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Mese: Dicembre 2008

Reset

Reset

Alexis Grecia

Questa idea balzana che qualcosa stia davvero per concludersi e cominci una nuova fase è ovviamente data da una generale esigenza di reset. Consegnando alla posterità un’economia mondiale al collasso, un dato di diseguaglianza sociale ai picchi storici e guerre sempre più brutali combattute su diversi fronti per la gloria di un qualche Impero, oltre che un clima planetario fuori controllo, è facile cedere alla tentazione di  rimuovere il tutto,  magari nell’illusione tutta mitcheliana che domani sia davvero un altro giorno.

Al cospetto del disastro, quel che accade in casa nostra, potrebbe sembrare robetta. Così non è, vuoi perchè di quel disastro siamo parte, vuoi perchè le nostre specifiche condizioni sociali, economiche, culturali  ed istituzionali, particolarmente arretrate, acuiscono gli esiti del terremoto. Noi siamo indietro su quasi tutto. La nostra capacità di recupero è dunque  destinata a risentire di parecchi endemici svantaggi.

Così mentre negli Stati Uniti già da un anno ci si prepara ad affrontare il peggio ponendo a capo del paese, l’incarnazione dell’inversione di tendenza, noi ci dibattiamo tra ricettine e pannicelli caldi, un giorno detassiamo gli straordinari e un giorno proponiamo la settimana corta.

Non c’è di che essere Profeti di Sventura o specularmente Grandi Ottimisti, mestieri redditizi presso piccole e grandi comunità di fedeli inclini alla piaggeria per assoluta mancanza di scopo nella vita, ma egualmente rispettabili ad un unica condizione : che al termine di ogni oscuro presagio, di ogni invito a credere nel Futuro, ciascuno s’impegni a fare la propria parte. Cosa che non avviene quasi mai, sclerotizzati come sono nei rispettivi ruoli, occupati chi a scrutare l’avanzata della merda che ci sommergerà, brandendo al più lo spadone dell’ io l’avevo detto  – autocitazione, link, applausi dall’ormai decimato  pubblico, bravò, bravò, graziè  -  chi a dar fondo a tutto il repertorio di bicchieri mezzi pieni, di rifiuti di Napoli smaterializzati, di uffici pubblici a organico completo, completissimo, tra un po’ scoppiano o di antiestetiche prostitute mandate a lavorare un po’ più in là.

Il pessimismo a buon mercato, quello  senza sofferenza come l’ottimismo modello precotto, quello senza gioia,   sono una rendita di posizione, giustificano l’immobilismo, ne celebrano a scena aperta le virtù. Se tutto è inutile, se nessuno mi rappresenta, se il resto del mondo è incolto, corrotto…ovvero se i problemi si stanno risolvendo, se infine è arrivato chi decide, se siamo un popolo meraviglioso – i superlativi sono d’obbligo – che infine se l’è sempre cavata… a che serve muoversi, agire, partecipare ?

Del resto nella inesistente reattività ovvero nello scarto che c’è tra la scelta accurata di espressioni disperanti o entusiastiche e la reale capacità di scalfire ciò che ci circonda, c’è molto del fallimento di qualsiasi ipotesi di reale contrasto alla merda in avanzata.

Chissà dove vivono costoro e chi sono davvero. Di sicuro in luoghi tranquilli, al riparo da una realtà che se  gli mordesse  davvero  il culo, procurerebbe loro più rabbia e scatti d’orgoglio e meno facili profezie o entusiasmi, che tanto s’è capito, la razza sempre quella è.

La razza di coloro i quali vedono i cambiamenti come il fumo agli occhi o nel migliore dei casi come un mutar di scene e costumi, mai di copione. Cambiare vuol dire fare in modo che niente sia come prima, senza alibi o remore di bambini e acqua sporca, di tradizioni comunque da preservare, di identità o radici alle quali restare abbarbicati. Cambiare è chiudere con il passato.

L’anno finisce con Alexis Grigoropulos, con le proteste del Politecnico di Atene e delle Università italiane. Finisce con l’apprezzamento e il rispetto  per la volontà determinata di questi movimenti di non somigliare ad altri :  ne’ a quelli di Seattle, ne’ alle rivolte degli anni ’60 e, indietro nel tempo, nemmeno a quelli del Barrio Chino di Barcellona degli anni ’30, ne’ a quelle fine ottocento di Montmartre. 

