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Mese: Novembre 2008

Costruire democrazia

Costruire democrazia

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C’è un detto in uso a Washington che più o meno recita così :  solo in due circostanze puoi far sgombrare un eletto dal seggio che occupa al Congresso : se viene sorpreso a letto o con una donna molto morta o con un bambino molto vivo.Tanto per dire come per la bianca ( e bellissima) testa di Ted Kennedy, non sia un fatto inconsueto, come pure non lo sono per altri, gli 11 mandati, corrispondenti a diversi lustri di onorato servizio, che poi, a dirla tutta, si risolve nel ricevere schiere di lobbisti, distribuire favori,  riceverne e raccogliere fondi elettorali quando ve ne sia necessità. Cioè di frequente.

Tutto questo mentre i due principali partiti che in campagna elettorale sembrano macchine  imponenti, partecipate ed oliatissime,  per il resto del tempo si riducono ad entità evanescenti e a tratti, sin poco distinguibili l’uno dall’altro.

Non per niente, e da anni,  la fiducia che i cittadini ripongono nel Congresso di Camera e Senato è sotto al 20%

Dico ciò a beneficio dei recenti  entusiasmi filoamericani, spesso legati ai fautori della politica vicina alla gente – ma poi se domandi loro come ci si deve regolare quando ti accorgi che la gente vuole impiccare l’immigrato al palo più alto, non sanno rispondere – o di quelli del rinnovamento – ma se poi  domandi loro di quali contenuti  riempire il nuovo,ti parlano di ricambio della classe dirigente in termini anagrafici, ovvero fanno come Berselli nel suo ultimo Sinistrati che in 181 pagine al netto dell’indice dei nomi, ne destina solo 23 ad un  che fare più disperato e discutibile del resto della sua storia sentimentale di una catastrofe politica, (libro invero piacevole, quantunque apocalittico) –

Insomma tutti coloro che guardano all’America, pensando di poterne replicare i modelli qui da noi, dovrebbero invece riflettere sulla connaturata propensione al cambiamento di quel popolo, tratto caratteristico che coniugato con l’ effettiva possibilità di liberarsi di  quello che si ritiene, non funzioni, è tra i motivi del successo di Obama.

In tutto questo, un ruolo speciale l’hanno svolto le Primarie, consentendo agli elettori di esercitare un reale potere nella designazione del candidato. Tant’è che in entrambi i campi, si sono verificati risultati in controtedenza rispetto alle volontà dei partiti. Anche Mc Cain era un outsider in casa repubblicana.

Eh sì, gli Stati Uniti sono proprio una grande democrazia, (la più grande che il denaro possa comprare, per dirla con Greg Palast ) comunque la si pensi però, una democrazia incardinata su regole che la maggior parte dei cittadini segue perchè condivide, trova utili e su di un Sistema in grado di punire severamente i grandi e i piccoli trasgressori. E’ tutta lì la certezza di potersi liberare di quello che non funziona.

Ora, noi perdiamo molto tempo per correre dietro ai rialzi, alle tinture, alle battute, ai loft e al discutere sul come si deve discutere e soprattutto come si deve comunicare quel che si è discusso ( cioè nulla)  ma nemmeno un briciolo di tutte queste energie ci viene in mente di investire nel pretendere che si costruisca anche da noi una democrazia tale da consentire al figlio dell’operaio di diventare presidente della repubblica.

A partire da vicino vicino, da quella legge elettorale che ci vede poco coinvolti ma che così com’è, ci sottrae potere decisionale. Stabilire come si smazzano le poltrone non è un passo verso il famoso ricambio ? Proporre primarie istituzionalizzate, non realizza nei partiti maggior democrazia? E ancora sul federalismo, sulla riduzione del numero degli eletti in camera e senato, sull’abolizione del bicameralismo perfetto e su tutto quanto fu l’asse portante, non solo della campagna elettorale del PD, ma della sua stessa costituzione.

Perchè siamo sempre pronti a denunziare la nostra scarsa mobilità, il malfunzionamento dell’ascensore sociale, ma non c’interroghiamo mai veramente sul perchè dal parlamento, alle banche, alle aziende, all’università, il nepotismo è così radicato?Davvero siamo convinti che un’opportuna regolazione non riesca a contrastare il fenomeno?

Forse  in quanto detto non c’è tutto il rinnovamento che molti si aspettano, certo che però avviare una simile riflessione sarebbe un buon inizio. A meno di pensare che tutto ciò sia meno interessante del vuoto rivendicare più spazio  negli organismi dirigenti o dei dibattiti sul trilocale di Veltroni a Manhattan.

A tutta pagina (ma che belle che sono..)

A tutta pagina (ma che belle che sono..)

La prima pagina allude ad una celebre pubblicità.

La seconda ad un noto conduttore.

La terza è dedicata ad una ministra.

La quarta agli studenti…

Oggi, abituale giorno di riposo, il Manifesto esce egualmente. Solo  con quattro vignette firmate Vauro. Una per pagina. A tutta pagina.

