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Mese: Giugno 2010

Roma 329446

Roma 329446

Hai visto l’Eclisse? Io ci ho dormito. Una bella pennichella. Bel regista Antonioni. C’ha una Flaminia Zagato. Una volta sulla Fettuccia di Terracina m’ha fatto allungà il collo.


 

Il primo post sul cinema del vecchio blog trasloca qui per ricordare Gassman e la Commedia all’italiana che molto deve a lui e al maestro Risi. Non c’è inquadratura, passaggio del dialogo, riferimento, oggetto di questo film che sia lasciato al caso e che non definisca minuziosamente l’epoca – anzi l’anno preciso, il 1962 –  in cui è stato prodotto. Dalla Lancia Aurelia B24 col famoso clacson , alla mia città il giorno di Ferragosto – mai più così deserta – a quel che si diceva dei film di Antonioni, alla Fettuccia di Terracina, il rettilineo su cui si scioglievano le macchine all’epoca in cui l’Autostrada del Sole e gli autovelox erano di là da venire.


 

 

Il sorpasso è un film di Dino Risi del 1962, con Vittorio Gassman, Jean-Louis Trintignant, Catherine Spaak, Claudio Gora, Luciana Angiolillo, Luigi Zerbinati. Prodotto in Italia. Durata: 105 minuti.

 

 

 

Monday morning quarterbacking

Monday morning quarterbacking

 

Mentre Calderoli rimpiange i Vivai – intesi come scuole calcio –  e il bel gioco nostrano che fu o che avrebbe potuto essere, attribuendo parte dell’ insuccesso in Sudafrica ai campionati interni con troppi calciatori d’importazione – ma tutte le scuse sono buone per buttare lì un po’ di  nazionalismo a presa rapida  – in Francia l’esclusione dell’Equipe, oltre che una questione di Stato, è diventata l’occasione per rispolverare il meglio del repertorio Sarkozy prima dell’ Eliseo e della cura Bruni.


 

Non siamo ancora al famoso kärcher, terribile metafora del repulisti nelle periferie in fiamme,  ma poco ci manca.


 

Così Les bleus, a detta di qualche deputato dell’UMP, sono tornati ad essere racailles – feccia –  bande de voyous – delinquenti –  et  de  petits merdeux, oltre che caïds – capetti mafiosi – immatures qui commandent à des gamins apeurés e manco a dirlo,  pas “dignes” de porter le maillot national.


 

Dichiarazioni queste ultime, rese mica a caldo, davanti ai soliti microfoni spianati ma nientedimeno che all’Assemblée National da esponenti del governo, come quella Madame Bachelot, ministro dello sport e della salute, la retorica  della quale  – Non siete più eroi ! –  giorni fa, aveva di molto infervorato la stampa di casa nostra. Vedi tu che piglio e che coraggio nell’affermare che l’ Equipe con i suoi ammutinamenti e le sue querelles, aveva infangato l’immagine della Francia nel mondo.


 

E in effetti di coraggio ce ne sarà voluto parecchio, non fosse altro per l’ ondata di veri scioperi che percorre la Francia e per l’eloquio governativamente irrituale  – nessuna delle definizioni riferite ai calciatori appartiene ad un francese, non dico colto, ma quantomeno civile –


 

 

 

Sono passati i tempi in cui l’effige di Zizou – onnipresente a Clichy, come nel resto delle banlieu –  rappresentava il monito manco troppo subliminale ai giovani beurs – ce la puoi fare anche tu ! – Oggi Les bleus, squadra per lo più composta da francesi di origine magrebina, funziona, al contrario, come dicono da quelle parti, da boucs émissaires, capro espiatorio.


Ergo, come spesso accade in queste circostanze, contro le affermazioni infamanti, si sono scatenati i vari professori di sociologia, tutti concordi con la metafora Prêt-àporter del calcio, specchio della società e comodo recipiente di malesseri.


 

E fin  qui niente di nuovo. A parte il fatto che la Politica all’epoca della crisi – di se stessa – è sempre più invadente e sempre più disponibile ad appropriarsi di questioni irrilevanti. Non solo qui da noi.


 

Nello schema generale delle faccende di un paese, il calcio, con tutto il rispetto per il gioco più bello del mondo, lo è. Quantunque moleste, meglio le infinite diatribe sulle scelte del ct, sui moduli, sui Grandi Assenti, sui Presenti troppo anziani, troppo appagati, troppo juventini, troppo ricchi o troppo terroni che dir si voglia.


