Sfogliato da
Tag: La fabbrica del cinema

Più vero della realtà

Più vero della realtà

Che Cirino Pomicino si sia addormentato durante la visione del film il Divo, lo escluderei a priori non fosse altro perchè la sua elegante contrarietà al film di Paolo Sorrentino è ampiamente contraddetta dalla collaborazione fornita durante la lavorazione.Dopo Cannes  comunque, è inevitabile che spuntino altri detrattori, non solo i diretti interessati . E che? Vogliamo essere del coro? Jamais. E quindi aspettiamoci La Qualsiasi da parte di chi avrebbe preferito una trattazione sistematica di fatti e misfatti con condanne e assoluzioni o un maggiore rilievo dato alla presenza del PCI o della Chiesa o un maggiore spazio al ruolo della moglie o della segretaria o della governante. Se qualcuno aveva qualche dubbio sul fatto che il Divo fosse un capolavoro può soffermarsi ad esaminare il punto di vista dei contrari a questo e a quello e convincersi definitivamente che se fossimo di fronte ad un film qualunque, nessuno avrebbe offerto i suoi consigli per migliorarne la qualità artistica . C’è una parte degli spettatori – e non parliamo della critica –  che di tanto in tanto vorrebbe cimentarsi a rifare le opere che gli si propongono. E’ un sentimento questo che spesso sottace un desiderio di appropriazione dei film o dei libri. Come dire un modo di risolvere in critica, un’ ammirazione che si vive come controversa..

Ieri sera ad Anno Zero, Michele Santoro ha tentato di mettere insieme i pareri di diversi personaggi scelti con un discreto senso della mescolanza degl’ingredienti che conferisce equilibrio,  riuscendo peraltro, non so se intenzionalmente,  a tirare per la manica il telespettatore rituffandolo in piena atmosfera da Prima Repubblica, roba che se non ci fosse stato un ragazzino occhialuto e dall’aria perbene ma tostissimo e determinato peggio di un black block - La mafia ancora c’è, voi siete ancora qui – e Carlo Lucarelli – I film li avete fatti voi – entrambi rivolti al presunto dormiente da cinematografo Pomicino, si sarebbe pensato di essere ancora a vivere i secoli bui dei delitti, delle stragi e delle mancate pene. Direi che è stato bello, il tibetano distacco di Sorrentino e la placida sicurezza dell’Aspesi, qualche tono più secco e preciso da parte della Buonaiuto e su tutto il dipanarsi della Storia Vera degli  anni in cui, in nome di un malinteso senso – altrove stabilito –  del Bene Comune, si giustificava qualunque arbitrio. E il confronto con la fiction –  anzi peggio –  con la visione  metaforica, surreale, grottesca della realtà subito cessa di essere stridente quando ci si accorge che il cinema di Paolo Sorrentino è più vero del Vero. Ed è questo – a parte una calligrafia inappuntabile ed un marcato senso estetico  – il più evidente merito del film.

La meravigliosa Alexandra

La meravigliosa Alexandra

L’idea che proprio questo film fosse un’opera di regime (putiniano) solo perchè affrontando il tema della guerra in Cecenia, preferisce indagare il  versante della tragedia esistenziale su entrambi i fronti, piuttosto che quello delle responsabilità – peraltro a tutti note – del Cremlino, guardando Alexandra, non trova particolare fondatezza. Eppure intorno a questa presunzione, la critica lo scorso anno a Cannes, dove il film era in concorso, s’ è accapigliata in un modo inusuale, differentemente cioè da  quanto normalmente accade in termini di consensi, quando c’è di mezzo un’opera di Aleksandr Sokurov. Qualcuno ha persino definito Alexandra un passo falso, un film minore rispetto alla trilogia dei tiranni o alla magnifica Arca Russa.

