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Anno: 2009

Qui si racconta ….

Qui si racconta ….

….il ritorno in grande stile del film cosidetto politico  e di come una manciata di pellicole sui comunisti italiani, raccontati per quel che sono stati, al netto quindi di immagini truculente da propaganda FIDE,  offrì il destro ai soliti  per sostenere quanto la libera circolazione delle idee, sia un fatto scontato in questo paese.

Splinder permettendo, mi piacerebbe raccontare anche il resto della Mostra ma le peripezie di queste ultime ore in materia di bozze e pubblicazione del post, non suggeriscono di allargarsi troppo con le promesse. Guardare, a tal proposito la data e l’ora d’inizio di questo scritto ( oggi è 15 settembre). Mi sa che è tempo di migrare. Nelle more… prima i film in uscita, poi tutti gli altri.

Il sequel de Le Ombre Rosse cominciò la sera della Prima, riaccese che furono le luci della sala e finì due giorni dopo a pesci in faccia sulle colonne dei principali quotidiani. Incorreggibili Ombre, sempre pronte a far volare gli stessi stracci, così meticolose nella ricerca del messaggio e del rappel –  E che avrà voluto dire il regista con questo film ? E a chi ha voluto alludere? E dove sono io? – da non accorgersi che in un film feroce ed ironico come quello di Maselli, le lacrime di commozione sono quantomeno inopportune come pure il Disappunto per non essere stati ritratti al meglio. Ci siamo tutti ! Concluse la vecchia ragazza sul foglio antagonista, al termine della querelle. Con lo spirito giusto, un film da vedere, riconsiderando il ruolo di Maselli, uomo di cinema  impropriamente tacciato d’incapacità di rinnovarsi. Se proprio non se ne può  fare a meno, si preparino pure i fazzoletti. Ma di questo non si incolpi il regista. Si consiglia anzi di accettarne tutte le (numerose) provocazioni.

Anche per Il Grande sogno,  dispiego di   polemiche a non finire, quella sull’ idoneità artistica di Scamarcio da parte del più grande esperto italiano di casting, è sembrata piuttosto oziosa ma niente rispetto all’exploit  dei quattro fascistelli che a Roma hanno imbrattato i manifesti del film con la scritta NO 68 ( ma che vor dì?) e promesso il picchettaggio delle sale. Il rischio prequel e l’intervento di Placido hanno poi convinto il sindaco a bacchettare gl’incauti e non se n’è fatto più nulla. Ciò detto il film pur non avendo nulla a che vedere con The Dreamers e con la Meglio Gioventù – Il terzo tassello di una trilogia? Si vabbè – è da vedere. Magari l’esprit du temps non schizza proprio fuori dallo schermo per invadere la sala e qualche omissione rispetto al contesto storico c’è , ma sono scelte.  E’ invece,  apprezzabilissimo il tentativo (riuscito) – esattamente contrario a quello di Maselli che calca volutamente la mano sullo stereotipo – di non rendere al pubblico l’album delle figurine, ne’ l’affresco epico. Un rischio che, strettamente connesso col tema in questione, avrebbe fatto naufragare irrimediabilmente il racconto in acque insidiose. Un lavoro intellettualmente onesto come è spesso nello stile di Placido. Emozionante – quantunque ennesimo – outing di Carlo Rossella alla presentazione del film. Anche lui ha fatto il 68 ma poi ha cambiato vita. Ecco.

( E meno male che stavolta l’annotazione di stile sul verde – terriiiiiibile – dell’eskimo, rilasciata tempo fa a Porta a Porta, se l’è tenuta per sè)


Con forti dubbi circa il successo di Videocracy qualora non fosse intervenuto il diniego Rai Mediaset di programmarne i trailer, ecco qui un documentario sui valori di Successo & Carriera, esaltati da una videocrazia che detta legge decretando  l’inscindibilità del binomio apparire – esistere. Niente di nuovo dunque,  compresi i  linguaggi, a tratti assai somiglianti a quelli videocratici. Forse la critica per essere efficace, andrebbe esercitata adottando modi e stili differenti, alternativi. Insomma è proprio indispensabile che io veda Corona nudo per capire a che punto siamo?


Avendo solo trent’anni, Susanna Nicchiarelli, non può essere certo sfiorata dalle degenarazioni melo- retro- nostalgiche di un certo modo di raccontare il Come eravamo . Informata sui fatti, tuttavia lo è davvero, visto che ha posto al centro del suo bel film, le imprese spaziali dell’Unione Sovietica, ingenuo motivo d’orgoglio  nei comunisti italiani degli anni sessanta. Dalle sue indagini presso i vecchi iscritti al PCI,  Susanna ricava una visione niente affatto edulcolorata della militanza che pur  rappresentata come impegno civile e conseguente stile di vita, non manca di elementi dissonanti quali il  settarismo e il maschilismo, in effetti  presenti nella mentalità (non solo)di allora. Ne risulta una commedia intelligente con un unica concessione alla malinconia per la perdita di un sistema di valori .

