Storia tossica con disfacimento dell’impero

Storia tossica con disfacimento dell’impero

Più che di revisonismo, pratica inconciliabile con la solida affidabilità di Marco Tullio Giordana, si potrebbe parlare di immissioni nel racconto di numerose licenze poetiche, atteso che di cedimenti a  tentazioni assolutorie, in questo film,  non ce n’è manco l’ombra, piuttosto il dubbio palesato che nel caso in questione, giustizia sia stata davvero fatta .

La storia è quella vera di Osvaldo Valente e Luisa Ferida coppia emblema del divismo autarchico-fascista che al realismo preferiva i film in costume ( memorabile la Corona di ferro e la Cena delle beffe entrambi di Blasetti) e il glamour fatto in casa dei telefoni bianchi. Amanti scandalosi,  lui consacrato maudit, causa dipendenza da cocaina e lei bella e brava ma dalla reputazione altrettanto controversa, causa però, amorosa dipendenza dalle di lui nevrosi oltre che sostanze.

Ma, tra le tante perversioni –  adesione alla repubblica sociale e fuga verso Salò, arruolamento del divo nella Decima Mas di Junio Valerio Borghese, presumibile amicizia con Pietro Koch – il loro reale coinvolgimento con le torture di Villa Triste a Milano, non fu mai provato ne’ altri delitti  sono loro imputabili se non quello di aver condotto una vita di eccessi, scombiccherata e sopra le righe.

Il racconto procede tra scene in cui la coppia è prigioniera della Resistenza e i flash back che ne ricostruiscono la storia sentimentale ed artistica e si chiude con il processo e la fucilazione (ordinata peraltro da Sandro Pertini). Un merito particolare è degli attori Monica Bellucci, Luca Zingaretti e Alessio Boni ( sempre più bravi, ma dove vogliono arrivare? ) quest’ultimo nel ruolo di un regista la cui figura è  liberamente ispirato a Luchino Visconti, bravi da conferire ulteriore spessore al racconto e intensità alla nutrita gamma di sentimenti che lo percorrono. Spezzato in due parti, il film sarà trasmesso dalla televisione in autunno. Tra storia e Storia, arte e potere, Giordana ordisce una trama che se non ha la la forza e la poesia della Meglio Gioventù ha tutto l’impatto della storia tossica sullo sfondo del disfacimento dell’impero. Riscrittura di un soggetto di Enzo Ungari che ci ha lasciato anni fa e che ci manca.

Sangue Pazzo è un film di Marco Tullio Giordana. Con Monica Bellucci, Luca Zingaretti, Alessio Boni, Maurizio Donadoni, Giovanni Visentin, Luigi Diberti, Paolo Bonanni, Mattia Sbragia, Alessandro Di Natale, Tresy Taddei. Genere Drammatico, colore 150 minuti. – Produzione Italia 2008. – Distribuzione 01 Distribution

Stand with Hillary

Stand with Hillary

Dice un adagio (ammuffito e quantomai consolatorio) che dietro un grande uomo, c’è sempre una grande donna. Non so se ciò corrisponda a verità cioè se sia davvero possibile questo trasferimento di grandezza da una femmina ad un maschio. Una donna può , a spese tristemente sue, incaricarsi dell’ambizione di un uomo, fare in modo che sia circondato di atmosfere rassicuranti e preziose che poi renderanno più agevole l’andare per il mondo pronto e duro di lui , può creare le condizioni al contorno di un’irresistibile ascesa, può, ingoiando  il rospo, essere indispensabile a salvargli la faccia : andare in televisione a dire che no, che non è successo niente, che sono tutte sciocchezze. Niente di più. In questo ultimo caso, per esempio, Bill Clinton è diventato agli occhi di tutti, di sicuro un uomo molto fortunato ma è rimasto lo sporcaccione traditore che era. Dunque ognuno alla fine mantiene la propria individualità. La grandezza è non trasferibile. Mentre sono in molti a giurare che l’onnipresente coniuge abbia nuociuto alla campagna della consorte. Ma sono illazioni. Una cosa invece è più sicura e accertata : dietro una grande donna, c’è sempre una grande madre. In quel caso è l’esempio a fare la differenza. Per questo è già pronta la spilla Chelsea in ’16. The pantsuits have been passed to a new generation .Il tutto a incorniciare la faccetta sorridente ( e assai migliorata) della piccola. Se son rose fioriranno alle prossime presidenziali. Appunto nel 2016. La tempra di Hillary Rodham quasi mai si smentisce.

