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Tag: La fabbrica del cinema

Salsa Pedro

Salsa Pedro

 







Anche se non fosse – come dicono i patiti delle graduatorie –  il miglior Almodovar, avercene. E poi se i termini di paragone sono Parla con lei o Tutto su mia madre, superarsi non sarebbe impresa da poco nemmeno per uno come lui.

Maltrattato in patria dal maggior quotidiano nazionale  – presuntuoso noioso e vuoto – Los abrazos non è un film che ha il requisito dell’immediatezza. Presi, come ci si ritrova,  a sbrogliare una trama che dispiega personaggi – ciascuno col proprio doppio – su tripli piani temporali,  tra rimandi, ruoli, destini incrociati e citazioni, il piacere del film potrebbe sfumare.

In realtà,  a meno di essere integralisti della modalità narrativa A-B-C, nel tipo di struttura prescelta, risiede molto del fascino del film. Il resto è affidato ad una gran complicità artistica ed umana con Penelope Cruz, ad un utilizzo al meglio di ogni strumento a disposizione – musica, costumi, scene etc – e ad un gusto cinefilo smodato.

Il che rende amabile ogni fotogramma, vuoi per la presenza per niente discreta – e giustamente! – di Viaggio in Italia, vuoi per l’omaggio al Cinema e a chi , maestranze comprese, lo realizza. 

Ma non si tratta di citazioni tout court, piuttosto del mostrare senza reticenze quale peso abbiano avuto, registi come Malle, Hitchcock, De Palma, Tarantino, Godard, Demy, Antonioni, Allen, Minnelli nel suo cinema.

Storia di amour fou in cui la gelosia e la voglia mettersi  a (ri)fare cinema giocano un ruolo chiave.Tradizionale melodramma noir, cucinato in struggente salsa Pedro.

Gli abbracci spezzati è un film di Pedro Almodóvar del 2009, con Penelope Cruz, Lluís Homar, Blanca Portillo, José Luis Gómez, Tamar Novas, Rubén Ochandiano, Rossy de Palma, Ángela Molina, Carlos Leal, Carmen Machi. Prodotto in Spagna. Durata: 129 minuti. Distribuito in Italia da Warner Bros.

 

 

Solo il tramonto

Solo il tramonto

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Preceduto da polemiche e intimidazioni tali da indurre una Produzione evidentemente sfiancata, a  rinunziare al finanziamento pubblico, arriva infine nelle sale La Prima Linea, film non apologetico, come in molti si sono già affrettati a scrivere – ma che s’aspettavano? La celebrazione della pistola alla cintola ? –  ma soprattutto, altra litania ricorrente e del tutto trasversale, al quale manca ora questo, ora quello : la definizione dei contesti, le cause scatenanti, l’analisi sociopsicopolitica e chi più ne ha più ne metta.

Vero è che il rapporto tra cinema e terrorismi è lungo e sofferto e che infinite sono le angolature utilizzate per raccontare la storia della violenza politica degli anni cosidetti di piombo. Rimarcando la profonda differenza tra film e volume di storia, ovvero tra film e documentario in venti puntate, stile Rai Educational , trovo naturale che sia così. Anzi direi che alle volte il fatto che manchi qualcosa o che ad altre semplicemente si alluda, non appartenga necessariamente ad una tendenza omissiva ma che spesso allontani il rischio del didascalico, sempre in agguato quando si tratta di rivoluzioni vere o presunte.

I film che funzionano non fanno ragionamenti profondi, piuttosto li inducono. Non danno risposte, le sollecitano. Con tutto il rispetto per i parenti delle vittime e un po’ meno per gli attivisti  ministeriali della censura, il Cinema dovrebbe essere altro. E in quest’altro un ruolo preponderante occupa la possibilità,  o meglio lo spazio, dato  agli spettatori di guardare oltre lo schermo e, se del caso, di giudicare.

 E’ anche vero che il panorama complessivo dei film di questo genere, a parte rare eccezioni, è dominato da una sorta d’imbarazzo, ovvero da una volontà ossessiva di prendere le distanze che tutto finisce col distorcere.