Nessuna parola d’ordine speranzosa, nessuna  soluzione ottimistica. La Crisi e la Paura campeggiano negli slogan, dunque è sospesa anche la speranza in un possibile altro mondo. Derubati del futuro  come da definizione unanime, si comportano di conseguenza. Tuttavia determinati a contare ad esserci, senza cupezze.

Sentirsi responsabili di quel che sta loro capitando, per noi, è il minimo. Cercare di limitare i danni, doveroso. A partire dall’ anno che Alexis non vedrà.

 

Palati fini ( non sparate sul pianista)

Palati fini ( non sparate sul pianista)

Allevi

Ci sono critici musicali celebratissimi, veri conoscitori della materia che considerano Tchaikovsky e Rachmaninov roba da trogloditi. Immagino perchè la  musica di questi due compositori, semplice, anche se solo all’apparenza, risulta  orecchiabile e dunque destinata ad incontrare il favore del grosso pubblico.

Non sono musicista anche se – in virtù di reminescenze ;varie – conosco le note e leggo gli spartiti. Dunque potrei esprimermi forse su di un’esecuzione ma francamente ho sempre pensato che se Luciano Berio a me dice poco, forse il  problema è mio, non di Berio.

La quasi totalità del pubblico affida le proprie scelte musicali alla gradevolezza o meno che un ascolto puramente sensoriale restituisce – che altro sennò? Forse che insegnamo educazione musicale nelle nostre scuole? – Per questo le consonanze sono più in auge delle contemporanee dissonanze, l’irrompere di archi come se piovesse, vende più della spinetta e gli ottoni sparati a mò di contraerea, più dell’arpa birmana. Anche per questo la Patetica va a ruba e i Kindertötenlieder fanno la muffa sugli scaffali. Non solo Berio è negletto ma per l’appunto anche Mahler, Alban Berg e tanti tanti altri. 

Qualcosa di simile vale per il giovane Allevi che in realtà ha quarant’anni ( c’è speranza per tutti) e che di recente ha fatto drizzare i capelli alla nobile schiatta dei Critici, dei Musicisti di Stato, dei giornalisti e dei blogghisti per aver diretto e interpretato al pianoforte musiche proprie (e forse altrui) durante l’annuale concerto di Natale del Senato della Repubblica.

Allevi mi risulta essere uno che vende molto, non posseggo i suoi dischi ma ho ascoltato superficialmente qualche brano utilizzato dalla pubblicità, non è Liszt, mai potrebbe divenire il mio preferito, ma nemmeno mi è  sembrato l’emblema di questo capitombolo agl’inferi del Buon Gusto Nazionale.

Piuttosto per come  son messe le cose, non mi stupisce che la scelta sia caduta su di lui. Quale migliore emblema dell’air du temps,  di un quarantenne che ancora viene annoverato tra i giovani, che vende abbastanza,  è telegenico e suona il piano.. benino per quel che suona : cioè musica commerciale. Qualcuno dice classica? Mi sfuggono i criteri di catalogazione, in questo momento.

Quante storie. Cosa ci si aspettava dal Governo Berlusconi ? Il clavicembalo ben temperato? Ma quello è roba noiosa, non è ottimista, il popolo poi si deprime. Nel concerto di Natale 2008,  è racchiusa esattamente l’idea di cultura di questo governo. E nella risposta scandalizzata, specularmente, la puzzetta sotto al naso di chi a questa Idea si oppone.

Se ne faccia una ragione Uto Ughi e prima ancora di sparare sul pianista, riconsideri l’idea di reindirizzare i sacri furori verso altri obiettivi….facciamo…chessò…il Presidente del Consiglio? Il  Ministro della Cultura ?  Quello che sega i contributi e a cui piacciono tanto le Commissioni Censorie? Quello che Allevi o non Allevi, se ne frega dei Conservatori? Ecco proprio lui. Altrimenti  diventa una questione di gusti, terreno spinoso, perche  se è vero che non sono tutti uguali, cioè tutti sullo stesso livello, indistamente tutti sono degni di rispetto.

Ne’ con Allevi ne’ con Ughi, con la convinzione che uno rappresenti un’Idea, nella migliore delle ipotesi, sballata e ambigua   e nell’altro siano malriposte le nostre speranze di contrastare quell’Idea opponendone un’Altra.