Finisce qui ( almeno per ora )

Finisce qui ( almeno per ora )

Speriamo nella vittoria di  Obama, il primo contendente afroamericano per la sfida presidenziale negli USA . Non prima però di aver dato merito e rilievo alle qualità di Hillary Clinton : una carriera politica impeccabile, una competenza costruita con tenacia ancor prima del suo ruolo di First Lady alla Casa Bianca, una capacità di suscitare ammirazione in qualunque ambiente politico americano, ivi compreso quello repubblicano, senza contare il fatto di essere lei, eventuale prima donna a sedere nello studio ovale , la vera idea dirompente, la vera  inversione di tendenza,  rispetto alla politica di Bush. Rispetto a qualunque politica. Aveva le carte in regole per vincere ma ha incontrato un competitor più in grado di lei  di incarnare il rinnovamento. Obama non è più competente, non ha una carriera brillante alle spalle, non si è distinto per particolari iniziative politiche, non ha un cognome leggendario ma è un trascinatore, un entusiasta capace di infondere fiducia. Soprattutto è lontano miglia da quella detestata idea di establishement che invece la figura di Hillary facilmente suggerisce : il rovescio della medaglia per Obama consisterà in  un maggior impegno nel convogliare sulla sua candidatura i voti di quegli ambienti moderati che vedevano in Hillary la risposta  alle loro attese di cambiamento senza troppe avventure. Ovvero i consensi dei fedelissimi ispanici o quelli delle donne. I voti che la Clinton ha caparbiamente continuato a raccogliere anche quando tutto sembrava perduto dimostrano, oltre la grande affezione del suo elettorato che le resistenze di parte dei democratici per Obama sono tutt’ora vive e presenti in questa competizione. Sabato Hillary dichiarerà ufficialmente l’endorsment chiedendo ai suoi di sostenere la candidatura di Obama anche in nome dell’unità del partito. Un’eventuale trattativa per la vicepresidenza per lei, parte da un notevole punto di forza proprio per quanto detto. Obama per vincere ha bisogno di catturare i voti del centro e l’elettorato di Hillary potrebbe riservare brutte sorprese. D’altro canto il ticket dei sogni, non è meno insidioso per Barack : una vicepresidente  assai più capace e avvezza al ruolo pubblico ne offuscherebbe con buona probabilità  il mandato. Vedremo come Obama saprà sbrogliare la matassa e condurre la battaglia contro McCain che, diversamente da lui, ha alle spalle un partito coeso. Per Hillary for president finisce qui. Era cominciata con il “Mettiti il cappotto e vieni a votare per me” nel freddissimo Iowa. Nelle tappe seguenti nulla le è stato risparmiato : dalla mancanza d’ispirazione nei discorsi, alla freddezza, all’onnipresente marito. Persino il fatto di non occuparsi direttamente del gatto Socks è diventata un ‘onta grave da diffondere tramite i media .E poi c’è l’ambizione,  quella che ben prima delle capacità,  alle donne  non si perdona mai, come se per diventare presidente degli Usa, si potesse far senza.

Adieu petite enervé ( ma plus belle histoire…)

Adieu petite enervé ( ma plus belle histoire…)

Youkio Mishima dopo averlo incontrato a Tokio disse di lui che aveva nervi d’acciaio ma è possibile che alludesse alla capacità di Yves di affrontare il suo male de vivre con consapevolezza e dignità. Adesso che se n’è andato il più intellettuale dei coutourier francesi, fioriranno le biografie sulle origine algerine, sull’infanzia violata, su quella partenza per fare il militare in Algeria che gli costò un’interruzione della carriera e  l’ospedale psichiatrico. Al di là della nutrita annedottica, di lui restano naturalmente le ricche collezioni al numero 1 di rue Léonce Reynaud,  sede della Fondazione Pierre Bergé – Yves Saint Laurent, dove tra cascate di accessori ( spille, cappelli, orecchini) e gli schizzi della collezione disegnata per Dior e per se stesso,  è possibile ammirare i bozzetti per Belle de Jour (1966 ) per l’Aquila a due teste di Cocteau (1978) e Subway di Luc Besson (1986) oltre che i costumi per gli spettacoli di Roland Petit per Zizi Jeanmaire e quelli per Nureyev e Margot Fonteyn .