Magari capita  – ma  questo a tutto vantaggio di una necessaria, dato il tema,  immediatezza – che il linguaggio cinematografico risulti un po’ meno ermetico.Ovvero il Cinema tutto, e questo succede a livello mondiale, sta ponendosi il problema di una modifica profonda al modo d’intendere il film di attualità e denunzia dei problemi che affliggono il nostro tempo. Più di un regista, Coppola per esempio , sostiene che il modo migliore per parlare di guerra è non mostrarne le immagini e Sokurov esorta a non indulgere nel poetico, filmando  storie  di conflitti. Trovo sensata ed infinitamente più efficace,  la rinunzia dei cineasti agli schemi narrativi  tradizionali. L’orrore è inesprimibile, dice Sokurov. Il dolore che ne consegue, aggiungerei, ha tali e tante sfumature da poter essere espresso al riparo dal rischio del convenzionale e della scontatezza. Per il resto, il film è imperdibile (anche se sarà facile perderlo, visto che esce,con un anno di ritardo,  in poche città e poche copie, parte questa settimana e parte  la prossima). Il lungo e disagevole viaggio di una nonna, interpretata da Galina Vishenevskaya, incantevole soprano, esordiente attrice di grande intensità, per visitare il nipote nel suo accampamento in Cecenia e la breve permanenza tra i soldati, sono l’occasione per mostrare con drammatica semplicità il deserto e la disperazione che le guerre invariabilmente producono. Girato in luoghi autentici tra vere postazioni militari – un mese intero tra le rovine di Grozny e dintorni – completamente immerso in un beige seppiato da dimensione metafisica e costruito su tempi narrativi di solenne lentezza, Alexandra, torna anche ai temi di Madre e Figlio, delle relazioni parentali, dell’essere madre come tramite comunicativo con i soldati  russi del campo ma anche con le donne cecene incontrate al  mercato con le quali ha naturalmente molto da condividere. Galina Vishenevskaya e a suo marito, il maestro Rostropovich, Sokurov aveva già dedicato una delle sue elegie : l’Elegia della vita, un’esortazione alla libertà artistica e un omaggio a questa coppia di musicisti così importanti per il ventesimo secolo.

 

 

 

 

 

 

Alexandra è un film di Aleksander Sokurov. Con Galina Vishnevskaya, Vasili Shevtsov. Genere Drammatico, colore 92 minuti. – Produzione Russia 2006. – Distribuzione Movimento Film

Per un cinema dei panni sporchi

Per un cinema dei panni sporchi


C’è una sorta di feroce contrappasso nel fatto che al Marché, il Divo di Sorrentino abbia suscitato grande interesse tra i compratori stranieri. Pur essendo un discreto cinefilo ( o forse proprio per questo ) il senatore Andreotti della fine anni 40, avversava il neorealismo come cinema che, raccontando delle nostre miserie e della fatica post bellica di risalire la china, restituisse all’estero una visione non decorosa del nostro paese. Ma non solo Andreotti si diceva convinto che una cinematografia brillante ed ottimista avrebbe giovato di più all’ Immagine. Ettore Scola lo rappresenta da par suo, quel sentimento  di ostilità che animava una visione piccolo – borghese  nei confronti di storie di gente comune, allestite in contesti miserevoli, interpretate da attori non professionisti, strutturalmente inadatte sia a risolversi in  happy end che a lasciar intravedere un tenue filo di speranza. In  C’eravamo tanto amati, le autorità di un piccolo centro abbandonano sdegnate il cineforum dove si è appena proiettato Ladri di biciclette dicendo appunto che i panni sporchi si lavano in famiglia. E non è un caso che del cinefilo controcorrente che ha proposto la pellicola per il dibattito, si racconterà, per tutto il resto del film la parabola da Perdente Nato. Come potessero all’estero pensare ad una nostra presunta floridità, visti gl’ingenti finanziamenti dell’epoca – Andreotti stesso perorante –  soprattutto statunitensi, non è dato sapere. La verità su quell’avversione, infatti, risiede altrove e cioè nella potenza del Cinema che avvalendosi di strumenti semplici ed immediati può trasformarsi, da innocuo intrattenimento ad arma minacciosa per conservatorismi e restaurazioni ( o all’ opposto, di promozione di totalitarismi). Il neorealismo era un cinema sovversivo anche oltre le intenzioni degli autori : sapeva parlare al cuore e alle coscienze, istigava rivolte anche raccontando la banale storia del furto di una bicicletta. Ecco perchè l’Italia del Pericolo Rosso non lo ha mai amato. Oggi che il nostro cinema tenta la riconquista del posto che gli spetta, torniamo a discutere – ma forse non abbiamo mai smesso – se sia o meno il caso di mostrare storie vere che parlino di noi, di quel che siamo stati, di quel che vorremmo essere ma con l’ausilio indispensabile del racconto di quello che siamo oggi. Che almeno il Cinema non sia un’operazione consolatoria e racconti il Paese che c’è. I selezionatori di Cannes hanno scelto quattro film : Malavita organizzata ( Gomorra ), Potere (Il Divo), Xenofobia ( Il resto della notte ) Fascismo ( Sanguepazzo) tutti accomunati da un medesimo istinto culturalmente sano, vivo e attivo dei nostri cineasti : un distacco studiato, voluto, volto a decifrare il disagio, e raccontarlo, cercando nei nostri film, una specie di ‘utopia concreta’, un progetto di ‘futuro possibile’, a portata di mano, una rivendicazione orgogliosa, capace di vibrare in sintonia col paese reale: vedersi rappresentati, vedersi raccontati, aiuta a capirsi.
Perché di questo c’è bisogno: di tornare a ‘vederci’.
Ho preso a prestito,per quest’ultimo passaggio, le parole dei “100 autori” nella loro bella lettera di qualche mese fa, indirizzata al futuro governo. Nello stesso momento in cui i fondi destinati al Cinema già esigui di per sè, subiscono un taglio del 20 %, il nostro cinema forte vario e appassionante (sono sempre i 100 autori a parlare) ottiene due significativi riconoscimenti. Questo paese sarà anche un gran produttore di panni sporchi ma anche di grandi talenti per promuoverne l’esposizione e il lavaggio.In luoghi quanto più pubblici sia possibile

