Gianni Zanasi. Con Valerio Mastandrea, Anita Caprioli, Giuseppe Battiston, Caterina Murino, Paolo Briguglia, Dino Abbrescia, Teco Celio, Gisella Burinato, Paolo Sassanelli, Luciano Scarpa, Natalino Balasso. Genere Commedia, colore 109 minuti

Giù le mani

Giù le mani

Juno (ovvero Giunone) , piccoletta e tosta, con maglioni di forma  indefinita, jeans più kilt, sneakers, leggings e tutto il resto del corredo dell’adolescente ribelle ivi compresa una certa sfrontatezza , l’allegria e il bel piglio determinato che ogni libera scelta comporta. Quando l’abbiamo vista l’autunno scorso, nessuno avrebbe pensato che sarebbe potuta diventare la bandiera di una qualsiasi battaglia ma che fosse solo l’espressione di una nuova sensibilità di cui il  cinema americano,peraltro, ci stava già raccontando con  Waitress o Molto incinta  tutte storie di impreviste gravidanze con nessuna voglia di abortire. Niente nell’universo di Juno parla di fondamentalismo o di cupe battaglie per la vita, tutto è naturale nella non accettazione della logica dell’interruzione di gravidanza  ma nemmeno di quella del ricatto dell’istinto materno a tutti i costi. Bella sceneggiatura di  Diablo Cody, una donna che sa.

Juno è un film di Jason Reitman. Con Ellen Page, Michael Cera, Jennifer Garner, Jason Bateman, Olivia Thirlby, Allison Janney, Rainn Wilson, J. K. Simmons. Genere Commedia, colore 92 minuti. – Produzione USA, Canada, Ungheria 2007. – Distribuzione 20th Century Fox

I grandi vecchi non sono tutti uguali

I grandi vecchi non sono tutti uguali

Se a stigmatizzare il comportamento dei centri sociali  a Bologna fossero stati Pietro Ingrao o Vittorio Foa ( e credo che ne’ l’uno , ne’ l’altro abbiano potuto apprezzare il lancio contro Ferrara) nessuno avrebbe osato di dar loro dei Vecchi Arnesi. Ciò non è  accaduto a Miriam Mafai che per aver difeso su Repubblica il diritto di parola, è stata più o meno tacciata di essere una vecchia ciabatta che, insieme al suo giornale, impartisce lezioni a destra e a manca, dimentica che al mondo esistono i  centri sociali , le antagoniste iniziative dei quali , non sono trasmesse in mondovisione e dunque ecco qui spiegato che per finire in prima pagina, non resta loro che il lancio di oggetti  in difesa, peraltro non richiesta, di quelle donne che Ferrara taccia di assassinio. Il tutto ad opera di un tale di cui ho avuto cura di dimenticare il nome e che non linko perchè mi fa senso, dalle colonne nientedimeno che del Manifesto di ieri. Ora, io mi guardo bene dall’attraversare la strada e impiegare un po’ del mio tempo per lanciare sampietrini alle finestre della redazione, quantunque  autorizzata dalla condizione di donna piuttosto seccata per il trattamento che il giornale ha riservato alla Mafai, la quale, a ben vedere, s’è accorta del tema dei diritti e dell’universo politico femminile , secoli prima di certe grandi vecchie che dal proprio appartamento di Parigi, ci mandano a dire a mezzo Manifesto, ovvietà sulla rappresentanza femminile. Il comunismo, si sa, non è mai stata una buona lente per leggere la condizione delle donne. Se la cava meglio con quella dei centri sociali e degli oppressi . E allora anch’io dal mio attico di Roma manderò a dire in redazione che per quest’anno e per i seguenti e per la protervia con la quale sono trattate le donne sul giornale, hanno perso un’ abbonata.

Aggiornamento (e ho idea che potrebbe durare all’infinito) perchè qui evidentemente si è toccato un nervo a definire inopportuna e controproducente la contestazione a Ferrara, visto che l’editoriale del Manifesto di oggi paragona i dreamers  i sessantottini di Parigi che manifestarono davanti alla Cinématheque (un movimento di massa ,con un’ idea di cambiamento della società nella zucca che oltretutto  si rifletteva nella pratica quotidiana ) con gli appartenenti ai centri sociali che all’improvviso sono diventati emblema dell’antagonismo nazionale. Allora ho capito anche da dove nasce tutto il livore e la retorica rivoluzionaria d’antan – vecchi, quanto sono vecchi e che tristezza questo eterno baloccarsi con le medesime analisi e i medesimi concetti da anni – il che mi induce a rivedere l’idea che mi ha fatto sempre apprezzare i Perdenti con Dignità, categoria alla quale mi pregio di appartenere. Mi sa che se continua così rimangono solo i Perdenti. Senza la Dignità. E allora non ci sto.E oltre all’abbonamento finirò col toglier loro  anche il saluto.