Sfogliato da
Mese: Ottobre 2008

Gelmini, vai al cinema

Gelmini, vai al cinema

Troppe riforme e troppo improntate a criteri economicistici, senza un Progetto o un’Idea di Scuola,  ma buttate lì a caso, generano caos, consegnando gl’insegnanti, privi di mezzi adeguati , alla solitudine e alle difficoltà del dover affrontare un mondo in continua evoluzione. Intorno all’ipotesi che le classi siano probabilmente l’ultimo punto di osservazione delle dinamiche legate alla mixité e che la scuola in genere, sia un luogo in cui si concentrano attenzioni politiche e meccanismi autoritari, si sviluppa questo Entre les murs – qui da noi tradotto con l’insignificante La Classe  –  vincitore , a buon diritto, della Palma d’oro a Cannes 2008. Girato in un vero liceo parigino del 20 Arrondissment, con autentici  studenti, inseriti in un gruppo di lavoro, adottando il regista, il metodo del laboratorio teatrale(canovaccio e sessioni d’improvvisazione), Entre les murs è un film sul Valore dell’ Insegnare e dell’Apprendere e della relazione che ne deriva fatta di scambio, crescita e ricerca collettiva Vivace come la macchina da presa che si muove entre les murs, con grande disinvoltura ma soprattutto capace di cogliere l’essenza del reale senza retorica, enfasi o sbavature di sorta.Tutto merito del taglio – ne’ fiction ne’ documentario –  che si è scelto . Tratto dall’omonimo libro di Françoise Begaudeau – che nel film recita il ruolo dell’insegnante – diretto da Laurent Cantet – il regista di Ressurces Humaines – un film da vedere pensando a quali effetti possano avere la disattenzione e i dettati gelminiani, in contesti scolastici oramai, sempre più  multietnici.

 

 La classe (Entre le murs) è un film di Laurent Cantet. Con François Bégaudeau, Nassim Amrabt, Laura Baquela, Cherif Bounaïdja Rachedi, Juliette Demaille, Dalla Doucouré. Genere Drammatico, colore 128 minuti. – Produzione Francia 2008. – Distribuzione Mikado

 

Essere Mara

Essere Mara

Carfa

Va da sè che l’imperativo categorico sul far della mutazione, dev’essere stato : scordatevi del calendario, delle chiome fluenti, delle curve pronunciate e dell’effetto bagnato. Quale altro motivo al mondo potrebbe spingere una donna di trentadue anni a combinarsi come sua zia, se non l’esigenza di  rendere inequivocabili, i tratti di un cambiamento a trecentosessanta gradi ? Annullare il proprio passato. Che tema avvincente. Al cinema.  

Siccome però il cambiamento è tutto di facciata, lo spettacolo continua,  solo che al posto della scollatura profonda e della bigiotteria vistosa, oggi c’è di nuovo  che non si esce di casa senza una camicetta, un maglioncino, un foularino  che sottendano, costi quel che costi,   riservatezza e compunzione. Un monumento all’Inappuntabile. Una sorta di total look da personcina seria e perbene. Magari un po’ troppo total,  per essere vero, soprattutto per essere davvero il suo.

Anche da Stefania Prestigiacomo ci si sarebbe potuto aspettare  uno stile ministerial tranquillo, ma in quel caso, forse perchè meno integralista – e decisamente più intelligente e appassionata – qualche smagliatura nel Progetto, chessò un orecchino un po’ troppo colorato e pendente, una ciocca fuori posto, una nota vivace,  denotano umana presenza dietro l’attenzione alla mise.

Qui invece niente : dal caschetto integrale, al broncio, all’occhio sgranato, al colletto irreprensibile, pare tutto dipinto. E tutto rigorosamente in stile, come si dice in questi casi. Il fatto è che Mara Carfagna non deve solo esibire una nuova identità ma deve soprattutto dimostrare di essere preparata e adatta al ruolo che ricopre.

