Il post avrebbe potuto chiamarsi Cuori nella Tempesta e, per stemperare il senso di disorientamento raccontare di finte ed indignate dimissioni o di vanterie drammatizzanti – è proprio un golpe! – o di minacce o di ricatti, ovvero di tutto quanto si sta svolgendo sotto i nostri occhi oramai disabituati all’incredulità.
Poi però..
Poi succede che il Capo dello Stato va a commemorare Luigi Spaventa – apprezzato economista ma anche persona di impeccabile sobrietà – e nel discorso inserisce considerazioni sul mondo di ognuno,inteso come patrimonio di Valori dal quale far discendere idee e comportamenti, e di come sembri sfumare proprio quando si assume consapevolezza degli amici che non sono più.
Il mondo cui si allude è fatto di rigore,correttezza, rispetto delle regole e l’idea che tutto questo stia per diventare retaggio di epoche andate è inevitabilmente suggerita dagli avvenimenti di questi giorni.
Sembra niente : un esercizio retorico, un discorso “da vecchi” salvo che non si rifletta sulla fatica e su quanto ci sia voluto d’impegno personale e collettivo per costruire quel mondo :
E allora non sono più Cuori nella Tempesta,l’ironia non soccorre la esatta definizione dei piccoli guastatori che venerdì prossimo convocheranno la piazza per gridare al mondo di essere tutti decaduti.Aggettivo improprio, non fosse altro perché gli eventi relativi non sono giunti a maturazione,rendendo tutti loro piuttosto decadenti che decaduti.
E’ possibile che quel mondo se ne stia davvero per andare,resta inteso che, al momento, l’unico strumento per far fronte alla disgregazione s’identifichi con esso.Nonostante gli amici che non sono più o per garantire loro sopravvivenza in nome di una fatica che non può essere stata vana.
La meno affascinante delle sentenze – ultima in ordine di arrivo, esito di una causa civile, dunque niente Pubblici Ministeri assatanati – e le conseguenti recriminazioni sulla giustizia a orologeria – dopo vent’anni, al più la si potrebbe definire a scoppio ritardato, ma tant’è – più l’ossessività del fumus persecutionis. Dovendo poi corrispondere mezzo miliardo scarso al Nemico Numero Uno, il malcelato disappunto . E ancora: la penultima disgrazia, quella dell’Ineleggibiltà e della Decadenza,al momento la più insidiosa.
Preceduto da un coming soon degno di migliore spettacolo, appare invecchiato ma l’età non c’entra, prevedibile, per scenari, foto di famiglia, gestualità, doppio petto, rilancio di nuove formazioni. Privo di qualsiasi elemento sorpresa, inefficace nell’invocazione al popol suo che scenda in piazza e combatta per lui/con lui una battaglia di libertà.Eversivo? Non scherziamo.
La maschera tragica e priva di pathos di un veterano appesantito cui tirano i bottoni della divisa sul petto. Non c’è dramma in questo Sunset boulevard solo il comico involontario di un ritorno alla ribalta col remake di un film di quand’era un divo.Ma Norma Desmond era grandissima per aura di follia distruttrice .Lui no.
Il Dramma rimane a noi,decadrà, diverrà ineleggibile, telecomanderà Forza Italia da casa : i suoi lasciti resteranno egualmente difficili da smaltire e cospicui :allineati uno dietro l’altro,i suoi processi passati e a venire hanno un unico leit motiv : la Corruzione e a cascata una serie di disastri civili che vi si accompagnano. Al cospetto del consenso di cui ancora gode, malgrado i delitti, l’IVA l’IMU,i Governi che cadono oppure no, sono sciocchezze.Circostanze da cui si può venir fuori. La satira – stracca oramai anch’essa – riponga la penna.C’è poco da ridere e molto da riflettere prima di ricostruire.
Documentario più fiction per non farsi mancare nulla di un Tempo,di un Paese e di un Cinema di grandi prospettive. Fondali di cartapesta a sollecitare una Memoria senza buttarla in nostalgia. Stile asciutto – un album di fotografie, fiori secchi e una mosca schiacciata – cinismo e ironia (ma poi nelle sale tutti con gli occhi lucidi, dal Capo dello Stato al Venerato Editorialista )
Che bello chiamarsi Ettore e da pensionato continuare a occuparsi di Tutto coordinando giurie popolari e proteste ai festival, promuovendo candidati alle Primarie e, a scappatempo, tornare a fare cinema, celebrare un amico parlandone da vivo e infine liberarlo da una condizione insopportabile : via a gambe levate dal teatro cinque, occasionale camera ardente,inseguito dai due carabinieri del picchetto d’onore in alta uniforme.Dedicato a Federico Fellini nel ventennale della sua – del tutto apparente – scomparsa.