Qui ( tutto il meglio è già qui )

Qui ( tutto il meglio è già qui )

Mia zia ultraottantenne gioca a canasta o a ramino al mercoledì con alcune sue ex compagne di collegio. Ad altre, sparse in varie città,telefona o  scrive vere lettere con busta e francobollo. In queste occasioni apparentemente futili e ripetitive – siamo in pieno zibibbo al lampo che fu – è nascosto il segreto del non perdersi di vista.

Mio padre, per lo stesso motivo,  vede con regolarità e organizza viaggi con gli amici di sempre. E anch’ io, ho cercato nel tempo di preservare le storiche amicizie dalle difficoltà della vita in continua evoluzione : menage pazzesco, trasferimenti, professione totalizzante, figli da crescere, consorti e fidanzati accentratori. La relazione continuativa con un amico storico è un investimento che fa bene alla vita. Non organizzo tavoli da gioco a cadenza fissa – me ne manca il tempo –  ma avere tra i piedi  gente degli antichi giri, mi piace. Succede con gli amici quel che accade con i grandi amori : un cenno d’intesa e ti senti subito a casa. Senza tante storie.

Mentre le rimpatriate con vecchie conoscenze, dopo secoli di allontanamento sanno sempre un po’ di ufficio funebre, di passato che si è lasciato archiviare senza resistere e che forzatamente ritorna. Per cui la possibilità di ritrovare i compagni di studi che mi offre Facebook mi fa venire l’ittero. Tutto il meglio è già qui, come diceva quello, il resto appartenendo all’irrilevanza o allo Sciocchezzaio, l’ho mollato. Vade retro.

Il Manifesto dal suo sito nuovo di pacca, promuove il dibattito sull’utilità della comunicazione politica in rete e in particolare su Facebook. Dai blog in contemporanea si levano voci preoccupate, pare che il nuovo gioco sottragga accessi e commentatori ai siti dei diari personali. Tutti in ansia. Chi per le sorti dell’impegno politico,  chi per quelle della diminuita popolarità dei propri spazi di scrittura .

Ma nell’ipotesi fondata che l’aria che tira richieda articolazione del pensiero e dunque del linguaggio, piuttosto che la rovinosa contrazione di entrambi , approfondimenti piuttosto che spot, esame delle complicanze piuttosto che elogio della semplificazione, il fatto di scambiarsi  short message e  facce, non mi pare interessante ne’ utile a nessuna causa. Anche sul piano personale, il metodo appare decisamente  una limitazione a chi è abituato a mantenere in piedi relazioni funzionali. A meno di avere uno scopo preciso – promuovere il proprio lavoro,  per esempio o altre analoghe iniziative – queste casuali liste cariche di emeriti sconosciuti, alimentano solo l’illusione di esserci e di contare ovvero di avere molti amici, ignorando che le relazioni sono un lavoro e nemmeno di quelli troppo lievi. Averli tra i piedi, come ho già detto mi piace, ma è un privilegio che non mi è piovuto dal cielo.

Lo stesso vale per la comunicazione politica. Obama ha vinto servendosi della Rete ma aveva un progetto, soprattutto si è fatto una scarpinata in lungo e in largo per il suo paese, incontrando persone, gruppi, fondazioni, imprese, raccogliendo molti quattrini che hanno consentito a lui e ai suoi, il prosieguo di quell’impresa. Poi, il senso del suo del lavoro svolto è stato raccontato in Rete, cercando di mettere ad ulteriore profitto moltiplicandolo, il valore di quell’esperienza. Poi.

Il resto, cioè tutto quello che può succedere in questi non luoghi in cui ci viene promessa  comunicazione a buon mercato e socializzazione come se piovesse, ha senso solo se da qui viene trasferito fuori , stabilendo una corrispondenza tra le due dimensioni. Bene fa la sinistra ad essere in cielo, in terra e in ogni luogo vi siano esseri umani con i quali interagire. Conoscere gente nuova come cementare le vecchie amicizie e comunicare non è un problema nella vita. Basta avercela, una vita. E un messaggio. Qualcosa da dire.

 Ma per tornare a noi, i luoghi vanno custoditi, richiedono cura. Annaffiate le piante, rinfrescate le tende, preparato il trattamento per gli ospiti, andrebbero riempiti di contenuti, se i mercoledì di mia zia fossero fatti di solo allestimento, sarebbero finiti da un bel pezzo. E con essi, l’occasione per trovarsi.