E qui è un po’ più complicato. E siccome dimostrare di essere – qualsiasi cosa –  è una tale fatica da non lasciar libere energie  per altre attività, gli scivoloni si susseguono. Non tanto quando si tratta di declinare i propositi di questo governo in merito ai servizi – l’ultima in ordine di tempo è la disinvolta proposta degli asili nido condominiali  e il cielo sa cosa ci volle per aprirne 18 a norma in luoghi di lavoro, figuariamoci nelle abitazioni – quanto fronteggiare impreviste domande da parte degl’interlocutori.

  Ed è esattamente questo il momento in cui l’aplomb comincia a vacillare. Ne sa qualcosa Ritanna Armeni che sere fa, tentava di piazzare un concetto e che è stata più volte interrotta dalla stizzita ministra, con espressioni del tipo lei dice sciocchezze ! Già. L’abito fa di sicuro il monaco, ma per i miracoli ci vuole il know how.  Oppure quando tratta di difendere il perimetro in cui crede di aver infilato se stessa. Allora no : Allora a domanda (di Mentana ) risponde a campanello e senza gobbo :  Veronica Lario mica alludeva a lei, in quella famosa lettera aperta al consorte. Ma ad altro. 

Pur  di tirarsi fuori d’impaccio, nega l’evidenza e  inguaia ulteriormente lo sponsor, così galante con le signore e così cortese. Oh finalmente la nebbia si dirada, e nella classica riproposizione di un ruolo già noto , si può rinvenire un briciolo di verità. Gratta gratta riemerge la soubrette della commedia all’italiana anni 50  – pur senza la magia dei suoi artefici –   E con Mara non bisogna nemmeno grattare troppo.

Agata !

Agata !

Lo stadio è diventato una metafora delle tensioni sociali e dei conflitti del nostro tempo, in un contesto in cui si sovrappongono suggestioni ideologiche, conflitto di classe, sfogo individuale e senso d’impunità. Un luogo extraterritoriale governato da un forte senso dell’omertà e da una radicata convinzione d’impunità.

Non è il passaggio chiave di un pamphlet sugli ultras ma lo stralcio dell’Ordinanza applicativa di custodia cautelare che ha disposto carcere e arresti domiciliari per una quarantina di persone implicate nei fatti di Pianura del gennaio scorso. Intendiamoci, le considerazioni generali possono riguardare qualsiasi stadio in una qualunque città, connessioni politiche e malavitose incluse. Tuttavia, in questa circostanza, l’aggravante – ma non è solo il piano giudiziario che  interessa – riguarderebbe da una parte, la presunta regia degli episodi di violenza, a cura di esponenti del governo e dell’opposizione nella città, quindi una presenza bipartisan che lungi dal significare trasversalità nella tutela del bene comune, lascia intuire tutto l’opposto e cioè  una  ricerca del consenso e dell’interesse privato così smodata da travalicare ogni uso costumato del proprio ruolo istituzionale,  fino a scatenare la guerriglia pur di perseguire i propri scopi, e,  dall’altra, la bieca strumentalizzazione di legittime istanze di cittadini che in buona fede hanno inteso manifestare il proprio dissenso . Va detto però, che le  varie sigle demenziali, Niss o Teste Matte che fossero, non  furono a Pianura, presenze misteriose e sotterranee,  ma attive sul campo ufficialmente,  cioè con l’intero visibile armamentario di slogan e  striscioni  teorizzanti comportamenti esiziali. Oggi sappiamo, grazie alle indagini,  a chi presumibilmente era affidata la movimentazione delle truppe, ma già da allora , qualcosa non era del tutto chiaro, giacchè diffficilmente  le famiglie in lotta con i ragazzini al seguito, sequestrano i bus per farne falò. Nè ingaggiano scontri con la polizia. Responsabilità della gestione impolitica del movimento di Pianura che come altri  consimili, non è stata in grado di isolare i violenti  e i mestatori. Ma anche di un’opinione pubblica territoriale che tende a  banalizzare qualunque ipotesi di connessione con la criminalità, ovvero a operare costanti rimozioni  circa i possibili intenti edilizio-speculativi, che poi spesso si rivelano essere il vero motore di certi falsi antagonismi.  La discarica, una delle tante spine nel fianco del governo Prodi,  infine non è stata riaperta. Buon per i cittadini di Pianura. Ma a quale prezzo? Beh  forse questo ce lo sapranno dire i cittadini di Chiaiano, tra breve. Vale la pena di leggere le considerazioni che sostengono l’Accusa nell’ordinanza  di cui sopra. Parole avvertite, limpide ma  durissime  come difficilmente capita in simili documenti, realizzano il contesto di cui i reati ascritti sono il naturale esito :