Tentarle tutte

Tentarle tutte

Tutte le mostre del cinema sono macchine di mondanità, cinefilia e mercato, ma solo Cannes sa coniugare i tre elementi in chiave di scelte qualitative impeccabili e soddisfacenti. Il cinema non è più lo stesso, il festival quindi deve confrontarsi con queste trasformazioni evitando di chiudersi in se stesso, di diventare un circolo per i soli abbonati. aveva detto Thierry Frémaux il nuovo  délégué général   di Cannes alla presentazione parigina dell’edizione 2008, cosicché tutti avevano pensato a chissà quali cedimenti nei confronti del mercato. E invece niente, basta guardare la programmazione per capire quanto la sua Cannes sia ben lontana finanche da tentazioni scioviniste lasciando pochissimo spazio nella sezione dei film in gara,  sia alla potente cinematografia francese di stato ( che tutto paga, alla Sale Lumiére come nei dintorni per un raggio di venti chilometri ) che alle multinazionali ( che tutto possono ). La lista dei film in concorso parla chiaro:  tra gli altri, un dittico su Che Guevara di Steven Soderbergh : The argentine e Guerrilla girati il primo in 16 mm anamorfico, il secondo in super 16, niente Dolly, tutto macchina a mano e treppiede, prodotto con finanziamenti non USA.  E ancora Clint Eastwood con The Exchange, thriller indipendente con Angelina Jolie,  Wim Wenders con Palermo  Shooting, storia di un fotografo di mezza età in crisi. Intelligente anche la scelta di dedicare ampi spazi alle cinematografie latinoamericana, turca e israeliana, presenti sia in Concorso che alla Quinzane nel segno di una vitalità culturale di cui  Cannes non difetta  ma anche di un non voler demordere :  rispetto alla recessione che avanza e che ha dimezzato il volume d’affari del Sundance Festival, è necessario esplorare nuovi mercati.Tentarle tutte insomma . Vedremo.. è proprio il caso di dire . Menzione speciale a Richie Hevans che inaugura la Kermesse cantando Freedom in omaggio a Woodstock  – qui tra le altre cose si celebra il quarantennale del 68 con mitica filmografia d’epoca – al manifesto della Mostra firmato  David Lynch e al gran ritratto di Ingrid Betancourt, sul Palais per il quarto anno consecutivo. Il resto sono storielle per riempire la rubrica social dei giornali che ancora ne detengono una, (cioè quasi tutti)  : la cascata di diamanti e zaffiri di Chopard ( sponsor ufficiale e realizzatore del premio : la palma d’oro) sullo chiffon glicine di Bar Rafael, il pancione della divina Jolie, Sean Penn, presidente della giuria – sobrio! – che tanto per cambiare dice male di Bush e fuma al chiuso della sala di riunione insieme alla Satrapi, Madonna e Sharon Stone a raccogliere fondi per la ricerca sull’Aids, la Muti con scollatura abissale, Kashoggi, Afef, Eva Longoria, Natalie Portman in viola  …e non è ancora arrivato Indiana Jones con il suo ultimo film, ovviamente e rigorosamente fuori concorso…che gran lancio però.

