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Mese: Dicembre 2010

Prosit!

Prosit!

Insomma la mia scelta simbolico musical rappresentativa di fine d’anno dovrebbe giocarsi tra Johann Strauss padre e Nino Rota. Tra eserciti in marcia  e clownerie. E infine – tanto per andare al sodo –  tra Joseph Roth e Federico Fellini.


Mi sa che non ci siamo. Arte Memoria e Morte – in egual misura distribuite, tanto  in Otto e Mezzo quanto  in  Radetzky- Marsch – per Capodanno? Allora perchè l’una è adatta e l’altra no?



L’anno finisce con la stupidità, l’irrilevanza, la finta indignazione  e il meditabondismo a buon mercato. Come se non bastassero i fatti a rovinarci l’esistenza ci si  mettono pure i commentatori. Quelli che con buona pace e molto spregio di  storia e letteratura attribuiscono significati spiccioli (ed improbabili) ad ogni infinitesimale questione. Se lo sapessero, Roth e Fellini non si prenderebbero manco il disturbo di rivoltarsi nella tomba, così pure gli autori delle rispettive colonne sonore.


Prosit, signori miei,  Prosit. Con la Saraghina o col Feldmaresciallo, col Finis Austriae o di altro impero (che pende, che pende e che mai non vien giù). Ognuno ascolti ciò che più gli aggrada e si rechi ai concerti che gli piacciono. Il miglior augurio, in questo caso, è di godersi la musica.

Prosit.

E per cortesia, non chiamatele marcette. Un po’ d’orecchio (almeno quello)

Nell’illustrazione un ritratto del Feldmaresciallo Von Radetz.






Away we go (che è meglio)

Away we go (che è meglio)

Phoenix, Tucson, Madison, Montreal, Miami.  Altro giro altra famiglia, stavolta  in tour (circolare, si arriva dove si è partiti)  alla ricerca del posto più adatto per vivere e allevare la bambina che è in arrivo.


Ad ogni tappa l’incontro di Burt e Verona con strampalati personaggi  persi in situazioni da paradosso,  impone alla storia l’andamento obbligato del viaggio di solo ritorno con le conclusioni che il caso comporta.


A patto di non farla troppo facile liquidando il tutto come il rifiuto di modelli famigliari  ritriti, radical o new age, questo ritorno a casa non ha nulla della conservazione in cui lo si vuol cacciare per forza. Piuttosto di prosieguo della ricerca e del viaggio in un luogo dell’anima più confacente alle esigenze di una coppia davvero innamorata e che, se non emana gioia, come è stato da più parti rilevato (ma chi l’ha detto che) di sicuro è energica e determinata nell’obiettivo prefisso.


Belli i dialoghi – Dave Eggers e Vendela Vida sono gli sceneggiatori – affidati alla recitazione di famosi attori televisivi, mentre la regia, com’è nelle abitudini di Mendes, rifà il verso al cinema indipendente del quale in effetti  ha goduto le ristrettezze da budget  – risicatello al punto da ricostruire tutte le tappe del viaggio  unicamente in Connecticut –  solo quelle però. Mendes è troppo meticoloso per poter riprodurre quel tocco di elegante sciatteria che fa tanto Sundance e dintorni, ergo, il trucco riesce solo nella parte in cui conferisce agilità alla narrazione. Perchè American Life? Va a saperlo. Una volta che ci si era decisi a mantenere l’inglese non era cento volte meglio Away we go?




American Life è un film di Sam Mendes del 2009, con John Krasinski, Maya Rudolph, Carmen Ejogo, Catherine O’Hara, Jeff Daniels, Allison Janney, Jim Gaffigan, Maggie Gyllenhaal, Josh Hamilton, Bailey Harkins. Prodotto in Gran Bretagna, USA. Durata: 98 minuti. Distribuito in Italia da Bim Distribuzione

Guess who’s coming to dinner

Guess who’s coming to dinner

Indovina chi viene a cena. E invece di  Sidney Poitier all’inizio della Lunga Marcia  che da Casa Drayton lo porterà diritto alla Casa Bianca, arriva Enzo Jannacci sul viale del Tramonto.

Non meno affascinante. Salvo che come aspirante  fidanzato di una quindicenne, centuplica le perplessità del Matt Drayton di turno e pure quelle del comune spettatore.



Inoltre  la Val d’Orcia nel terzo millennio non è la San Francisco dei 60th, la coppia  è più che mai  liberal, sempre presa da professioni interessanti ma vieppiù problematizzata : e se le mamme imbiancano e i papà straparlano, pure le figlie crescono ma c’è differenza rispetto ad allora.