 

Il segreto del successo di Yves Saint Laurent, però  è racchiuso nei costumi che Catherine Deneuve indossò – guarda caso –  in Belle de Jour di Buñuel :  l’abilità di appropriarsi degli stessi strumenti della borghesia per distruggerne gli elementi di conservatorismo.  Difficilmente ci si può rendere conto, fino a che punto Trapèze potesse essere nel 1958,  una collezione che rivoluzionava ogni dato acquisito dalla moda e ogni imperativo sui canoni estetici femminili. Via la giacchetta o l’abito strizzato  al punto vita dal quale partivano le gonne a corolla , emblema del new look de Christian Dior, del quale giovanissimo Yves Saint Laurent aveva ereditato la direzione della Maison. Largo a giacchine destrutturate, a scatola, sopra gonne dritte ma morbide mai fasciate,ovvero al foureau che prende forma e vita solo quand’è indossato. Sembra che il corpo un po’ si voglia nascondere, ma è un abile trucco che anni dopo sarà demistificato con l’ingresso in grande stile del nude look, con le sahariane,con lo smoking tuxedo per donna che  negli anni 70 stravolgerà il concetto di abito da sera . E poi ancora bluse, caban e, vero simbolo dell’epoca  : la giacca da marinaio. Tutto in lui fu anticipazione reinvenzione interpretazione e celebrazione dell’esprit du temps. A lui si deve quello stile androgino che molto sapeva di futuro quanto ad inclinazioni, usi e costumi. Yves aveva smesso di lavorare da qualche anno, il motivo, sempre lo stesso, quello per il quale altri suoi colleghi avevano abbandonato. Un po’ le metodologie artigianali che mal si conciliano con  regole di mercato  che oltretutto lasciano poco spazio alla creatività, un po’ per il gusto che cambia che tira a ciò che appare anche se di  serie e che non lascia più spazio per l’accuratezza, il perfezionismo, la meticolosità nella confezione. Di Yves Saint Laurent, mi piace ricordare la sistemazione de le  Jardin Majorelle di Marrakesh, immerso nel blu indaco, nei profumi dell’Atlante o del deserto che di notte si tinge di acciaio azzurrognolo e Ma plus belle histoire d’amour di Barbara, che Catherine Deneuve dedicò a Yves nella sua serata d’addio, l’ultima sfilata.

Più vero della realtà

Più vero della realtà

Che Cirino Pomicino si sia addormentato durante la visione del film il Divo, lo escluderei a priori non fosse altro perchè la sua elegante contrarietà al film di Paolo Sorrentino è ampiamente contraddetta dalla collaborazione fornita durante la lavorazione.Dopo Cannes  comunque, è inevitabile che spuntino altri detrattori, non solo i diretti interessati . E che? Vogliamo essere del coro? Jamais. E quindi aspettiamoci La Qualsiasi da parte di chi avrebbe preferito una trattazione sistematica di fatti e misfatti con condanne e assoluzioni o un maggiore rilievo dato alla presenza del PCI o della Chiesa o un maggiore spazio al ruolo della moglie o della segretaria o della governante. Se qualcuno aveva qualche dubbio sul fatto che il Divo fosse un capolavoro può soffermarsi ad esaminare il punto di vista dei contrari a questo e a quello e convincersi definitivamente che se fossimo di fronte ad un film qualunque, nessuno avrebbe offerto i suoi consigli per migliorarne la qualità artistica . C’è una parte degli spettatori – e non parliamo della critica –  che di tanto in tanto vorrebbe cimentarsi a rifare le opere che gli si propongono. E’ un sentimento questo che spesso sottace un desiderio di appropriazione dei film o dei libri. Come dire un modo di risolvere in critica, un’ ammirazione che si vive come controversa..

Ieri sera ad Anno Zero, Michele Santoro ha tentato di mettere insieme i pareri di diversi personaggi scelti con un discreto senso della mescolanza degl’ingredienti che conferisce equilibrio,  riuscendo peraltro, non so se intenzionalmente,  a tirare per la manica il telespettatore rituffandolo in piena atmosfera da Prima Repubblica, roba che se non ci fosse stato un ragazzino occhialuto e dall’aria perbene ma tostissimo e determinato peggio di un black block - La mafia ancora c’è, voi siete ancora qui – e Carlo Lucarelli – I film li avete fatti voi – entrambi rivolti al presunto dormiente da cinematografo Pomicino, si sarebbe pensato di essere ancora a vivere i secoli bui dei delitti, delle stragi e delle mancate pene. Direi che è stato bello, il tibetano distacco di Sorrentino e la placida sicurezza dell’Aspesi, qualche tono più secco e preciso da parte della Buonaiuto e su tutto il dipanarsi della Storia Vera degli  anni in cui, in nome di un malinteso senso – altrove stabilito –  del Bene Comune, si giustificava qualunque arbitrio. E il confronto con la fiction –  anzi peggio –  con la visione  metaforica, surreale, grottesca della realtà subito cessa di essere stridente quando ci si accorge che il cinema di Paolo Sorrentino è più vero del Vero. Ed è questo – a parte una calligrafia inappuntabile ed un marcato senso estetico  – il più evidente merito del film.