Le ombre rosse è un film di Francesco Maselli del 2009, con Roberto Herlitzka, Valentina Carnelutti, Flavio Parenti, Lucia Poli, Luca Lionello, Carmelo Galati, Veronica Gentili, Roberto Citran, Eugenia Costantini, Federica Flavoni. Prodotto in Italia. Durata: 91 minuti. Distribuito in Italia da 01 Distribution

Il grande sogno è un film di Michele Placido del 2009, con Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca, Michele Placido, Luca Argentero, Laura Morante, Massimo Popolizio, Alessandra Acciai, Marco Iermanò, Pasquale Cassalia, Enrico Papa. Prodotto in Italia. Distribuito in Italia da Medusa

Videocracy – Basta apparire è un film di Erik Gandini del 2009. Prodotto in Svezia. Durata: 80 minuti. Distribuito in Italia da Fandango

Cosmonauta è un film di Susanna Nicchiarelli del 2008, con Claudia Pandolfi, Sergio Rubini, Miriana Raschillà, Pietro Del Giudice, Susanna Nicchiarelli, Angelo Orlando. Prodotto in Italia. Durata: 85 minuti. Distribuito in Italia da Fandango

Tutti i rami dell’Azienda

Tutti i rami dell’Azienda

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Medusa ha dilagato nella mostra più berlusconiana dell’Era di Papi, finanziando o distribuendo indifferentemente il kolossal riformista, il film sul 68, quello dell’esordiente di talento, del regista o dell’attore più interessanti anche se non precisamente in sintonia con l’impostazione della Casa.

Niente di nuovo, beninteso,  trattasi semplicemente, di proficua strategia di mercato anche se in questo caso percorsa da una rete di conflitti d’interesse di tutta evidenza.

Medusa dunque non è di per sè l’indizio dello stato di buona salute della libertà di espressione in Italia soltanto perchè  non mette, come vanno ripetendo fino alla nausea i caudatari,  la mordacchia agli autori. 

Nessun produttore avveduto lo farebbe,  non fosse altro  perchè un Placido addomesticato – ammesso che ci si riesca – non farebbe volare il box office quanto un Placido libero di girare il film che crede . Gli affari sono affari  e la missione aziendale è di vendere a tutti. Dagli appassionati delle vacanze caraibiche ai nostalgici del sessantotto, dagli amanti di Pieraccioni a quelli di Corsicato.

 Con buona pace di Brunetta che in queste ore ha l’ingrato compito di spostare l’attenzione del gentile pubblico da certi dati un po’ tarocchi sull’assenteismo, sparando ad alzo zero su Mostra e Cinema italiano o di Feltri che c’ha il mandato divino di punire gl’Ingrati, con il culturame –  termine osceno e per giunta  evocativo dei peggiori anni  della nostra storia  – tutti i rami dell’Azienda hanno sempre prosperato.

Si fanno quattrini con la pala e si celebra la liberalità dell’Impresa e del governo, guarda caso presieduto dal proprietario, che millanta favorire la pluralità delle idee. (non male in epoca di lunghe liste, fitte di nomi eccellenti, in difesa della libertà di stampa )

Come dire, se non riusciamo ad annoverare tra le nostre fila l’intellettuale organico, facciamo funzionare, suo malgrado, quello antagonista. Tutti i rami dell’Azienda riceveranno così il loro tornaconto.

Prima di raccontare dei film migliori, valeva la pena di precisare che se proprio partita doppia ha da essere, partita doppia sia, ma con dare, avere e saldo ben allineati. Solo così i conti dell’assistenzialismo o della munificenza potranno essere messi in chiaro. Quel pezzo d’Italia molto rappresentata, molto ‘placida’, e  leggermente schifosa oltre che fare cultura, pompa soldi nelle casse dello Stato assai più di quanti ne riceva.

Poi vediamo chi è parassita e chi no. Ma come per i dati dell’assenteismo, anche i numeri, gonfiati, diminuiti o male aggregati , servono a fini propagandistici per quel ramo dell’Azienda che funziona da Collettore Principale.

I ventidue colpi

I ventidue colpi

Il cartellone, ricco, eccentrico, planetario e – come è giusto che sia –  senza apparente filo conduttore, sembra già bellissimo.