 

Resta il fatto che proprio mentre studiavamo da nazionalisti francesi,  siamo dovuti tornati a casa. Meritatamente. Il bel gioco non si è visto e forse manco il gioco, a parte qualche guizzo nel pantano della noia mortale. Il bello adesso è che, liberati da ogni sciovinismo, si può tifare per chi, secondo i gusti di ciascuno, gioca meglio. Non una magra consolazione se il  panorama è quello di scelte – calcistiche, ma anche non – obbligate.

 

L’illustrazione è della Reuters le fonti Libération et L’Equipe.fr


Sistema metrico

Sistema metrico

 

E’ la sconfitta che va guardata in faccia. Perchè va accettata. Perchè succede alla storia di regredire invece di avanzare e ai diritti conquistati di essere perduti.


E’ stagione di ammutolimento generale dentro al recinto della società.


E’ stagione di riduzione del lavoro umano ad ingranaggio del profitto privato, esposto al suo libero arbitrio. Come fu  negli anni della restaurazione della tirannia  in fabbrica dopo la lotta di liberazione., così oggi la vita operaia è variabile dipendente da orari turni tempi e soprusi della proprietà aziendale.


Cedere questo è l’ordine del giorno.


Con il pensiero intatto, almeno quello, che siano passi indietro come quelli di chi prende la rincorsa per rivincere.


Erri De Luca  l’Assedio di Pomigliano Il manifesto giovedì 17 giugno 2010



Non si sarebbe dovuto arrivare a tanto. Una trattativa che vede una delle parti stretta in un vicolo cieco, senz’altra possibilità che  accettare condizioni mortificanti, mancando l’elemento basilare della pariteticità, non è una trattativa.


Tuttavia non sono d’accordo a caricare Pomigliano di simboli e significati oltre la doverosa e quanto più possibile lucida analisi dei fatti e dei fenomeni al contorno.

Un episodio di normale protervia padronale all’epoca dell’operaio – non più idraulico – polacco di Tychy?

Certamente.

Ma anche l’evidente inadeguatezza del nostro sistema di relazioni industriali. E della Politica che dovrebbe tenersi fuori da vicende del genere se non per metter mano a quella mancanza di alternative, vero leit motiv di tutta la querelle.


Certo è che se di tutto questo si continua a fare un emblema, Pomigliano diventerà immediatamente un modello esportabile in altre situazioni. Come Confindustria pretenderebbe. E almeno questo non  deve accadere.



Cedere questo è l’ordine del giorno.



E non ci sono motivi giuridicamente validi  perchè l’accordo diventi il modello del futuro.


Prima di tutto il lavoro. Poi vedremo se i diritti che si sono toccati erano o meno nella disponibilità delle parti in causa. Ma quello che dovremmo soprattutto pretendere è una nuova regolazione del sistema delle relazioni industriali con una ridefinizione, tra l’altro, di regole sulla Rappresentanza, che così com’è concepita, ha in questa occasione, rovinosamente mostrato falle e limiti.


Da una parte un ricatto pesantissimo, dall’altra una componente sindacale che non trova l’accordo con le altre e che non essendo, allo stato, vincolata al rispetto di patti che non riconosce,  inasprisce, di fatto, le condizioni.

 Che aspetta il Sindacato a darsi nuove regole? Che lo faccia questo Governo?

 

Stamane su tutti i giornali Marchionne tiene banco con le storie che piacciono alla gente – lo sciopero nel giorno della partita, l’assenteismo record ed il resto – lo fa alla vigilia di una manifestazione pro accordo e di un inutile referendum. Sarebbe bello argomentare di rimando e non con il solito repertorio di armi spuntate, compresi quei cospicui aiuti di Stato che oggi risuonano come ulteriore beffa. Anche l’assenteismo ha un rilevante costo sociale, quanto ai calendari degli scioperi, non giurerei.

Un pezzo della sconfitta da guardare in faccia è anche qui.

 

 

Tra parentesi :

(Curiosamente l’aspetto che più mi colpisce dell’accordo è la parte dedicata all’organizzazione del lavoro, non tanto per quei parametri world class manufactoring, presenti già dai tempi di Chaplin – solo che lì non erano world e a verificare il tutto c’era l’orologio con i minuti e non il computer con i centesimi di secondo – quanto il mirabile sistema a incastro di norme a fregatura fatti di pause pranzo a fine turno – tanto per eventualmente compensare in quella mezz’ora, già quaranta minuti, ogni perdita di tempo anche quelle dovute a cause di forza maggiore – ovvero le ottanta ore pro capite di disponibilità allo straordinario senza colpo – di preavviso e contrattazione – ferire, ovvero l’abolizione di un giorno di riposo.