In tal  senso il cinema è la spia migliore di come con l’intera vicenda del terrorismo, qui da noi, come altrove, non si siano mai fatti i conti fino in fondo. Liquidando frettolosamente la questione in termini di condanna, la si è sottratta ad una sincera analisi, stavolta sì, delle motivazioni profonde del fenomeno.

Prova ne sono le resistenze che progetti simili incontrano, particolarmente se messi in piedi sulla scorta di libri o testimonianze dei protagonisti.

Di cosa si ha paura? Qualcuno forse della inequivocabile – ovunque in Europa – matrice antimperialista, altri di sentir parlare di repressione e violenza di Stato?

Sbaglierò, ma tutta la fatica dell’Italia di cimentarsi con la tragicità, la complessità e le contraddizioni del terrorismo italiano che Benedetta Tobagi citava ieri in un articolo su Repubblica, io non l’ho avvertita.

Come, pur condividendo il suo parere sul cinema tedesco, tanto più evoluto del nostro,in materia – con l’eccezione di Buongiorno notte – non a La Banda Baader Meinhoff – prodotto dignitoso ma dal taglio commerciale in cui, a ben vedere, le lacune sono voragini – rivolgerei l’attenzione, ma a capolavori quali Germania in Autunno, lì in effetti il passo decisamente cambia.

Certo è che in Germania mai si sognerebbero di condizionare il finanziamento pubblico al gradimento post visione del ministro, ovvero alle correzioni apportate dai parenti delle vittime.

Ciò detto, La prima Linea è un film che sceglie le  esperienze personali e quotidiane di un gruppo di terroristi – una sorta di storia della lotta armata vista da dentro – come partenza e filo conduttore, per poi sviluppare attraverso  vari piani temporali, il racconto di alcuni fatti di cronaca emblematici.

In questo procedere avanti e indietro della narrazione è possibile intravedere le motivazioni di una scelta politica ed esistenziale che, evento dopo evento, errore dopo errore, sospinge i protagonisti in un vicolo cieco.

La struttura è piuttosto semplice e il percorso individuale assai comune in queste storie, dunque ho trovato il film assai credibile oltre che veritiero, incluso il fastidio che possono suscitare personaggi nevrotici e in perenne stato di concitazione, sovrastati da un senso di fallimento e di sconfitta che condiziona ogni loro gesto . Per chi non lo sapesse, le cose, almeno da quel punto di vista, stavano esattamente così.

Ovvio dunque che nel tentativo, peraltro abbastanza riuscito, di esplorare la vicenda da un certo punto di vista, ponendosi gli sceneggiatori ed il regista, il problema del racconto alla giusta distanza, a qualcuno poi manchi la poesia, ad altri il sogno, ad altri ancora l’individuazione precisa del nemico da abbattere o l’ enumerazione cronologica di tutti gli eventi. Come se si trattasse di questo…

Sceneggiatura coerente, Mezzogiorno e Scamarcio perfetti nel ruolo di chi scambia l’alba con il tramonto, slogan promozionale ad effetto che solo in parte definisce il film.

La prima linea è un film di Renato De Maria del 2009, con Giovanna Mezzogiorno, Riccardo Scamarcio, Liam Riccardo, Daniela Tusa, Awa Ly, Fabrizio Rongione, Lucia Mascino, Jacopo Maria Bicocchi. Prodotto in Italia. Durata: 96 minuti. Distribuito in Italia da Lucky Red

I like baseball, movies, good clothes, whiskey, fast cars… and you. What else you need to know?

I like baseball, movies, good clothes, whiskey, fast cars… and you. What else you need to know?

L’ennesima rappresentazione del gangster gentiluomo, si potrebbe pensare, ovvero un’ ulteriore celebrazione dell’impresa criminale selettiva, all’epoca, già abbondantemente rivisitata, della Grande Depressione. Quando cioè svuotare il caveau della banca distruggendo i registri dov’erano annotate le somme in carico ai piccoli debitori, era considerato un atto eroico. E lo sarebbe probabilmente anche oggi se non fosse per il fatto che i criminali hanno preso tutt’altra strada.