Gli accessi vengono meno a fronte di un procedere stanco, nella riproposizione di uno schema o di un personaggio, sempre quello : il Malinconico, l’Ironico, l’Arrabbiato, il Pensoso, l’Amorosa, il Saggio, la Tempesta Ormonale o il Ciclotimico. Fossero messe innanzi a queste pagine elettroniche le Persone e non i Personaggi, ciascuno col proprio bagaglio, la musica cambierebbe e non ci sarebbe bisogno di cambiare piattaforma per rigenerarsi.

La storia dell’interazione in Rete, del resto, è storia di migrazioni – che un po’ sanno anche di fuga –  per cui, esaurito un territorio, invece di intensificare fertilizzanti e semina, in un’opera di riqualificazione costante, ci si trasferisce direttamente in altro luogo per ri-cominciare, ri-seminare, ri-coltivare e presumibilmente prepararsi ad altro trasloco, per questo la trasmigrazione su Facebook che svuota blogopoli, non mi impensierisce più di tanto.

 Qui si pensa di restare, senza inaugurazioni di altre case chè di gestirne due non si ha tempo, voglia e forse predisposizione. Un po’ per la curiosità insopprimibile di vedere come se la sbroglia – ovvero dove vuole andare a parare –  il Malinconico e la Pensosa, cercando nel contempo di seguire i consigli degli economisti alle imprese in tempi di crisi : investire, innovarsi, resistere. Il che oltretutto, obbedisce alla natura di chi scrive. Qui.

Illustrazione di Babi, citazioni a piene mani dall’avvocato Conte

A chi giova ( e a che gioco giochiamo)

A chi giova ( e a che gioco giochiamo)

Dopo aver ucciso l’Informazione, la Narrazione si accinge a uccidere anche la Giustizia. Ordinanze più voluminose di Guerra & Pace –  e spesso analogamente strutturate – all’interno delle quali per reperire un reato, ci vuole il lanternino, inchieste condotte col metodo della pesca a strascico, ipotesi di reati associativi a go – go – e quand’è così, si sa, il dubbio che le prove scarseggino si fa consistente – Pagine e pagine di intercettazioni recanti notizie irrilevanti quando non improbabili : Barbara Palombelli che a teatro, come tutti,  ci va a vedere gli spettacoli , diventa responsabile del Festival Internazionale di Napoli, analogamente accade per  Roberta Carlotto Reichlin che in effetti dirige il Mercadante ( ma solo quello), Polito che si chiama Antonio diventa improvvisamente Nino e va a finire nel tritatutto insieme a  Roberto Morassut e al figlio di Di Pietro. Contestazioni? Zero. In soli dieci giorni l’affaire Pescara si sgonfia e il sindaco D’ Alfonso, dimessosi a causa della misura cautelativa torna libero e anche se molto resta da appurare, è indubbio che producendo la prima ordinanza l’ arresto, gli effetti sotto il profilo istituzionale sono stati gravissimi.(scioglimento del Comune)

Al quadro che emerge e che – reati o non reati –  resta desolante per quanto riguarda contesti e comportamenti personali, si aggiungono gli errori – un po’ troppi a questo punto  – veri e propri, un comportamento di alcuni magistrati per certi versi disinvolto e quello dell’Informazione Romanzata, più che mai. Non ci vuol molto a capire che pur volendo allontanare dalla mente ipotesi complottiste, siamo nel pieno di una fase delicata, in cui nell’abituale tirare l’acqua al proprio mulino della Politica, s’insinuano rischi, vuoi per l’autonomia della magistratura da sempre nel mirino della Destra, alla quale non pare il vero di reclamare un pacchetto di provvedimenti di riforma del CSM o per la separazione delle carriere o più semplicemente che limiti l’uso delle ( necessarie) intercettazioni, vuoi per la stessa Democrazia. Al cospetto di tutto questo, a chi giova demolire e mettere fuori gioco il principale Partito d’Opposizione?

Passi  che al capitolo Questione Morale la fantasia revanchista si scatena e le panzane fioccano. Passi che tra le esclamazioni in galera, in galera in galera ovvero dimissioni, dimissioni dimissioni, dei detrattori, ce ne fosse uno solo che si preoccupi di attenersi ai fatti – intesi come accadimenti ma anche come basica conoscenza del funzionamento delle istituzioni – o che valuti le ricadute di ogni scelta suggerita. Passi che in quest’ansia di pulizia e rettitudine, con etica, morale, e moralismo – tre distintissime categorie delle quali conviene sempre marcare le differenze – si usa confezionare una padellata di polpette indigeste e grondanti malafede da somministrare al gentile pubblico che se le sorbisce a mò di pacificazione  con la propria, non sempre specchiata, coscienza civile. Passi dunque tutto …ma che lo scenario richiami alla vigilanza e alla cautela prima ancora  che all’anatema, dovrebbe far parte quantomeno del senso politico da conferire alle nostre analisi.

