Per un cinema dei panni sporchi
C’è una sorta di feroce contrappasso nel fatto che al Marché, il Divo di Sorrentino abbia suscitato grande interesse tra i compratori stranieri. Pur essendo un discreto cinefilo ( o forse proprio per questo ) il senatore Andreotti della fine anni 40, avversava il neorealismo come cinema che, raccontando delle nostre miserie e della fatica post bellica di risalire la china, restituisse all’estero una visione non decorosa del nostro paese. Ma non solo Andreotti si diceva convinto che una cinematografia brillante ed ottimista avrebbe giovato di più all’ Immagine. Ettore Scola lo rappresenta da par suo, quel sentimento di ostilità che animava una visione piccolo – borghese nei confronti di storie di gente comune, allestite in contesti miserevoli, interpretate da attori non professionisti, strutturalmente inadatte sia a risolversi in happy end che a lasciar intravedere un tenue filo di speranza. In C’eravamo tanto amati, le autorità di un piccolo centro abbandonano sdegnate il cineforum dove si è appena proiettato Ladri di biciclette dicendo appunto che i panni sporchi si lavano in famiglia. E non è un caso che del cinefilo controcorrente che ha proposto la pellicola per il dibattito, si racconterà, per tutto il resto del film la parabola da Perdente Nato. Come potessero all’estero pensare ad una nostra presunta floridità, visti gl’ingenti finanziamenti dell’epoca – Andreotti stesso perorante – soprattutto statunitensi, non è dato sapere. La verità su quell’avversione, infatti, risiede altrove e cioè nella potenza del Cinema che avvalendosi di strumenti semplici ed immediati può trasformarsi, da innocuo intrattenimento ad arma minacciosa per conservatorismi e restaurazioni ( o all’ opposto, di promozione di totalitarismi). Il neorealismo era un cinema sovversivo anche oltre le intenzioni degli autori : sapeva parlare al cuore e alle coscienze, istigava rivolte anche raccontando la banale storia del furto di una bicicletta. Ecco perchè l’Italia del Pericolo Rosso non lo ha mai amato. Oggi che il nostro cinema tenta la riconquista del posto che gli spetta, torniamo a discutere – ma forse non abbiamo mai smesso – se sia o meno il caso di mostrare storie vere che parlino di noi, di quel che siamo stati, di quel che vorremmo essere ma con l’ausilio indispensabile del racconto di quello che siamo oggi. Che almeno il Cinema non sia un’operazione consolatoria e racconti il Paese che c’è. I selezionatori di Cannes hanno scelto quattro film : Malavita organizzata ( Gomorra ), Potere (Il Divo), Xenofobia ( Il resto della notte ) Fascismo ( Sanguepazzo) tutti accomunati da un medesimo istinto culturalmente sano, vivo e attivo dei nostri cineasti : un distacco studiato, voluto, volto a decifrare il disagio, e raccontarlo, cercando nei nostri film, una specie di ‘utopia concreta’, un progetto di ‘futuro possibile’, a portata di mano, una rivendicazione orgogliosa, capace di vibrare in sintonia col paese reale: vedersi rappresentati, vedersi raccontati, aiuta a capirsi.
Perché di questo c’è bisogno: di tornare a ‘vederci’. Ho preso a prestito,per quest’ultimo passaggio, le parole dei “100 autori” nella loro bella lettera di qualche mese fa, indirizzata al futuro governo. Nello stesso momento in cui i fondi destinati al Cinema già esigui di per sè, subiscono un taglio del 20 %, il nostro cinema forte vario e appassionante (sono sempre i 100 autori a parlare) ottiene due significativi riconoscimenti. Questo paese sarà anche un gran produttore di panni sporchi ma anche di grandi talenti per promuoverne l’esposizione e il lavaggio.In luoghi quanto più pubblici sia possibile
Un pensiero su “Per un cinema dei panni sporchi”
che belli questi due lavandai. Ci riconciliano col mondo. Ad avercene tanti altri, il cinema italiano ritornerebbe agli antichi fasti. Ma già così è andata bene, non ci lamentiamo.