Fortunato chi lavora perché almeno può scioperare. Amelio ci indica la chiave : il suo Intrepido ruota tutto intorno a questa battuta che Albanese rivolge nel film ad un temporaneo collega.Ovvero : il lavoro è dignità,ruolo sociale,rassicurazione al di là della semplice sopravvivenza e quando manca non bisogna rinunciare a perseguire una condizione egualmente dignitosa. Anche a costo di accettare centomila faticosi rimpiazzi. Avventura al limite dell’impossibile e per l’appunto da intrepidi specie se vissuta con semplicità, senza tante storie, contrastando ogni comprensibile ma insidioso senso di umiliazione.Retorica del sopportare silente? Niente affatto. Semmai epica del vivere tenendosiallenati per quando arriverà il meglio. Oggi è doveroso essere positivi ed intrepidi (sempre Amelio) come il giornaletto dalle mirabolanti peripezie a puntate, al termine delle quali sapevi di trovare un finale positivo..
Spiace per Amelio, al Lido con un film sulla contemporaneità dai toni differenti.Una specie di Charlot, si è detto, anche grazie ad alcuni evidenti rappel, ma non solo.
I leoni (le palme,gli orsi) però funzionano così : sono anche l’esito di elaborate mediazioni e di incroci di criteri imperscrutabili.E non ce n’è mai abbastanza per tutti, senza contare che il premio ad un terzo film italiano avrebbe fatto strillare allo sciovinismo (che è parente dello strillo all’esterofilia,alla cineseria e al resto del corredo quando invece il sentimento nazionale viene offeso dall’assenza di riconoscimenti)
E spiace anche che siano stati ignorati prodotti di valore come The Rooftops – Les terrasses :
La Casbah, Bab el Oued, Belcourt, Notre-Dame d’Afrique e Telemy Cinque quartieri di Algeri – cinque pezzi di cuore, per chi scrive – cinque terrazze che ospitano ciascuno un racconto scandito dalle cinque preghiere annunciate dal muezzin.Un film indispensabile per capire le rivoluzioni arabe della trascorsa primavera e della più lontana,lotta per l’indipendenza d’Algeria.Le terrazze sono luoghi isolati immersi nell’azzurro del cielo innanzi a panorami da perdere la testa, l’apparente tranquillità però è in aperto contrato con le storie che via via vengono raccontate e con il lamento ripetitivo della preghiera : un film che si spera di rivedere.
Stray dogs . Centotrentotto minuti di estenuante e orientale lentezza, il film forse più difficile del festival.Esponente di un modo di fare cinema senza cedimenti verso alcuna forma di compromesso, Tsai Ming Liang dirige un film, nel suo genere, perfetto. E poco conta se la critica s’è sbizzarrita in tutti i modi a ironizzare sull’eccesso di manieristica contemplazione della miseria e dell’emarginazione – condizioni che sarebbe bene contemplare magari riflettendo ben oltre le inquadrature fisse da 11 minuti – ignorando il fatto che il cinema di Tsai Ming Liang è portatore di Valori comprensibili anche senza le note di regia.Basta guardare.E qui al capolavoro strilla (forte) chi scrive.
Elogio del mostro celibe ovvero di una sorta di prequel del Santo Gra titolato Tanti futuri possibili.Omaggio a Renato Nicolini, sempre a cura di Gianfranco Rosi in cui lo stesso Nicolini in tour per il GRA su una specie di papamobile spiega, alla sua maniera, il senso di quell’ autostrada metropolitana di 68 km che cinge ad anello la città ben specificando che strutturata com’è un senso ed una funzionalità precisa non ce l’ha mai avuti.