Al consigliere dell’opposizione e all’assessore con delega alla protezione civile –devastazione, per aver sistematicamente incoraggiato, sostenuto e diretto azioni di forza violente, rispondendo a logiche di propaganda e a interessi speculativi contigui alla camorra –

Al resto degli indiziati : Devastazione Scontri di piazza pilotati per acquisire consensi e speculare sugli immobili  nell’ambito di un disegno criminale sostenuto da esponenti dei clan Varriale

 

Agata! Era il grido di battaglia degli ultras di Pianura prima degli assalti. E’ l’unica concessione al folclore del quale ieri erano, come di consueto, stipati gli articoli sulle gazzette, che credo, lecita. Agata ! Non vuol dire nulla, o meglio nessuno sa cosa voglia dire. Ha, secondo me, una strana asonanza col grido  dei musulmani che dedicano il colpo di mortaio, la decapitazione, l’autoesplosione al loro padreterno –  Allah Ackbar – loro, lo pronunciano contraendo le vocali, ma sono congetture probabilmente  suggeritemi da qualche vaga analogia con le circostanze in cui viene urlato. Appena prima dell’azione. Nell’insensatezza di tutto, questo grido surreale sancisce la misura di una situazione altrettanto surreale : Chi in una sorta di war game, chi nell’esercizio plateale di un potere ( sono davvero tutti uguali i toni  nelle intercettazioni) che rispetto al vero potere di chi muove i fili è ridicolmente insignificante, mentre lo scarto che c’è tra quei toni da feldmaresciallo e l’effettivo danno prodotto alla collettività, è pura tragedia. Chi incarna contestualmente il ruolo di capo del governo e quello di capo della banda. E in questa discrasia oltre che la propria schizofrenica doppiezza, realizza l’ incapacità di adeguarsi ad un solo ruolo : o quello di chi governa (e rischia) o quello chi si oppone (e rischia). Chi in buona fede, costoro ha eletto e si è impegnato in una battaglia per la vivibilità e la salute e che non merita di essere, come la metti, la metti, turlupinato. Chi ci ha rimesso la faccia, la credibilità e il consenso onestamente acquisito. E infine chi davvero vorrebbe raccontare un’altra storia. Agata!

Non è razzismo ( ma allora cos'è?)

Non è razzismo ( ma allora cos'è?)