Ma qui abbiamo la puntigliosa eleganza – uncompromised  and committed si autodefinisce il regista – di  Michel Mann e la precisione interpretativa di Johnny Depp, dunque piuttosto che alle mitragliette e al jazz, la narrazione ruota, pur senza tralasciare una certa accuratezza delle ambientazioni, intorno al rapporto tra la Legge e il Ribelle.

 

Siamo ad uno dei capitoli cruciali della storia americana.  Nel midwest  duramente colpito dalla crisi,  rapine a mano armata e  rapimenti, soprattutto di bambini, a scopo di estorsione, erano frequentissimi. I fuorilegge si chiamano Bonnie and Clyde, Machine Gun Kelly, Pretty Boy Floyd, John Dillinger.

Ma benché si trattasse di un fenomeno  circoscritto, regionale, il Governo vide la possibilità di farsi buona stampa in un momento difficile, coinvolgendo l’intera nazione in una sorta di crociata contro la criminalità.

L’ascesa di J. Edgar Hoover, controverso capo dell’FBI, non sempre al servizio della nazione, per ben otto presidenti – da Roosvelt a Nixon – e del suo fido collaboratore Melvin Purvis qui interpretato da Christian Bale, comincia proprio con Dillinger. 

Il dispositivo del controllo sociale  parte dalla manipolazione dell’opinione pubblica, dal definire Nemico Pubblico Numero Uno un audace teppista che grazie agli otto anni – un po’ troppi – di carcere per tentata rapina, aveva studiato metodo, tattica e strategia di assalto alle banche, dal detenuto ex militare tedesco Dietrich, che si era reso protagonista di evasioni clamorose ed irridenti, che faceva fare la figura dei Keyston Cops ai poliziotti.

 Dunque con una squadra speciale anti Dillinger e l’ ordine di sparare e poi contare fino a dieci, Edgar Hoover affronta il Nemico che intanto acquista via via popolarità – anche Johnny sapeva manipolare i media – il suo arresto in buick fra ali di folla plaudente, ne sono l’inconfutabile prova.

Grande prova d’attore per Johnny Depp particolarmente preso dal personaggio, ma soprattutto magnifica regia che sceglie non l’andamento e la coloritura nostalgica  da film d’epoca ma i reali luoghi dove sono accaduti i fatti per far sì che la storia sia immersa nel reale e  il movimento, la velocità dell’azione. Dunque gran schieramento di macchine digitali – Mann continua con le sperimentazioni già avviate col bellissimo Alì – e sovrapposizione di immagini tra passato e presente per il racconto dell’icona popolare del solitario, audace, generoso, elegantissimo criminale.

Degno finale al cinema Biograph – e dove sennò ? – in un gioco di specchi con Clark Gable – il film è Manhattan Melodrama – mentre la musica allude – Bye Bye Blackbird – al nomignolo con cui Johnny chiamava la sua ragazza.

Nemico pubblico – Public Enemies è un film di Michael Mann del 2009, con Christian Bale, Johnny Depp, Channing Tatum, Billy Crudup, Marion Cotillard, Leelee Sobieski, Emilie de Ravin, Giovanni Ribisi, David Wenham, Stephen Dorff. Prodotto in USA. Durata: 140 minuti. Distribuito in Italia da Universal Pictures

It’s ok, we’re Americans, we’re here to help you!

It’s ok, we’re Americans, we’re here to help you!


A chi sostiene che la riforma sanitaria costa troppo, Obama – destinatario, in questi giorni, di precoci e, manco a dirlo, iettatori de profundis, per via di due staterelli in cui i democrats hanno preso la tranvata – abitualmente risponde : mai come una guerra.

Un metodo meno dispendioso delle trovate del Pentagono, vedi bestie di Kandahar e altre simili miliardarie diavolerie, tuttavia ci sarebbe. D’acchitto può sembrare più strampalato di una comune teoria del complotto – altra specialità made in USA – ma Jon Ronson autore, mai smentito,  del libro Capre di Guerra che ha ispirato il film assicura che nell’esercito degli Stati Uniti c’è  stata, probabilmente c’è e ci sarà, apposita sezione per la messa a punto di tecniche di potenziamento delle capacità di leggere nel pensiero, attraversare i muri da parte a parte, uccidere gli animali con lo sguardo e via dicendo .