Opera inutile ? Evvai con la tonante invettiva? Macchè. Sostiene Renato che il Raccordo ideato dall’ingegner GRA – dunque non solo un acronimo ma direttamente una firma – è probabilmente un gesto d’artista una macchina celibe circondata da tante famiglie spurie : il cimitero delle macchine, lo sfasciacarrozze, i negozi di lampadari, quelli di abiti da sposa i trasportatori urbani e che pure la forma ad anello forse richiama il tondo, qualcosa di grande forza simbolica, continuazione ideale della cupola di San Pietro ma anche del tempietto di San Pietro in Montorio del Bramante.
Seguono irresistibili riferimenti a Lewis Carrol e ad Alice all’inseguimento circolare del Bianconiglio tra Boccea, Torrespaccata e il Torrino nonchè un calcolo della circonferenza complicato dal fatto che essendosi scordato la formula Nicolini convoca telefonicamente il nipote fresco di studi (scuola media).Conclusione : il Raccordo non si deve comprendere,si deve amare. Esilarante.
Il Santo Gra che si è aggiudicato il Leone d’oro non utilizza le sequenze del gioiellino di cui sopra ma conserva integro lo spirito nicoliniano nel momento in cui aggiunge all’affresco segnato da una mutevolezza del paesaggio estrema, una tornata di personaggi e situazioni (sur)reali tra di loro diversissime, sono storie di abitanti recuperate lungo il percorso non molto distanti dalle leggende metropolitane sul GRA che vogliono un pullman di calciatori da decenni a girare in tondo lungo il raccordo, alla ricerca di una via d’uscita.
Ecco : tornando ai Cahiers e alla loro accorata campagna contro il sociologismo,la seriosità e l’attaccamento morboso ai generi da parte del cinema d’autore, questo premio si può intendere come un forte incoraggiamento ad un cinema che tenta la strada del rinnovamento.Con naturalezza,riuscendovi.
Qualcosa che è cominciato con l’ingresso-marcia trionfale della troupe di Fellini – dolly, camion e bagagli – in Roma appunto dal raccordo, è continuato su un minivan con i metafisici e geniali sproloqui di un grande architetto che s’è scordato la formula e finisce con il viaggio a piedi di un documentarista con gli attributi.Montaggio strepitoso,ritmo esatto.Dedicato all’affettuosa memoria di Renato Nicolini.Molto in tono con il sentire cinematografico del presidente della giuria. (qui sopra la locandina del film : il mostricino che allunga le zampe fino a delineare minacciosamente il perimetro del Raccordo si chiama – accidenti a lui – “punteruolo rosso” ed è il distruttore delle palme di questa città,finalmente abbiamo capito a chi dobbiamo lo scempio. Vedere il film per saperne di più)
Sacro GRA è un film di genere documentario della durata di . diretto daGianfranco Rosi.
Prodotto nel 2013 in Italia e distribuito in Italia da Officine Ubu il giorno .
Stray Dogs (Jiaoyou) è un film di genere drammatico della durata di . diretto da Tsai Ming-Liang e interpretato da Chen Shiang-chyi, Yi Ching Lu.
Prodotto nel 2013 in Francia, Taiwan.
Éloge de la comédie, titolano i Cahiers di settembre che da tempo segnalano l’inguardabilità e il comico involontario di certo cinema d’autore afflitto,a loro dire, da troppa seriosità.Giusta distanza,ironia,eleganza alla maniera di Cronenberg,Anderson,Carax, Korine,Abrams sono gl’ingredienti della perfetta commedia che rimescola i generi e rompe con la tradizione.