E’ possibile che l’omicidio del giovane ladro di biscotti a Cernusco, dei sei lavoratori di Castelvolturno o che i pestaggi di Parma e di Roma e da ultimo la perquisizione della donna somala a Ciampino, non corrispondano effettivamente ad un’autentica emergenza legata ad odio razziale. Per ognuno di questi casi, ci viene fornita una risposta differente : tragico errore, regolamento di conti, montatura a fini mediatici, bravata etc. Tuttavia, è difficile negare quanto in ciascun episodio, il colore della pelle, l’appartenenza ad altra etnia, giochi – non solo ai fini investigativi – un non trascurabile ruolo, quando non realizzi un vero e proprio movente. Minimizzare sulla scorta dell’ irrilevanza del campione statistico, quando si tratta di incolumità e dignità delle persone, non ha gran senso.  A meno che il ministro dell’interno non intenda preoccuparsi solo un attimo dopo il manifestarsi di cappucci bianchi a forma di cono, ogni episodio racchiude il  segnale di un modo della civile convivenza che sta cambiando. Al governo che schiera i ministri nei contenitori domenicali più seguiti, s’immagina per essere più vicino alla ggente, spetterebbe l’onere di una battaglia culturale in cui non basta più l’annuncio tutti uguali  qualunque sia l’etnia. Oggi il problema dell’immigrazione viene presentato come un male contro il quale prendere provvedimenti o come una triste necessità di supplenza nei lavori più umili, quelli che noi non vogliamo più fare. In nessun caso si parla di governo del fenomeno  se non in termini punitivi o ottimisticamente restrittivi. Ne’ si allude mai ai motivi che spingono – carestie, persecuzioni, guerre, povertà inimmaginabili – masse di uomini e di donne a muoversi dai loro luoghi d’origine, semplicemente per motivi di sopravvivenza. Non si vuol essere generosi? Che almeno si sia concreti, perchè  una presa d’atto di quella dinamica, dovrebbe suggerire già di per sè, altre politiche. L’immigrato clandestino è a rischio sfruttamento, ci viene detto. Di sicuro. Mica solo da parte di criminali organizzati però. Che dire dello sfruttamento nei luoghi dove il lavoro nero non genera solo l’ignominia del basso salario e della mancanza di garanzie, ma ingrossa il bacino del sommerso, dell’evasione. Un lavoratore pagato in nero produce una quantità di ricchezza esente da tasse. Non è socialmente pericoloso anche questo? Allora perchè insistere con un atteggiamento che non favorisce la regolarizzazione e genera soltanto risentimento? Perchè alimentare la paura, perchè sdoganare,  banalizzandole, definizioni sconvenienti. In nessun paese civile i media usano la parola negro, in molti è perseguita l’espressione sporco negro, in quasi tutti l’informazione evita di precisare la nazionalità dell’eventuale autore di un crimine. Non c’è di che stupirsi se un tale clima genera intolleranza. Una presa di parola veritiera sull’immigrazione, sarebbe auspicabile. Una verifica, quantomeno sui provvedimenti recenti che si sono assunti in materia di poteri ai sindaci, la cui efficacia, a parte fantasiosi ed inutili provvedimenti, sul piano dell’ordine pubblico è sotto gli occhi di tutti, doverosa oltre che necessaria. Non basta armare i vigili urbani e allargare il loro campo d’azione per ottenere un servizio di ordine pubblico che le forze di polizia svolgono dopo ben altro addestramento che un paio di sedute al poligono di tiro. Davvero le nostre città hanno bisogno esclusivamente ( perchè solo di questo si parla) di una bonifica antimmigrato? E seppure fossero completamente ripulite da queste inquietanti presenze, la  pessima qualità dei servizi, l’invivibilità, il traffico, l’abusivismo, sparirebbero? Noi non siamo razzisti ma lo stiamo lentamente diventando, così almeno ci percepisce la stampa estera. Per carità, chi è senza peccato… il fenomeno è globale, particolarmente accentuato se governa la destra. Ma altrove almeno hanno i diritti.

Sarah’s shoes (Mrs Palin goes to Washington)

Sarah’s shoes (Mrs Palin goes to Washington)

 

I sondaggi  dicono che lo scontro tra i due vice se l’è aggiudicato Joe Biden ma chiunque abbia avuto la costanza di fare le ore piccole per seguire il dibattito televisivo, avrà notato con quale piglio la governatrice dell’Alaska, si è difesa dagli assalti del più preparato – e politicamente scafato – antagonista. Peraltro al contrario di quanto accaduto a McCain, a lei è toccato contrastare una maggior dose di aggressività da parte di Biden. Alla fine la sensazione, checchè se ne dica, è che  la Palin cacciatrice, barracuda, integralista, antiabortista senza deroga alcuna, potrebbe essere  una vera spina nel fianco dei democratici. Nell’illustrazione ci sono le scarpe indossate a Denver. Non a caso. 

