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Mese: Maggio 2010

Qu’arrive-t-il à mes yeux ?

Qu’arrive-t-il à mes yeux ?

Mentre le previsioni – che quasi mai c’azzeccano –  davano per certi  Mike Leigh o Alejandro González Inarritu, Apichatpong Weerasethakul –  niente paura, il critico cinematografico di Libération assicura che Apichatpong  è da tutti chiamato Joe –  col suo Uncle Boonmee who can recall his past lives si è aggiudicato la  Palma d’oro di quest’anno.


Meritato omaggio al cinema-cinema o al cinema puro, come viene altrimenti definito, per questo film misterioso sul ritorno ai luoghi d’origine di Bonomee, il protagonista, cui rimane poco da vivere  e – proprio come in un film – tra fantasmi e apparizioni, rivive le sue vite passate. Bello per immagini, mistico e delirante quanto è bastato per essere nelle corde di Tim Burton assai più di quanto Another year o Biùtiful potessero.


Ma il viaggio a ritroso non prescinde dal Presente – ne’ da tristi presagi per il futuro – che si manifesta attraverso le immagini di uomini armati o nel racconto dell’occupazione militare di un villaggio negli anni 60.



La Thailandia ha spiegato il regista è un paese violento sotto apparenze tranquille, dominato dalla mafia e da un governo che adotta tecniche di censura vietando tutto ciò che minaccia la sicurezza nazionale.Era inevitabile che la situazione esplodesse perchè ci sono troppe disparità sociali.


Uncle Boonmee Who Can Recall His Past Lives è un film di Apichatpong Weerasethakul del 2010. Prodotto in Gran Bretagna, Francia, Germania, Spagna. Distribuito da Bim . Durata: 114 minuti

Malgré la classe dirigeante

Malgré la classe dirigeante

Un premio anche per Noi, visto che Elio Germano, miglior attore con La nostra vita, il suo lo ha generosamente dedicato agl’italiani nonostante la classe dirigente che si ritrovano.


E siccome la Palma è a pari merito con Xavier Bardem per Biùtiful, Giustizia può dirsi fatta.

En attendant la palme ( Mikhalkov)

En attendant la palme ( Mikhalkov)

Apre e chiude l’edizione 63 : il soldato Ryan. E siccome per Robin Hood lo sbarco dei perfidi francesi è stato da tutti interpretato come una scopiazzatura – o citazione, che poi più o meno è la stessa cosa  –  da Spielberg,  Nikita Mikhalkov, forse per tagliare la testa al toro,  ha  subito dichiarato che il suo Sole Ingannatore 2, molto deve proprio a Salvate il soldato Ryan. Chi l’avrebbe mai detto.

Confesso di amare molto il  Mikhalkov attore e regista. Meno l’uomo di cinema ma solo per la conduzione dell’Associazione dei cineasti russi, una sorta di Ministero che tra l’altro eroga fondi e che nella furia di far tornare i conti non è abbastanza prodigo con il cinema d’autore.


E poichè in quel Paese il settore vanta nomi dello spessore di Sokurov , Iosseliani, German e Todorovski, si capisce bene perchè tutti ce l’abbiano con lui, senza considerare  il fatto che i suoi film risultano essere invece copiosamente finanziati.


E come respinge  l’ineffabile Nikita ogni obiezione, prima fra tutte quella che col costo del Sole Ingannatore 2 si sarebbero potuti fare dieci film d’autore?


Ovviamente sostenendo di amare molto il cinema d’autore ma….. non si può mica sempre pensare all’elite. Non tutti possono vivere di ostriche c’è bisogno anche del pane e del burro per i più. Grandezza dell’anima russa.


Insomma questi detrattori sarebbero, a suo dire,  quattro gatti nostalgici dell’ assistenzialismo d’antàn. Questa sembra di averla già sentita, anche se Nikita non ha niente a che vedere con i Mostri di casa nostra. Almeno il genio dei suoi colleghi, lui lo riconosce.


Ciò detto Mikhalkov è un indiscusso maestro capace di conferire dignità anche alla piéce più banale. Questo suo straripante ed esoso kolossal, distante anni luce dalle atmosfere vagamente checoviane del Sole Ingannatore 1, risente del tocco e del mestiere di un grande regista.


Certo l’amor paterno decisamente deborda. Tuttavia una visione antiretorica ed antieroica di quella pagina di storia, considerata dal popolo russo, non del tutto a torto,  una delle più importanti della storia dell’umanità, richiede una certa dose di coraggio. A mostrare quel che c’è dietro a qualsiasi guerra – anche quelle più giuste e necessarie – in termini di dolore, sofferenze, privazioni, stupidità, paura, si rischia di scalfire un’immagine un po’ troppo – e pericolosamente – iconografica della cacciata di Hitler.