Giusto.Ma allora perché a Venezia il film di Gianni Amelio che tutti quegl’ingredienti conteneva è stato trattato con sufficienza? Lo vedremo poi. Per adesso ancora qualche signora :
Angeliki La più insostenibile delle tragedie (greche) raccontata con la tecnica della rivelazione man mano che procede il film. Tra non detto e visto anche troppo, si dipana una storia di scempio domestico il cui elemento urticante è dato dall’apparente acquiescenza,sottomissione e finanche ammirazione delle vittime nei confronti del proprio carnefice di cui arrivano addirittura a contendersi l’attenzione.C’è qualcosa di indicibilmente autentico in questa storia di violenza ed umiliazione estreme che chiama in causa,oltre al resto, l’atteggiamento psicologico degli abusati il cui unico gesto di rivolta si riduce all’autodistruzione ovvero al suicidio delle prime incredibili sequenze.. (Non é per tutti)
Oh Scarlett, in veste di aliena,mantide dark lady periferica – per come l’hanno combinata il trucco, il parrucco e la sartoria – che rimorchia in autostrada poi seduce e vampirizza le vittime, nelle pause si sofferma a rimirare un corpo – avuto in prestito per la buona riuscita della mission – che non conosce, cui non è abituata .Come non è abituata a gestire qualsiasi altro tipo di sentimento, il che le procura comprensibili ma non semplicissimi, da rendere cinematograficamente, scompensi (Scarlett ci riesce). Testimone poco attendibile – al cuore non si comanda : mi piacciono sia Scarlett che Glazer – dirò che il film è stato ingiustamente maltrattato anche se non c’è critico maschio etero (ma anche non) che non abbia apprezzato le numerose scene di nudo – qualcuno ha persino lamentato mancanza di sensualità,ma insomma –
Per gli amanti dello stile gelido,del dialogo non troppo pressante e di una certa qual sconclusione cinematografica in elegante dispiego.
Rebecca Hall brava intensa sensuale e morbosa q.b mentre interpreta il desiderio in sospeso nel capitalistico melò di Leconte : Industriale dell’acciaio alle soglie della Prima guerra mondiale spedisce un suo protégé povero ma bello, meritevole e capace in Brasile quando si accorge della liaison tutta sguardi sottintesi sfioramenti e sensi di colpa con la propria moglie.
La Domanda Fondamentale a questo punto sarebbe : può il desiderio sopravvivere al tempo che passa?( e ai disastri della seconda guerra mondiale che interrompe le comunicazioni?E alla morte dell’industriale etcetcetc) Patrice Leconte – che caro – si pone apertamente – lo ha dichiarato – il problema dell’istinto suicida che s’impossessa dello spettatore dopo la visione di un film disperante e per questo modifica il finale del racconto il viaggio nel passato di Zweig da cui è tratto il film, inserendo un elemento di speranza.Specialissimo uomo di cinema con curriculum denso di film troppo spesso definiti controversi, Leconte tenta la strada di un melò tradizionale per di più in costume che però non può fare a meno di rendere a mezzo inquadrature e movimenti di macchina piuttosto arditi e dunque in aperto contrasto con l’ambientazione,l’epoca e le domande fondamentali.
Che ci tiene – direbbero a Napoli – Lindsay Lohan . A parte una fedina penalepiuttosto articolata, un discreto talento e una presenza scenica di rilievo,come pure è costretto ad ammettere Paul Schrader che ha tentato di dirigerla nel suo film The Canyons, ennesimo – quantunque insolito – lavoro sulla morte del cinema, i cui assassini sono sempre gli stessi ma proprio in quanto detentori di mentalità criminali rappresentabili nelle loro molteplici angolature.In questo caso la sceneggiatura del celebrato Bret Easton Ellis ci sostiene nel viaggio della Los Angeles cinematografara dove troviamo la nostra Lindsay, attrice in disarmo,che, povera, non sa dove girarsi tra l’amante vorace produttore con villa e annessi e il fidanzato d’antàn caruccetto ma pure lui ossessionato dal fare cinema. Ergo : tutti sono pronti a tutto,tutti vanno a letto con tutti senza badare al genere (non del film).Bella mescolanza di amore vendetta disfacimento rovina con la gradita presenza di James Deen attore anche nella vita del porno internettaro.
Resta da sottolineare come l’epopea produttiva del film così come ce l’ha raccontata Schrader tra ricerca di finanziamenti e difficoltà di convincere la Lohan a rispettare qualsiasi orario di ripresa – come Marilyn in Misfits! Si consola il povero Paul, ripagato per le intemperanze di lei dalla pronta e automatica identificazione con Houston – non può essere disgiunta dal film stesso,quindi si spera che nei contenuti speciali del DVD a venire sia inserito lo spiegone di come si fa a governare un set indisciplinato con pochi soldi e scarse probabilità di venirne a capo (dei soldi).Quanto alla Lohan da teen idol a donna perduta il passo non è brevissimo ma prevedibile e quanto Hollywood sfrutti quella divistica propensione a spingere il piede sull’acceleratore della sua Cayenne , lo è altrettanto.Già, l’eccesso di velocità..di tutti i divistici reati, quello che mi colpisce – so anche perché – di più.
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