Tanto non le pubblico. Che aspettate?

 

La sua cattiva strada (dite a mia madre che non tornerò)

La sua cattiva strada (dite a mia madre che non tornerò)

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La cattiva strada nasce in collaborazione con Francesco de Gregori, nel 1975. Ma come luogo deputato del proprio sistema etico e di valori, Fabrizio de Andrè l’aveva concepita già da tempo. Anzi era proprio lì che aveva cominciato, dalle cattive compagnie – mia madre mi disse: non devi giocare con gli zingari del bosco ma il bosco era scuro l’erba già alta, dite a mia madre che non tornerò – Nei versi di Sally,  che ovviamente non alludono ne’ agli zingari ne’ alla mamma di De Andrè,  &egraveNB; indicata con nettezza, la  scelta  di chi abbandona i privilegi di una condizione borghese con il suo bagaglio di regole e proibizioni, per adottare una filosofia di vita meno agevole ma più libera. Una strada che è cattiva ma solo perchè impervia.  

Quel tragitto prosegue  nel segno di  François Villon e, attraverso l’ascolto delle sue canzoni, di una vera e propria presa in carico dell’ Universo Brassens, in una sorta di educazione sentimentale distante appena un soffio da quella politica. Tutto ciò sospingendo De Andrè ad un approdo che ben definiva la sua visione del mondo : il pensiero anarchico di Bakunin, Stirner, e Malatesta.

Tutta la sua produzione viaggerà su questa direttrice. Dalla Città Vecchia a  Preghiera di gennaio fino ad Anime salve, De Andrè non abbandonerà mai la cattiva strada. Più che per un tratto di coerenza, per caparbietà nella convinzione che solo quella zona fosse davvero franca, inibita al Potere.

Diverse iniziative, nel decennale della sua scomparsa, sono già in cantiere, sollecitate da una memoria viva e  vitale che continua a produrre  un atipico fenomeno di diffusione della sua musica, anche tra i giovanissimi.

Tra queste – presentato in anteprima al Festival di Roma, il documentario di Teresa Marchesi  Effedià sulla sua cattiva strada.

Un lavoro di paziente (ed amorevole) collazione di stralci tratti da interviste, clip, concerti, in cui l’assenza di una voce narrante lascia molto spazio alla manifestazione in proprio della  personalità cordiale, aperta di un musicista colto, versatile e con un grande talento per la ricerca e la divulgazione.

Io credo che qui da noi Georges Brassens, pur affidato alle intelligenti cure di Nanni Svampa e Fausto Amodei che avevano preferito tradurre quel francese così denso nei rispettivi dialetti o di Beppe Chierici, raffinato interprete ma pochissimo noto, non sarebbe sopravvissuto nella memoria di ognuno, se Fabrizio de Andrè non se ne fosse appropriato, restituendoci condensata in sei brani, tutta l’essenza della sua vastissima produzione. Così come la curiosità per Mutis, Lee Masters, Pivano, Dylan, Coen, nasceva spontanea, essendo sufficiente una sola canzone o un accenno,  per innescarne il dispositivo.  Un tratto questo di generosità intellettuale come di chi  spalanca al prossimo il suo mondo e lo rende disponibile a nuove appropriazioni.

Tutto questo è contenuto nel DVD e in due libri fotografici (ma non solo), curati entrambi da Guido Harari, uno titolato Fabrizio de Andrè Una goccia di splendore, una biografia corredata da foto inedite e appunti  e un altro Evaporati in una nuvola rock in cui interviene anche Franz di Cioccio che è invece il diario collettivo del tour con La Premiata Forneria Marconi. Entrambi davvero belli corposi ed imperdibili.

E chissà che la Fondazione non voglia anche editare le riprese video del Tributo a Fabrizio De Andrè al Teatro Carlo Felice del 12 marzo 2000. Di quell’evento alcune interpretazioni sono presenti nel dvd : Zucchero,Vasco Rossi e Franco Battiato così commosso da non poter ultimare l’esecuzione di Amore che vieni  amore che vai.

Effedià sulla mia cattiva strada è un documentario di Teresa Marchesi prodotto dalla Fondazione de Andrè 2008

Fabrizio de Andrè, Una goccia di splendore è un libro curato da Guido Harari edito da Rizzoli 2008

Fabrizio de Andrè & PFM Evaporati in una nuvola rock è un libro curato da Franz Di Cioccio e Guido Harari edito da Chiare lettere.2008

E poi..

E poi..

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Del generale clima di Restaurazione, l’ Uomo di Potere, oramai invecchiato, ancora non del tutto fuori dal Gioco – sebbene nell’impossibilità di condizionarne le regole – e che prende a  straparlare, è il classico coronamento.

Nei casi letterari –  siamo a Shakespeare o ai tragici greci, il repertorio è quello –  il manifestarsi della (lucida) follia, induce il pubblico a  riflessioni importanti.