Si va per mostri – ma già sappiamo che quelli con i quali abbiamo a che fare quotidianamente sono cento volte più insidiosi e orrorifici delle creature del maestro George A. Romero – Qualcuno di loro poi, si prevede calpesti il tappeto rosso e così tutto sarà intonato.

per grandi provocazioni – Todd Solondoz con Life during wartime,  sequel-remake potenziato del suo Happiness o Michael Moore con una sua specialissima Love story ,

per pietre dello scandalo – Videocracy di Erik Gandini

per novità, almeno qui da noi , assolute  - John  Hillcoat con The road da Cormac Mc Carthy –

per curiosi debutti – Tom Ford con A single men da Christopher Isherwood –

per manifestazioni clamorose (e sagge) contro i tagli al FUS . On a pas besoin de dynamite quand on a de la pellicule. Se ne faccia una ragione Papi, già preoccupato per l’eventuale turbativa

per registi del cuore, in retrospettiva –  Schifano, Emmer, Matarazzo, Monicelli – o sparsi nelle varie sezioni – Herzog, Soderbergh, Ferrara, Dante, Akin, Maselli, Comencini,  -

per lo spirito innovativo, per il coraggio degli organizzatori e per tanto altro ancora .

Enumerare tutti i lungometraggi, i documentari le opere prime  è un’impresa,  mentre già l’ansia di vedere il visibile, ma soprattutto quello che dopo quasi certamente non sarà possibile vedere nelle sale,  impazza.

Preceduto dall’artiglieria pesante di  Baaria, il Kolossal di Tornatore sul quale il Premier – che senza conflitto d’interessi, pare non poter respirare  -  ha già messo le mani definendolo capolavoro  assoluto, il Cinema Italiano schiera complessivamente ventidue film. Vedremo se, come sembrerebbe, è passata la nottata.

Nel frattempo come avrebbe detto qualcuno di cui sentiremo molto  la mancanza in questi giorni ( e sempre)  ‘ndemo in cine.

A presto.

Nell’illustrazione operai, di cui uno solo col casco, montano una struttura al Lido, la foto l’ha scattata beatnik

Il ritorno di Michelle ( Thank heaven for little boys)

Il ritorno di Michelle ( Thank heaven for little boys)

Hollywood, per mano di Vincent Minnelli,  si era già presa la briga di trasformare quel demi-monde parigino raccontato con magistrale crudeltà da Colette ,  in pluridecorato musical. Cast stellare, canzoni di successo – una su tutte Thank heaven for little girls –  regia elegante, coreografie armoniose e costumi ricchissimi, furono gl’ingredienti che ne decretarono il trionfo.

L’incessante chiacchiericcio belle epoque del quale Colette, impeccabile ed esperta conoscitrice delle cose di questo mondo,  si era servita per definire l’universo di Gigi – la protagonista –  divenne così  un affresco color pastello in cui il libertino e la quasi donna, si ritrovano solo nel vero amore e non nella relazione alla quale sembrerebbero destinati per convenzioni sociali,  ma che Gigi reputa, pur senza moralismi,  degradante.

Rispettare gli autentici colori di Colette del resto, non è impresa di poco conto, comunque non da Hollywood 1958. Ne risultò  tuttavia – Chevalier a parte – un film gradevole, divertente, vivace ed evocativo  pur nella sua essenza di giocattolone ben confezionato.

Con Frears che rivisita la Colette di Chéri,si profila un’operazione del tutto differente anche se la difficoltà di rendere il clima belle epoque attendibile al di là della meticolosità scenografica, resta. Ed è forse questo l’unico neo del film. Per cui : belli i valenciennes, la boiserie, le collane di perle, i sofà,i cognac, eleganti i movimenti di macchina che ce li raccontano ma… tutto ciò non è sufficiente a definire la Parigi d’inizio novecento e il desiderio tutto avveniristico di libertà e indipendenza  che spingeva alcune donne dell’epoca  a diventare cortigiane.

Poco male se una sceneggiatura ben scritta riesce a soccorrere le piccole defaillances date da eccesso di armamentario liberty e abuso di calembours. Sia lode quindi a Christopher Hampton per il tentativo riuscito di rimettere al centro del racconto il Dramma. L’operazione sarebbe piaciuta anche a Colette.

Storia dell’educazione sentimentale, in vista di un matrimonio d’interesse, di Chéri giovanottino fatuo coi capelli dai riflessi blu come le penne dei merli  e con un carattere che non è un carattere, ad opera della bellissima ancorchè cinquantenne  Lea de Lonval, cortigiana danarosa e buona figliola a cui la vita aveva risparmiato le catastrofi fascinose e i nobili dolori .