Grandezza dell’anima russa

Grandezza dell’anima russa

san pietroburgo13

I vostri romanzi sembrano scritti contro i rivoluzionari, ma in realtà sono più incendiari dei proclami terroristi. L’ispettore di polizia Pavlovich non lo sa, ma sta esprimendo, con largo anticipo, tutto il controverso sentimento che la critica marxista sviluppò nei confronti di Fedor Dostoevskij, l’opera del quale ammirò, senza mai riuscire ad amarla. Uno fra tutti Lukacs,  seppur nell’ammissione che quel modo in cui i personaggi si consumavano o si disintegravano costituiva la protesta più ardita che mai si sia pronunziata contro l’ordine sociale dell’epoca. Il che già rende immediatamente  comprensibile perchè l’epoca staliniana appena tollerasse Dostoevskij. Meno motivati continuano ad apparire i detrattori  Nabokov e Kundera, quest’ultimo in particolar modo offeso dagli eccessi del mondo dostoevskiano fatto  di cupi abissi e di sentimentalismo aggressivo. Ma uno si vantava di essere il nipote del comandante della Fortezza di San Pietro e Paolo in cui fu recluso lo scrittore e quell’altro è ben distante dalla comprensione della grandezza dell’anima russa. Entrambi poi, sono scrittori della contemporaneità al cospetto del Monumento e pertanto lontani da una visione seppur vagamente obiettiva.

san pietroburgo11

Ma, controversie a parte, vale comunque la pena di cogliere l’offerta contenuta nelle intenzioni  di Giuliano Montaldo di fare un film su Dostoevskij  per chi non sa nulla di lui, non fosse altro perchè, aggirati i rischi connessi, nulla viene sacrificato al movente didattico che qui si traduce in una esaustiva definizione della visione del mondo dello scrittore e dei suoi contemporanei, resa attraverso la narrazione, frammentata da flashback, di alcuni episodi della sua biografia e non soltanto nelle puntualizzazioni e nelle spiegazioni alle quali pure il racconto fa ampio ricorso.  Nella Russia di un secolo e mezzo fa, con i fallimenti di ogni istanza rivoluzionaria proiettati in una triste realtà, Montaldo ravvede analogie col presente. Dostoevskij è, in effetti, un buon tramite, con l’adesione ai petraševcy, il carcere, la condanna a morte tramutata in extremis (sai che delusione per lo zio di Nabokov) e il carcere siberiano, resterà per tutta la vita l’uomo capace di aderire  alle inclinazioni opposte e di darne una rappresentazione trascinante soprattutto nel caso in cui  se ne proponga una condanna, perchè in realtà, più che dover scegliere se stare dalla parte dello Zar o da quella dei terroristi, lui semplicemente opta per stare dalla parte della condizione umana a qualunque costo e di qualunque rango.Tante le cose belle di questo film dall’allestimento sontuoso, al cast di attori e tecnici incredibilmente bravi, alla frenesia dell’attentato imminente, assimilata alla frenesia della consegna del nuovo romanzo. Il giocatore. Da un’idea mai realizzata di Konchalovsky, cinquanta giorni di lavorazione e vent’anni di riflessione per il ritorno di Giuliano Montaldo alle sale e tra di noi. 

san pietroburgo24

 

 

I Demoni di San Pietroburgo è un film di Giuliano Montaldo. Con Miki Manojlovic, Carolina Crescentini, Roberto Herlitzka, Anita Caprioli, Filippo Timi, Patrizia Sacchi, Sandra Ceccarelli, Giovanni Martorana. Genere Drammatico, colore 118 minuti. – Produzione Italia 2007. – Distribuzione 01 Distribution