Un ristabilire le cose, dedicando l’intera operazione ai giovani che nulla sanno. Non sia mai dovessero pensare che la sconfitta dei nazisti sia stata solo opera dello sbarco in Normandia.


Ariecco il soldato Ryan che tanto piacque a Nikita da volerne fare una versione tutta all’opposto. Un film stalinista ? – come da stizzite note dei connazionali registi firmatari di petizioni al veleno – Non scherziamo.

E qui però ha ragione Nikita che stalinista non fu mai.

Bravo anche come interprete – ma non c’era da dubitarne – e brava anche Nadeja, sua figlia anche nella realtà,  che nel frattempo è diventata una giovane donna. Pare ieri che andò a ricevere l’Oscar per il Sole Ingannatore 1, in braccio a papà. Amor paterno 1 e 2.

E non finisce qui : è quasi pronta la seconda parte del Sole 2.


Burnt By The Sun 2: Exodus è un film di Nikita Mikhalkov del 2010, con Nikita Mikhalkov, Oleg Menshikov, Mikhail Efremov, Dmitriy Dyuzhev, Vladimir Ilyin, Nadezhda Mikhalkova, Andrey Panin, Viktoriya Tolstoganova, Angelina Mirimskaya. Prodotto in Francia, Germania, Russia. Durata: 141 minuti.


Arrivano i nostri

Arrivano i nostri

Pochetti in verità. A parte Visconti con il Gattopardo restaurato dall’infaticabile Scorsese e dalla sua The film Foundation – più una lista di partners, Maison Gucci in testa, che pare l’elenco del telefono – o Marco Bellocchio, versione lectio magistralis ( brillantissima ) sul Cinema, l’Italia  schiera Michelangelo Frammantino, alla Quinzaine con Le quattro volte,  film a episodi, bello e possibile, visto che non va male manco nelle vendite, sulla teoria pitagorica delle quattro essenze  – razionale, minerale, vegetale ed animale –  dell’uomo,  girato in Calabria senza dialogo e con attori non professionisti e Daniele Luchetti in concorso con La Nostra vita. Titolo  pretenzioso  ma solo in apparenza. Data l’antiretorica luchettiana, il rischio pamphlet può essere automaticamente escluso.

Chissà il ministro Bondi e il sottosegretario Giro, sostenitori del cinema ottimista e da brochure promozionale, che diranno di questo viaggio nelle periferie delle periferie romane – quelle pasoliniane oramai navigano  alla velocità di ottomila al mq, se bastano – dei centri commerciali-paese dei balocchi, della smania di far soldi per consumare di più e del consumo come formula compensativa o risarcitoria pressocchè unica per fallimenti, disastri esistenziali, lutti,  in una parola : per vita di cacca?

Il muratore che aspira alla promozione sociale e senza esitazione adotta scorciatoie di ogni tipo, è La nostra vita, come ne fanno parte l’avidità con i suoi  infiniti corollari,  dai ricatti, ai  subappalti selvaggi, alle morti bianche. E fin qui niente di nuovo : questo è tristemente il Paese che ha perso l’orientamento e non sa più distinguere tra ciò che è lecito e ciò che non lo è. Tuttavia lo sguardo che  si attarda sul disastro, non è  quello che in nome di un non meglio identificato senso di superiorità morale o intellettuale  giudica condannando o assolvendo storie e personaggi.

Più semplicemente Luchetti si limita a raccontare la vicenda con estrema puntualità ma senza interferenze di sorta. Una modalità a distanza che allarga il campo lasciando lo spettatore libero delle sue considerazioni, assai diversa da quella più classica del film di denuncia, meno banalizzante e risaputa ma anche più esposta a dissensi o a rilievi di ruffiana moderazione.

Con ciò il film guadagna in veridicità, sin nel finale considerato happy e che invece mette in evidenza un’altra spinosa realtà : quando tutto manca – istituzioni, banche, regole, scuole d’impresa  o quel che è  –  l’unico soccorso anche materiale viene dagli affetti, dalla famiglia, dagli amici . Sempre che ci siano.

E qui ci sono, ma basta guardarli per sentirsi lontani dall’idea della Sacra Famiglia che s’immola senza batter ciglio.
Germano eccessivo e nevrotico come dev’essere il personaggio che interpreta – e che se non gli danno qualche Palma, mi arrabbio – Il resto del cast è bravo di suo e di ottima, non invadente, direzione.