Tutta colpa dell’educazione permissiva, retaggio di un periodo di grandi trasformazioni in cui ogni cosa si è voluta mettere in discussione e a tutto, per dirla col Poeta, si è voluto dare una risposta.

Tutto, tutto : a cominciare dai Padri. Così almeno interpretano i teorici del (tardivo) schiaffone  del Genitore Assente, già attivissimi ai tempi della Luna di Bertolucci nell’applaudire quel gesto estremo ma salutare per chi lo riceve e parzialmente risarcitorio dell’ Abbandono del Ruolo, ai fini del racconto.


Schiaffone per schiaffone però, si domanda il morboso  spettatore, anche genitori troppo presi da se stessi e impegnati a costruire altri ruoli meriterebbero le botte. Ma, a ben vedere, costoro gli schiaffoni sono soliti darseli  da soli. E l’equilibrio si ristabilisce.


Il troppo clichè è solo apparente in questo film di Castellitto & Mazzantini sul fallimento di certe famiglie forzatamente non tradizionali e anche il rilievo di recitazione sopra le righe, cadrebbe se si pensasse a quanto eccessive, mefitiche e innaturali siano le coppie ( e i single!) di combattenti & reduci che hanno fatto dell’approccio ideologico lo strumento unico per affrontare qualsiasi tema esistenziale. Col risultato che l’estrema inadeguatezza del mezzo porta con sè in termini di confusione, nevrosi e fallimenti.

Non è Non ti muovere (forse irripetibile) ma una dignitosa e divertente commedia della specie all’italiana. Attori bravi come loro solito. Giallini e Jannacci perfetti.




La bellezza del somaro è un film di Sergio Castellitto del 2010, con Sergio Castellitto, Laura Morante, Marco Giallini, Gianfelice Imparato, Emanuela Grimalda, Barbora Bobulova, Lola Ponce, Enzo Jannacci, Svetlana Kreval, Renato Marchetti. Prodotto in Italia. Durata: 107 minuti. Distribuito in Italia da Warner Bros

Indovina chi viene a cena? è un film di Stanley Kramer del 1967, con Spencer Tracy, Sidney Poitier, Katharine Hepburn, Katharine Houghton, Cecil Kellaway, Virginia Christine, Roy Glenn, Beah Richards, Barbara Randolph, Isabel Sanford. Prodotto in USA. Durata: 108 minuti.


Standard Operational Bullshit ?

Standard Operational Bullshit ?

o  Sexually Oriented Business ? Oppure  …..Son of a Bitch ? O più semplicemente lo sconsolato  SOB dei fumetti ?


Non si sa. E  poco conta  dato che ognuna di queste soluzioni dell’acronimo S.O.B.  è adatta a definire  la  più irriverente e crudele  slapstick  contro  Hollywood  che Hollywood rammenti.


Dirige Blake Edwards che di quel mondo aveva ben donde e che  fu trattato anche peggio di come  racconta  nella dissacrante storia del regista famoso  che per riconquistare il box office, vuol trasformare un suo clamoroso insuccesso in una specie di musical pornografico. Un lavoro autobiografico, diranno poi i patiti del classificatore, quelli  che con Blake comunque sono sempre cascati male.

Infatti è assai di più.


Curioso come il regista di Colazione da Tiffany ci lasci una filmografia ancora tutta da scoprire. Sono i lavori che l’establishment  ha ostacolato con ogni mezzo, le commedie più spigolose e fuori dagli schemi, la vera ragione della serie Pantera Rosa, sette film di successo, alcuni dei quali realizzati per poter lavorare al suo cinema.


Che è inclassificabile per quella particolare attitudine di mischiare i generi, di smontarli e rimontarli buttando all’aria qualsiasi codice o schema narrativo.Che è divertente e profondo, acuto e lieve, un bell’esempio di ciò che può fare il cinema nelle mani di un Maestro.


S.O.B. è un film di Blake Edwards del 1981, con Julie Andrews, William Holden, Marisa Berenson, Larry Hagman, Robert Loggia, Stuart Margolin, Richard Mulligan, Robert Preston, Craig Stevens, Loretta Swit. Prodotto in USA. Durata: 122 minuti.

La camera respinge (vincere)

La camera respinge (vincere)


E’ finita   314 a 311, per il Governo. Il premier incassa la vittoria – così chiamano nel PDL l’ottenimento della fiducia – che è la cosa che più gli preme, chè governare non è prioritario,  e il resto  – dice Lui –  sarà  giocato su un allargamento della maggioranza a singoli deputati.



Vincere e subito dopo mettersi alla ricerca del sostegno necessario anche solo alla semplice gestione dell’agenda parlamentare è l’immagine che  più di ogni altra definisce l’incertezza della fase a venire.