Attività  paranormali dunque in luogo del più classico percorso di guerra, con l’aggiunta di quel tanto di venatura sciamanica da indurre qualche perplessità, ma  solo per un attimo. Poiché tutto è meglio  della tortura e dell’uranio impoverito, vada pure per la corrente di pensiero militar-castanediana. Magari funziona come diversivo.

 

Nel film, il giornalista McGregor, in vena di sensazionalismi da fronte bellico – siamo in Iraq – inciampa in Lynn Cassady, un militare che rivela essere del New Earth Army Usa, un corpo speciale istituito dopo la fine della guerra in Vietnam per la sperimentazione di nuove tecniche di combattimento.

 La ;base irachena di questo corpo è  un segretissimo campo pieno di capre mute, prigionieri in tenuta arancione e soldati strafatti, guidati da un ex hippy che li  addestra, nel più puro stile  New Age, a scambiarsi fiori, a pregare il Sole e a vincere la guerra con baci e tenerezze. Trattasi di individui, in grado di diradare le nuvole col colpo d’occhio e di piegare le forchette con la forza del pensiero ma soprattuttodi ridurre in cenere, qualsiasi forma di militarismo, disciplina, gerarchia, machismo. Quando gli americani sono in guerra tutto può succedere sembrano recitare il sopra, il di lato, e il sottotesto.

 

Ben congegnato il gioco dei flashback e brillante la sceneggiatura . Cosa c’entrino però  le capre e che fine faranno, lo si saprà vedendo questa corrosiva – una gag via l’altra –  commedia antibellica, perfettamente diretta da Grant Heslov coproduttore insieme a Clooney, per la di loro ( e d’altri amici)  Smokehouse, impresa friccicarella ( lunga vita!) che prende il nome dalla tavola calda vicina alla Warner Bros, meta abituale di Clooney ai tempi di ER.

E a proposito di Clooney che abbandonate le facce e faccette delle conferenze stampa e le risposte spiritose a certe;grossolanità di alcuni intervistatori, diventa un attore al servizio delle storie che racconta, pieno di talento, sensibilità e sfumature – qui fa un gioco d’occhi memorabile, o di Jeff Bridges – il grande Lebowski – perfetto nella parte dello Jedi – il saccheggio di  Guerre Stellari è poi accuratamente spiegato in sceneggiatura – e degli altri, da Kevin Spacey a Ewan McGregor – tutti compenetrati nel ruolo di soldati,  pronti a salvare il mondo attraverso questa sorta di guerra telepatica, strafalciona e un po’ sui generis….

L’uomo che fissa le capre è un film di Grant Heslov del 2009, con Ewan McGregor, George Clooney, Kevin Spacey, Robert Patrick, Jeff Bridges, Stephen Root, Stephen Lang, Glenn Morshower, Rebecca Mader, Nick Offerman. Prodotto in Gran Bretagna, USA. Durata: 93 minuti. Distribuito in Italia da Medusa

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Barbasprechi

Barbasprechi

Inutile ogni questione di attendibilità storica – anche se sbertucciare un medievista di rango come Franco Cardini, non è stato il massimo del fair play – Niente di strano che il cinema rimaneggi la realtà. E nel momento in cui lo ammette, niente di male.

Non c’è  bisogno di aggiungere molto altro al Barbarossa di Martinelli, il film è stato già abbondantemente strapazzato dalla critica – tranne – cela va sans dire mais ça va mieux en le disant, da quella de Il Giornale che l’ha trovato uno dei migliori film italiani contemporanei.

Solo ci sarebbe capire con quale faccia tosta  si parla di sprechi, cinema assistito, culturame e sciopero del canone, quando RAI Cinema ha investito insieme al Ministero della Cultura, trenta milioni di dollari per un’opera così priva di dramma da non poter nemmeno essere definita di regime.

Senza scomodare la Riefenstal, mai visto Ettore Fieramosca, Scipione l’Africano e Luciano Serra pilota? Anche le celebrazioni sperticate richiedono originalità e mestiere. (Nell’illustrazione Angela Molina con un’espressione in cui lo spettatore potrà, guardando il film, facilmente rispecchiarsi)