Bondi se ne faccia una ragione : questa è la Nostra Vita. E il nostro maltrattatissimo, in Patria, Cinema. Gli sia gradita l’occasione, tra un’elegia e l’altra, di lavorare per rendere migliore l’una e l’altro.

La nostra vita è un film di Daniele Luchetti del 2010, con Elio Germano, Raoul Bova, Isabella Ragonese, Luca Zingaretti, Stefania Montorsi, Giorgio Colangeli, Alina Madalina Berzunteanu, Marius Ignat, Awa Ly, Emiliano Campagnola. Prodotto in Italia. Durata: 100 minuti. Distribuito in Italia da 01 Distribuzione

….et un plan noir final où l’on peut lire “No Comment“

….et un plan noir final où l’on peut lire “No Comment“

Suite  à des problèmes de type grec, je ne pourrai être votre obligé à Cannes. Avec le festival, j’irai jusqu’à la mort, mais je ne ferai pas un pas de plus. Amicalement. Jean-Luc Godard.


 

Défection – per giustificati motivi –  ma  Absence fino ad un certo punto, visto che intorno al suo film,  come a quei problemi di tipo greco, ci si è interrogati ampiamente.


Più difficile che criptico –  com’è stato frettolosamente definito –  Più tendente ad una visione del presente e del futuro che novecentesco – altra definizione ricorrente – Film socialisme, traccia un excursus tra i momenti più importanti della nostra storia, mescolando linguaggi, scomponendo e ricomponendo immagini, citazioni letterarie e  suoni.  Da Samuel Beckett a Derrida passando per Goethe, Conrad,  Shakespeare, Malaparte, Heideger, Genet, Bismark, Sartre e Arendt, il tutto saldato a sequenza memorabili da Viaggio in Italia, Le Quattro giornate di Napoli, La Corazzata Potemkin, Medea, Les plages d’ Agnes e a musiche di Beethoven o Ibanez o Chet Baker ovvero  servendosi di  interpreti a loro volta legate da un filo sottile : Barbara, Mina, Gabriella Ferri…


Tutto (o quasi) qui. Se invece di rincorrere il messaggio o di scervellarsi per decodificare l’eventuale metafora – il più inutile, stucchevole dei modi di porsi davanti ad un film –  ci si concentrasse sulla visione e sull’ascolto, si potrebbe apprezzare meglio un’opera in cui, guarda caso,  le chiavi di lettura sono più esplicite di quanto possa sembrare. A partire dal sottotitolo del film stesso : les idées nous séparent, les rêves nous rapprochent.




La struttura  invece è articolata come  una Sinfonia in  tre   movimenti :


Des choses comme ça : un viaggio nel Mediterraneo su di una classica  nave da Crociera in cui convivono il jogging, la sala da gioco e Patty Smith. La buona americana, l’altra faccia dell’imperialismo, annota Godard


Notre Europe (Quo vadis Europa) :  Nel cuore della notte, due fratellini convocano i loro genitori per chiedere loro che fine abbiano fatto liberté, égalité, fraternité.

 


Nos Humanités :  le tappe del viaggio : Egitto, Palestina accesso negato indica un cartello –  Odessa – con citazioni cinematografiche da Ejzenstein –  Grecia – in francese Hélas , in inglese Hell us –   Napoli – particolarmente toccante : brani da Le quattro giornate di Napoli cucite con le immagini dei rifiuti che sommergono la città. Conclusione  : hanno liberato un popolo, in cambio  li hanno obbligati a sentirsi dei vinti . E infine  Barcellona.

Finale nel più puro stile JLG  in polemica con la dicitura sui diritti d’autore che abitualmente compare nei titoli di coda dei film, così commentata : Quand la loi n’est pas juste, la justice passe avant la loi“, mentre al posto della parola  FINE  compare …… un plan noir final où l’on peut lire “No Comment“.



Film socialisme è un film di Fabrice Aragno, Jean-Paul Battaggia, Pierre Binggeli, Jean-Luc Godard, Paul Grivas, Anne-Marie Miéville, Louma SanbarPatti Smith, Élisabeth Vitali, Christian Sinniger, Nadège Beausson-Diagne, Maurice Sarfati, Lenny Kaye, Quentin Grosset, Jean-Marc Stehlé, Louma Sanbar, Alain Badiou. Prodotto in Francia, Svizzera. Durata: 101 minuti. del 2010, con