Sfogliato da
Mese: Settembre 2016

oh..

oh..

Oh…  che è il titolo del libro di Philippe Djian da cui è tratto il film è diventato Elle. Tra esclamativo e pronome il passo non sarebbe breve se non ci fosse di mezzo appunto Lei – il personaggio ma anche l’attrice – che tutto monopolizza e su cui tutto s’incentra.

Dunque Elle non a caso, Paul Verhoeven regista molto abile nella trattazione di sentimenti estremi, ambiguità del desiderio e foschi  scenari dati da segreti stratagemmi dell’anima ha voluto il cambio e rimaneggiato la sceneggiatura senza che Djian,partecipe dell’impresa,  se la prendesse a male  Tutti d’accordo dunque anche  Saïd Ben Saïd il lungimirante produttore, per avere trovato un’onorevole  quadra tra un libro di non semplice trasposizione e un film non semplice tout court

Storia di una vittima di stupro che non vuol essere vittima. Michéle subisce violenza in casa propria da parte di un uomo con il volto coperto. Dopo non chiama la polizia ma ordina la cena per telefono. Il come se niente fosse ovviamente è  apparente : cinismo e indifferenza non sono i sentimenti dominanti anche se una storia personale  piuttosto travagliata e un presente da manager inflessibile e di successo con corollario di madre e figlio impossibili, possono deviare l’attenzione dalla volontà d’indagare un sentimento complesso le cui manifestazioni, pur ben descritte, non sono sempre spiegabili.

Incredibile Huppert per la sua capacità di interpretare qualunque personaggio.

Elle è un film con Isabelle HuppertLaurent LafitteAnne ConsignyCharles BerlingVirginie EfiraCast completo Titolo originale: Elle. Genere Drammatico, – Francia2016durata 130 minuti

Quando si dice visione

Quando si dice visione

lav-diazAddentrandovi nelle pieghe della Rassegna Stampa Veneziana  leggerete che The women who left, Leone d’oro 2016, è un film di ben 226 minuti (con uno o più punti esclamativi o puntini di sospensione a piacere)  e che tale perniciosa dilatazione dei tempi,  definita con grande  spreco di aggettivi  acquatici (fluviale, torrenziale etc), concilia il sonno o la fuga dalla sala. Rivendicando  il critico il proprio sacrosanto diritto di spettatore ronfante o fuggitivo, apprenderete così che egli  ne scrive avendo visto, se va bene, il film a metà.

A seguire e per meglio accompagnare la disperazione con straccio delle vesti di Distributori ed Esercenti,  vi sarà anche offerta l’occasione di apprezzare l’expertise  di campioni del box office italiano  i quali, pochissimo tergiversando, concluderanno  che certi premi non aiutano. (altri che non hanno visto ma ne parlano si aggiungono alla fitta schiera)

Infine che The women who left è un film noioso.

Tutto qui? Più o meno

Se non la ritenessi indispensabile mi verrebbe da scrivere lasciate perdere la critica e  andate egualmente a vedere questo film destinando alla visione le aspettative che merita. Oppure che la dicitura completa del Festival continua ad essere Mostra d’arte cinematografica e comunque che il cartellone di quest’anno, ben calibrato tra film noiosi – un nuovo genere? – e rutilanti di hollywoodiana fattura, offriva a noi ampia panoramica sullo stato delle cose cinematografiche nel mondo e, di conseguenza, alla Giuria discreta possibilità di scelta.

Oppure adottando una modalità di argomentazione ironico-paradossale molto in auge, che, in fondo rispetto  alle nove ore di  Death in the Land of Encantos, il regista  Lav  Diaz con questi suoi ultimi duecentoventisei minuti ha finalmente trovato la sintesi.

Invece dirò che per raccontare (mostrando e non spiegando)  la Complessità in contesti di cui così poco sappiamo, la dilatazione del tempo attraverso lunghe inquadrature e i dialoghi ridotti all’osso fanno parte di una scelta artistica  plausibile e sin necessaria all’Idea di Cinema che Lav Diaz ha ben impressa nella mente. E che quando da location per niente accattivanti emerge così immediata la Bellezza, siamo di fronte all’esito di  una lavorazione attenta e  meticolosa  affidata a specialissimi effetti quali l’impiego del bianco e nero, un modo particolare di usare la Luce, una recitazione ineccepibile.Quando si dice un gran mestiere.

Ecco perché una Mostra che si rispetti non può esimersi dal promuovere questo cinema che diversamente, data la scarsezza complessiva dei mezzi ( 75.000 dollari di budget) non troverebbe – e sarebbe un peccato –  cittadinanza nemmeno nei circuiti più segreti e  misteriosi della cinefilia arrembante.

Poi certamente ci sono i gusti ma se la Critica dovesse essere affidata solo a quelli allora tanto varrebbe far scrivere di cinema la Santanché e il suo nuovissimo innamorato Dimitri d’Asburgo – Qualcosa, rincorsi sul red carpet e intervistati sul tema dell’Amore che, manco a dirlo, vince sempre.Roba che manco all’epoca del Conte Volpi.

The women who left è una storia (liberamente tratta da un racconto di Tolstoj Dio vede la verità ma non la rivela subito) di una donna accusata ingiustamente di omicidio che, finalmente riconosciuta innocente, esce dal carcere dopo trent’anni e ritrova un Paese in cui sono rimaste immutate solo violenza e ingiustizia.Temi non inediti della Casualità che soprintende le nostre vite e della umana fragilità sobriamente ed sviluppati in elegante e non fine a se stessa cornice.

Grande prova della protagonista Charo Santos-Concio impegnata a rendere con evidenza il ruolo non semplice di chi è alla ricerca (desiderata e temuta) della vendetta nei confronti del suo accusatore ma anche di una sorta di propria  riedificazione di se stessa vissuta e realizzata attraverso la  solidarietà nei confronti di un’umanità dolente e messa forse peggio di lei. Da vedere con animo sgombro da preconcetti.

 

Dedicato dal regista al popolo filippino per la sua lotta e alla lotta dell’umanità.The women who left è un film di Lav Diaz. Con Charo Santos-Concio, John Lloyd Cruz, Shamaine Buencamino, Nonie Buencamino Titolo originale Ang babaeng humayo. Drammatico, durata 226 min. – Filippine 2016.