Su espressa richiesta della madre di Chéri, il training sarebbe dovuto durare qualche settimana ma poi..

Ma poi succede che l’irruzione del ragazzo nella vita di Léa tocca corde segretissime, restituendole in una sola storia,  quanto le era stato risparmiato fino a quel momento.

Coprotagonisti silenziosi il Tempo – elemento che compare anche in Gigi – nel suo ruolo infaticabile di corruttore dei corpi ma anche la consapevolezza del maggior rischio che corre un giovane uomo nella relazione con una donna matura.

Ciò rende più sopportabile questa Cronaca di un Declino Annunciato che Frears spia in ogni passaggio con la stessa precisione con la quale ha realizzato le Relazioni Pericolose o The Queen.

Michelle Pfeiffer regina brillante ed indiscussa di elegante spregiudicatezza, lievemente invecchiata dal trucco che però non scalfisce  la sua vera e luminosa bellezza . Kathy Bates travolgente nell’ irriverenza delle sue battute.

Chéri è un film di Stephen Frears del 2009, con Michelle Pfeiffer, Kathy Bates, Rupert Friend, Felicity Jones, Frances Tomelty, Anita Pallenberg, Harriet Walter, Iben Hjejle, Toby Kebbell, Rollo Weeks. Prodotto in Francia, Germania, Gran Bretagna. Durata: 100 minuti. Distribuito in Italia da 01 Distribution

…ma la domanda che preferisco resta l’ultima

…ma la domanda che preferisco resta l’ultima

Ovvio che non finisce qui e che per un bel pezzo si continuerà a ragionare di alta politica come in questi giorni. Ergo, dopo gli omosessuali attenzionati è possibile che tornino in auge le scarpe, le barche, le aziende, gli appartamenti e le fidanzate segrete di tutti quelli che hanno avuto l’ardire di stigmatizzare il comportamento del Premier quanto a frequentazioni, feste di compleanno, veline e farfalline.

Del resto il Teorema della Vendetta, come pure insegna la vicenda che ha coinvolto Dino Boffo, poggia su un unico  postulato : un Direttore di quotidiano sta al Premier come le preferenze sessuali stanno al mercimonio.

Come se non bastasse,  considerato che la crociata in atto, si combatte contro il falso moralismo – e il cielo sa quale versione elasticizzata della morale circoli a Palazzo –  il capo del governo, può essere giudicato solo da eterosessuali doc in perfetta armonia con gli/le ex delle proprie fidanzate/i.

A questo punto le variabili possono essere infinite.  Al posto del direttore può esserci tanto il Capo dell’Opposizione quanto la Sora Camilla. Di qualsiasi natura o entità siano gli scheletri nell’armadio – a detta dei Vendicatori chiunque ne  custodisce  un bel po’ – faranno sempre da ottimo contrappeso alle Imprese del Premier. Ne consegue che nessuno al mondo ha i titoli giusti per criticare Silvio Berlusconi.

Applicare un criterio logico a tutta questa partita sarebbe operazione di un avventurismo sfrenato . Del resto quale scopo avrebbe dovuto sottendere, tutto quel movimentare direttori di testata a inizio stagione?

 Vero è che la fedeltà non basta più. Se il gioco si fa duro – cioè se la verità viene a galla – serve anche quel tipo di protervia e d’aggressività disposta a tutto. A colpire ma anche a minimizzare  quando non ad occultare. Sfido chiunque a vedere un tiggì amico, controllato o di diretta proprietà del premier e a cavare , sulla vicenda in questione, un ragno dal buco. Sono molti coloro i quali, in questi giorni , si dichiarano preoccupati per le sorti della libertà di stampa e bene fanno a firmare tutti gli appelli possibili. Ma ho paura che non sia sufficiente.

Domani o dopo, la Procura di Terni chiarirà i termini esatti della eventuale querelle giudiziaria. Nelle  more, il racconto del Giornale sarebbe già sufficiente a stabilirne i contorni :  seppure tutto corrispondesse a verità, si tratterebbe di un modesto ristoro a fronte di un patteggiamento – che non significa  affatto ammissione di colpa – per un reato di molestie, tutt’altro che sessuali –

Niente al confronto dei bimba io farò di te una stella, cioè di  sesso in cambio di favori di stato. Se ne facciano una ragione tutti quelli che pensano di menare il can per l’aia con la storia dell’idoneità  o peggio del nuovo moralismo che si abbatte sul capo dell’innocente : si dimetta Silvio Berlusconi e nessuno avrà a che ridire sul tenore delle sue serate. Non è difficile.