Garantisti sempre e vicini ai giudici, a patto che non siano malati di protagonismo ed esprimano professionalità. Ma una classe politica borderline non può essere estirpata dai tribunali ne’ da partiti organizzati sul modello di Pol pot. Personalmente un partito che impone le dimissioni agli eletti, io non lo voterei manco morta, come non voterei mai un partito le cui regole non armonizzino con il nostro ordinamento. Mentre invece volerei a mettermi in fila per scegliere candidati e organismi dirigenti. Sta tutta lì la differenza, nel potere degli elettori di scegliersi e di votare la squadra che si ritiene più idonea.

(Natale mi sta antipatico ma l’unica persona alla quale mi sentirei di fare gli auguri oggi, è quella ritratta nella foto)

Chi è garantista

Chi è garantista

 

giustizia 2243 

Chi è garantista vuole che le Leggi siano rispettate, che le indagini seguano il loro corso protette dal segreto istruttorio, che i processi siano celebrati senza lungaggini, che una volta individuati i colpevoli siano loro comminate pene proporzionate al reato commesso. Chi è garantista coniuga l’intransigenza del principio di legalità col principio di non colpevolezza, unico antidoto contro le degenerazioni.

Ma essere garantisti non appartiene al campo delle opzioni. E’ quel che lo stesso rispetto della legge ci suggerisce di essere. In questo non c’è misura alla quale adeguarsi : o lo si è o si è fuori dal perimetro di legalità. E di civiltà.

Si lo so, un atteggiamento garantista non è utile allo sfogo, ne’ al lavoro dei comici, ne’ a quello dei narratori, non fa vendere i giornali, non aumenta l’audience,  non rende simpatici e non consola gli afflitti. E probabilmente fa anche perdere  consensi. Ma che spettacolo offre chi è capace solo di invocare la galera?

Tornano le inchieste giudiziarie e, senza che se ne fossero mai andate, le connessioni perverse tra politica e affari. Buon lavoro agl’inquirenti. Nella certezza però che la questione morale riguardi le singole coscienze e le singole responsabilità, non le intere compagini. Ma soprattutto che le ventate giustizialiste servono assai poco allo scopo. Che rimane quello di coniugare moralità pubblica e bene comune attraverso un Fare Politico efficace.

Se invocare le manette e istruire processi mediatici fosse servito a qualcosa, con Tangentopoli, stagione pur necessaria,  avremmo risolto tutti i problemi di corruttela. Così non è stato e ciò a riprova del fatto che la Giustizia, non può svolgere con successo, compiti  che sono propri della Politica. Pena un esiziale conflitto.

Oggi l’ordinanza della Procura di Napoli, al di là dei rilievi penali,  ci consegna un quadro che rispetto ad allora, è mutato solo per alcuni particolari, mentre il metodo di addomesticare le procedure per acquisire commesse è sempre lo stesso. Come lo è  l’atteggiamento di chi si fa parte diligente per rendere possibili simili operazioni. Non più per il Partito ma per sè. Che importa? Le ricadute per la collettività, sempre le stesse rimangono : un’economia di mercato finta, drogata e, come se non bastasse, servizi scadenti.

Se le cose stanno così, serve un cambio di passo, non solo volti nuovi per il ricambio della classe dirigente, non solo regole di trasparenza –  che ne avremmo, volendo, da riempire i volumi –

So che il segretario del PD Veltroni in mattinata ha difeso le persone oneste che di quel partito fanno parte. Bene ha fatto. Ma l’ulteriore scatto d’orgoglio che gli si richiede, è di precisare quale Progetto di innovazione ha intenzione di mettere in campo e su quali gambe dovrà procedere questo rinnovamento. Commissariare il Partito locale, laddove si sono manifestate storture, può essere utile, ma non basta.

Diversamente quel garantista che guarda alla Politica come unica ratio per uscire fuori dall’impasse, rimarrà sempre più solo. E consapevole di una realtà difficile da modificare, sempre più straniato.