Ogni donna può passare per qualsiasi porta che le si apra su di un’ opportunità. Aveva detto, in altra circostanza, lanciando con ciò un avvertimento piuttosto chiaro e non privo di spirito innovativo. Dunque non solo donne dotate di spiccata personalità, con laurea da università prestigiosa e curriculum brillante, ma ogni donna. E Sarah, quantunque dotata di tempra eccezionale, è proprio quel modello di donna qualsiasi che desidera incarnare. Non le esponenti dell’establishment femminista che in America,  ha aggredito professioni maschili e si è accomodato sulle conquiste ottenute, ma il popolo delle donne impegnate a portare, come si dice da quelle parti, il lesso a casa o a governare famiglie con esigenze particolari, magari perchè hanno deciso di avere un figlio anche se non è come gli altri o che ne hanno un altro in Iraq o che si preparano ad affrontare, difendendo il proprio ambito famigliare, i venti di crisi. Gli americani si aspettano che andiamo a Washington per le ragioni giuste e non soltanto per mescolarci alle persone giuste. E la ragione giusta è sfidare lo status quo, servire il bene comune e lasciare la Nazione meglio di come l’abbiamo trovata. Roba da far sembrare Hillary Clinton e Michelle Obama così colte, intelligenti e sofisticate, due esponenti di un universo oramai tramontato. Comunque, due propalatrici di un modello di leader donna assai più conservative e manco a dirlo, decisamente più maschile. E’ possibile che Sarah, donna decisamente di destra, sappia parlare alle donne assai più di tutte le ragazze, giovani o vecchie. del clan Kennedy . Di qui i rossetti branditi dalle supporter a Golden, in Colorado durante una manifestazione in suo favore e le scarpe di vernice rossa,  sparose e col tacco alto, poco adatto agli arrembaggi delle women in career che viaggiano in calzature assai più quiete –  mezzo tacco o pianella – in uno stile minimal & bon ton  molto in auge negli USA tra le democratiche. Non il simbolo dell’eterno femminino, come verrebbe immediatamente letta qui da noi, da Bruno Vespa and co, ma un segnale di netta discontinuità rispetto alla divisa e ai modi di quelle che ce l’hanno fatta. Non sono un membro dell’establishment politico permanente, in politica ci sono candidati che usano i cambiamenti per promuovere la loro carriera. E poi ci sono quelli che usano la propria carriera per promuovere i cambiamenti.

E’ un po’ anche uno dei  temi forti della campagna di McCain  nel tentativo di recuperare fiducia e qualità attingendo a piene mani dal mito di Mr Smith goes to Washington, il capo dei boy scout di un film di Capra che da un imprecisato Stato dell’Unione, viene chiamato a servire il suo paese senza lasciarsi però coinvolgere da regole del gioco disoneste. E qui,per tornare al confronto di due notti fa, il contrasto con Biden, politico di vecchia data, può sortire l’effetto indesiderato di far apparire lei Sarah  come un’ingenua ragazza di campagna tutta freschezza e novità e lui come una consumata e ben introdotta vecchia volpe di Washington DC. Tuttavia la lucidità, l’esperienza  e la capacità di dettaglio del vice di Obama, sono emersi in tutta la loro evidenza, mentre Sarah appassionata oratrice, bravissima a scantonare le domande alle quali preferisce non rispondere,  sembrava più impegnata ad effettuare l’impossibile rimozione di Bush dal quadro politico – perchè continuare a recriminare sul passato? – ripeteva . Ma siamo anche a  Pensylvania contro Alaska, i riferimenti country sono simili anche se i paesaggi differenti, e a una consistente mano di vernice blue collar su Biden, uguale e contraria a quella di hockey mom di Sarah, molto amante delle espressioni gergali e western come piace ai repubblicani. Anche i sondaggi sugl’indecisi assegnano a Joe Biden la palma del vincitore. Da segnalare invece il tocco di classe ( o di tacco, chissà) della Palin che accoglie Biden calorosamente, gli prende la mano e …è un piacere conoscerti, finalmente…posso chiamarti Joe ?