 

Tempo, tempi e se a Tychy si dovesse sfornare una Panda al secondo, così dovrebbe essere anche a Pomigliano, Melfi e Mirafiori. Qui è l’Azienda a non avere alternative.

 

Questo emblematico – stavolta sì – inverarsi della globalizzazione reclama a gran voce contromisure differenti poichè come avvertiva Luciano Gallino su Repubblica di lunedì scorso, un simile metodo di lavoro è studiato per rendere l’essere umano il più possibile simile al robot mentre il sistema di concorrenze spinge le aziende a produrre meglio e a costi sempre più bassi.

 

Mi domando quanto possano i soli e pur sacrosanti diritti costituzionali, contrastare simili tendenze. Forse è tempo di stare nella trattativa con atteggiamento più pragmatico ed aggressivo)

  

 

 

Nelle illustrazioni da Tempi Moderni di Chaplin : sopra : la macchina che consentiva l’ottimizzazione del tempo mensa 

sotto : la bellissima Introduzione.
 



Di piglio ( dedicato a Calderoli)

Di piglio ( dedicato a Calderoli)

 

 

Vista la Gran Dissociazione – di nome e di fatto,  mai sentite le loro esternazioni? –  e dato che a Radio Padania ieri sera si preferivano il guarani e le trombe (tte) del giudizio, il gol di Daniele De Rossi, romano e romanista, lo dedichiamo a Calderoli ( Salvini, Maroni …). Un punto messo a segno di piglio più che di testa, diranno –  con ragione –  gli esperti. Ma non è poi così che comincia ogni riscossa?

 

Che bello Diego

Che bello Diego

Sono un idealista. Per me Maradona sarà sempre più grande dell’effetto che le droghe hanno avuto su di lui. È un artista. Essere un artista significa andare al di là dei propri limiti. Questo non ha nulla a che vedere con questa società che ti mette su un piedistallo per poterti poi distruggere e seppellire.

Emir Kusturica


Che dire. Intanto varrebbe la pena di fermarsi di più sulle idee espresse dal  gioco di questo rinato CT al suo – vittorioso – esordio mondiale, piuttosto che inondare pagine e pagine col suo fresco di lana grigio,  cravatta in tinta, diamanti ai lobi, rosario d’argento intrecciato tra le dita ed orologi  – due, classici di chi tende ad essere ritardatario –



Ma tant’è, quando c’è di mezzo lui, pare proprio che delle note di cosidetto  colore non si possa fare a meno. Ovviamente Diego ci conta anzi ci giobba, come si conviene ad ogni autentico mito popolare, oggetto di venerazione e di culto, con chiese, battesimi, avemarie e liturgie a lui dedicate. La Iglesia maradoniana, infatti,  non è certo un’invenzione del regista Kusturica.  E conta migliaia di fedeli.


Dunque l’apparizione – per rimanere in tema  –  di Maradona riscalda un mondiale – almeno per il momento –  piatto.  Con l’apprensione, l’entusiasmo, la spavalderia di sempre e quel dare diligentemente spazio – non è da tutti –  all’imprevedibile Messi. E anche se non tutto ha funzionato a dovere ..beh qualcosa di buono si è pur visto.



Due anni fa a Cannes, il documentario Maradona presentato nella selezione ufficiale ma fuori concorso – quindi con tanto di conferenze stampa, esclusive, monteé e feste, il tutto  col pallone al piede –    affiancando le immagini dei film di Kusturica a quelle di repertorio e non, sulla carriera di Diego,  metteva insieme due talenti in qualche modo simili. Una lunga rievocativa confessione, senza nulla omettere, comprese ovvietà – pensate che giocatore meraviglioso sarei stato, senza questa mia maledizione irresistibile – .

Da ri-vedere, ri-conducendo il tutto alle immagini recenti di Johannesburg. La storia (o la leggenda, come si dice in questi casi) continua.

Maradona di Kusturica è un film di Emir Kusturica del 2006, con Diego Armando Maradona, Emir Kusturica. Prodotto in Francia, Spagna. Durata: 90 minuti.