Vincere e dover chiedere il consenso alle Opposizioni, provvedimento dopo provvedimento, dopo un periodo di schiacciante maggioranza e abuso della decretazione, è il segno di una parabola certo non in ascesa.


Non so se in tutto questo c’entri Pirro ma di sicuro la vita di molti cittadini è coinvolta nei provvedimenti dell’agenda di cui sopra e quindi appesa a questo singolare programma di allargamento a quelli che passano o che sono delusi  dalle rispettive compagini o che hanno un problema qualunque che può essere risolto in sede di contrattazione spicciola nelle – oramai nemmeno troppo – segrete stanze. Altri incentivi sono in distribuzione :  posti di governo vacanti. Lo si dichiara apertamente.(e magari poi si smentisce, come da inveterata abitudine )


Qui da noi, in barba al tanto sventolato futuro, si celebra il ritorno in grande stile delle vecchie zie dorotee, per dirla con Rotondi, poi per essere il più possibile in armonia col passo indietro e il bel tempo che fu, si approfitta degli scontri di piazza per una megaoperazione di propaganda in cui si reclamano le maniere forti, ovviamente contestando i giudici per eccesso manica larga con gli arrestati di Roma. Ogni occasione è buona.




Ma lasciamo stare per un momento il passato, i  peones e i transfughi di cui secondo alcuni banalizzatori di professione, non si deve parlare, altrimenti si è borghesi, ineleganti,  moralisti e  ignoranti della storia recente e passata (manco fosse proibito indignarsi con effetto retroattivo).


Sorvoliamo pure sulle oramai fantasiose e depenalizzanti interpretazioni dell’art 76, ovvero della Giustizia à la carte, entrambe le questioni attengono ad una classe politica senza qualità, selezionata, se va bene, col metodo dei bussolotti.(e almeno a questo varrebbe la pena di mettere seriamente mano) e della quale si è potuta  valutare la stoffa ad ogni uscita pubblica, nonchè, a titolo esemplificativo, seguendo i passaggi delle dichiarazioni che hanno preceduto il voto di fiducia.


Lei presidente non ha soddisfatto le aspettative, non ha fatto le riforme……..nel ’94 la borghesia votò per lei perchè aspettava una rigenerazione morale. Temo che lei sia in ritardo. Ma voto lo stesso la fiducia


Questa è di Marcello Pera che con lo shopping non c’entra ma che qui si riporta per un’ illogicità che forse è solo apparente.



Probabilmente hanno ragione tutti coloro – a partire  dalla stampa estera – che negli ultimi giorni  hanno individuato nella mancanza di un’offerta politica alternativa precisa, il motivo dell’insuccesso e che ci hanno ricordato  come la mozione di sfiducia di tutte le Opposizioni, avrebbe meritato di essere accompagnata da un disegno meglio definito per il dopo.



Invece i governi cosidetti tecnici – un’ipotesi di scuola impeccabile  ma astrusa se svuotata delle indicazioni di  programmi ed eventuali  maggioranze a sostegno  – si sono sovrapposti alle sante alleanze – un po’ di qua e un po’ di là – e le sante alleanze a governi di scopo o a termine o differentemente presieduti (vedi Tremonti) e il tutto malcelando il vero spirito dell’ondivagare e cioè la paura del voto.


Comprensibile, per certi versi lecita ma che in Politica non mena buono lasciar trapelare . Specialmente se si è all’Opposizione. In un universo in cui si celebra come un trionfo l’ottenimento di una fiducia tirata per i capelli, controversa e comunque di stretta misura, qualunque perplessità circa la competizione elettorale viene letta come un segno  di debolezza. E questo non può non aver agito sui tentennamenti degl’incerti.Almeno di quelli che non avevano mutui e preventivi di ristrutturazione di casa da onorare.


Da ultimo –  soprattutto dopo che Casini Fini e Rutelli hanno ritenuto di mettere in  sicurezza i propri voti parlamentari istituendo un coordinamento – torna nel PD lo sfinente tema delle alleanze – più di qua che di là – incassando prevalentemente i rifiuti degl’interessati e valanghe di dissensi da quella che un tempo si chiamava la base e ora non so.  Il tutto mentre il cavaliere tutt’altro che disarcionato giura di durare fino al 2013. E oltre.

Se fosse un film, il sottotesto strillerebbe : Vincere ? Con un gran punto di domanda. Ma lo si vuole davvero? Diversamente, andrebbe bene anche Perdere con onore, il tutto mentre comincia a farsi strada il sospetto che il più grande partito d’Opposizione non sappia, al momento, cosa volere.