Ma Cossiga tutto è fuori che folle, lo sembrava assai di più quando invece di mandare lettere al capo della polizia e per conoscenza ai giornali, impartiva al medesimo, ordini di servizio un po’ meno manifesti.

Fin qui però nessuna novità, a meno che non si consideri sensazionale che l’ordine pubblico, sotto il suo ministero, fosse governato da un’unica Ratio: creare caos e disorientamento.

Qualcosa che sta alla Verità come i poliziotti armati e travestiti da manifestanti  stanno alla tutela delle garanzie costituzionali.

Cossiga teme che il diffuso consenso, la simpatia che questo nuovo movimento degli studenti, naturalmente ispira, destabilizzi l’ordine costituito. Chissà come mai i movimenti in partenza sono tutti lieti e non violenti e poi…

Si provi a leggere il suo ultimo scritto in questa chiave e tutto torna, compreso l’e poi… carico di responsabilità statali. Allora.

Cossiga dovrebbe dire chi sparò a Giorgiana Masi al culmine di una giornata – 12 maggio 1977 –  durante la quale, dati gli eventi, la vittima era sembrata a noi tutti, nel conto .Otto ore di scontri. Manco in guerra.

E passi che le dinamiche sono note e le foto e le controinchieste e il resto ma questa storia della vittima che serve alla causa dello Stato non è solo esibito cinismo. E nemmeno il delirio di un vecchio. Se in tali frangenti, mi piacessero le interpretazioni psicoanalitiche, potrei definire ciò,  impulso a confessare, quello che travalicando il consapevole, prepara il terreno alle  rivelazioni.

Ma Cossiga non dirà proprio nulla, interrogato varie volte, ha risposto che non vuol creare altro dolore. Probabilmente desidera solo essere parte del progetto di restaurazione di cui si diceva all’inizio, un programma a cui ha fornito un decisivo contribuito, insieme ad altri che, diversamente da lui,  preparavano la discesa in campo, iscrivendo il proprio nome in liste segrete.

Forse un ciclo che si pensava chiuso, si sta invece concludendo in questo periodo.

Nella foto, credo l’unica disponibile, Giorgiana Masi, scriminatura al centro e abitino fantasia, nel broncio della fototessera, incredibilmente simile a moltissime ragazze di allora

La giacchetta di Barack

La giacchetta di Barack

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Questa corsa all’obamizzazione, prevedibile ma, quantomeno nella gente comune, non sempre connessa con la logica di stare ad ogni costo col vincente, magari ci mena buono e introduce nel dibattito politico, che qui da noi  trascura un po’ troppo quel che succede altrove, qualche elemento interessante.

Obama non è l’esplosione inattesa della voglia di invertire la rotta degli elettori statunitensi ma egli stesso l’incarnazione di un cambiamento che nella testa e nel profondo dell’animo degli americani, è già avvenuto. Differentemente da quanto capita spesso in politica : la voglia di cambiare, senza essere disposti a cambiare noi stessi, quel che poi diventa un fertile terreno per l’inverarsi di logiche gattopardesche.

Ed è proprio il colore della pelle di Barack Obama, la spia inequivocabile di questo mutamento. Assai più di un afroamericano : un meticcio. La prova vivente della società in complessa evoluzione.

Dunque lasciamo pure che lo si tiri un po’ per la giacchetta, in questi giorni si sente affermare qualsiasi cosa : che Obama è per le coppie gay e non lo è, che è per l’aborto e che non lo è,  che è più vicino alla destra che alla sinistra o viceversa, che è un esponente dell’elite liberal o che ha uno spirito autenticamente popolare e via dicendo.

Non vale la pena, al di fuori di ambiti ufficiali, di aggiustare il tiro o di frenare gli entusiasmi. Non c’è niente di male se ognuno vuol  appropriarsi di una figura, a conti fatti, estremamente positiva. Obama esce da una campagna elettorale ipercontrollata da severissimi esperti. Alla fine di queste corvee in cui anche i particolari più infinitesimali, vengono  vagliati, essere riuscito a sembrare egualmente naturale e spontaneo, è già un risultato incredibile. Doveva convincere e vincere, cioè piacere alla gente. E (fortunatamente) ci è riuscito.

 Di qui a poco però, Obama sarà alle prese con problemi, i più gravi che si possano immaginare dai tempi di Roosevelt, con una stritolante macchina del potere, con le enormi aspettative che un’elezione come la sua, importa. Dovrà trovare una difficile quadratura tra questi elementi. Un banco di prova importante per sè, per il Partito Democratico, ma anche per i suoi sostenitori. L’universale consenso è destinato a scemare per lasciare il posto ad altre stagioni.

Il messaggio di Chicago conteneva forti allusioni alle difficoltà dell’ immediato futuro in termini di comprensione delle scelte.Ma … Io sarò sempre onesto con voi,  ha concluso. Un buon inizio.

nell’illustrazione Obama segue i risultati elettorali in televisione