Metti una sera Pabst e Indiana Jones

Metti una sera Pabst e Indiana Jones

 

 

Basilica di Massenzio. 25 agosto 1977, lo schermo allestito nella navata centrale rimanda le immagini di Senso, film di Luchino Visconti che più allusivo delle sorti nazionali  non si sarebbe potuto. Fu così che con la Serpieri a dannarsi l’anima  – e non solo quella –  appresso alle lusinghe di un ufficialetto di terz’ordine, un’idea diversa di cultura e di città cominciò a  materializzarsi sotto gli occhi strabiliati degli spettatori che senza DVD, cassette, né passaggi televisivi recenti,quel film non vedevano da anni o non avevano addirittura visto.

 

 A molti l’arena nella notte stellata, il cinema tra le rovine e il resumè del capolavoro sembrò  un dono elargito ai concittadini dalla nuovissima Giunta guidata da Giulio Carlo Argan, intellettuale di vaglia e primo sindaco non democristiano di Roma. Altri pensarono e scrissero sui loro giornali di  panem et circenses somministrati ad una città che provata da malavita, terrorismo e degrado avrebbe avuto bisogno dell’immancabile Benaltro,altri  ancora considerarono semplicemente la rassegna  – in quell’occasione titolata Cinema Epico  – in Basilica come la profanazione di un luogo solitamente destinato ai quintetti d’archi. Una sorta di stravolgimento dei luoghi deputati alla cultura alta e a quella bassa.( oggi se ne farebbe un gran dibattito tra televisione giornali e web , si tirerebbero giù dagli scaffali Gramsci e Deleuze, allora risolvemmo mescolando Catene con Nuova Babilonia mentre il nostro sindaco s’incaricava di zittire i detrattori dell’effimero spiegando loro il parallelismo dello stesso col senso del barocco romano, magnifica sintesi di immaginario e rigore…va’ a discute d’arte e società co’ Giulio Carlo Argan, se sei capace)

 

 

Massenzio – scoprimmo qualche tempo dopo –  era in realtà una delle prime stazioni di quel progetto di Parco Archeologico che dai Fori all’Appia Antica avrebbe dovuto unire il centro alle periferie e l’Estate Romana la risposta concreta ad un bisogno di cultura tale da indurre a uscire di casa migliaia di persone per vedere fino all’alba l’opera pressoché  omnia di Raffaello Materazzo, ballare a Villa Ada o ascoltare Allen Ginsberg sulla spiaggia. Il tutto in barba al Piombo di quegli anni e ai regolamenti di conti della famosa Banda che tanto materiale avrebbe offerto a cinema,fiction e letteratura.Fermiamoci qui.

Caro Renato,

E’ vero quel che si dice in questi giorni : sei stato l’inventore di tutto ciò. Ma tutto ciò ha significato assai di più di quanto noi stessi riusciamo a raccontare essendo ogni singola parola insufficiente a definire quel clima e quell’entusiasmo.Dunque grazie di tutto.Per aver consentito che i nostri sogni e i nostri progetti si realizzassero e per aver lasciato noi liberi di lavorare agli stessi.E grazie soprattutto per averci insegnato a non limitare le nostre migliori ambizioni politiche.Quanto al futuro della nostra città, speriamo di essere sempre in grado di raccogliere ogni sfida, non ultima quella che hai indicato nel tuo ultimo articolo sul Manifesto  in cui  lamentavi  che nessun gruppo ti avesse coinvolto nel progetto politico per Roma :

Il mio obiettivo, per essere chiaro, non è il Campidoglio, ma la convinzione della necessità di una svolta nel progetto politico per amministrarlo. Non basta vincere: occorre cambiare, e per questo bisogna dichiarare di voler cambiare anche rispetto ai quindici anni di Rutelli e Veltroni. Sono disponibile a partecipare a ogni squadra che si proponga quest’obiettivo, ragioniamone insieme.
Ciao e grazie ancora 
Boiate

Boiate

 

 

La boiata probabilmente consiste nel fatto di aver esteso i diritti di cui usufruiva solo una parte dei lavoratori a tutti gli altri, di aver introdotto – per la prima volta – controlli sulla effettiva necessità dei contratti  flessibili e per la faccenda dell’articolo 18 non abolito, com’era nelle attese, ma semplicemente adeguato alla legislazione dei paesi comunitari.

 

Altri sgarbi Confindustria non può aver ricevuto  da questa tardiva riforma del lavoro che il presidente Squinzi raccomanda di votare comunque, nei tempi dovuti, per le note questioni di credibilità internazionale.Boiata per boiata, il  messaggio è tanto ambiguo quanto indegno ma non tutto si può avere : nemmeno il bene di una terminologia acconcia.

 

Men che meno un briciolo di ripensamento per aver contribuito in maniera determinante a rendere il mondo  del lavoro uno scenario caotico tra immobilismo, furbizie e assurde pretese, investendo energie e quattrini  più per tener lontani i lavoratori dai loro posti che per mantenerceli o crearne di altri.

 

Le vere boiate andrebbero ricercate nel corso del tempo. Per anni e anni le imprese hanno adottato incentivi all’esodo e mobilità  come misura unica di governo del personale in esubero per i motivi più svariati  : svecchiamento, ristrutturazione, difficoltà economiche, il tutto risolvendo con accordi collettivi (e non) tra azienda e soggetti interessati, benedicenti le istituzioni e i sindacati senza che ad alcuno venisse in mente di mettere a punto un dispositivo di cui avvalersi nel caso fossero intervenute ragioni di difficoltà ad onorare  quei contratti, cause di forza maggiore nemmeno così difficili da prevedersi in epoca di crisi : si sapeva che prima o dopo si sarebbe dovuto mettere mano alle pensioni.

 

E adesso che è scoppiata una grana che rischia di compromettere i benefici economici di una riforma che non poco è costata,tutti a spremere la lacrimuccia per il fatto che dietro ogni motivazione, accordo o scadenza ci sono persone. Prima no?

 

Il decreto  annovera sette tipologie  di lavoratori, corrispondenti ad altrettante tipologie di accordo, li cito tutti : mobilità, mobilità lunga,fondi di solidarietà, prosecutori volontari,esonerati,genitori di disabili e Cessati ai sensi art 6 DL 216 2011. Sui numeri reali stendiamo un vel pietoso, non è la prima volta che ci sono discrasie sui dati – non è che tra questi bravi tecnici c’è un   ministro o un sottosegretario dei temporali che magari senza ricorso al tripudio di tromboni rimette a posto questa storia dei numeri che non tornano mai o che non si conoscono o che vengono male aggregati : capita oggi col lavoro, capitò con la riforma scolastica e se la memoria non m’inganna, anche ai tempi dello scalone i dati non erano mai certi – resta il fatto che se vale il principio di uguaglianza ,quando pure gli esodati di cui sopra fossero tre milioni avrebbero diritto al medesimo trattamento.Certo è che i contratti non sono tutti in scadenza a breve e che il Governo deve preoccuparsi di stabilire i principi, non ha l’obbligo di trovare la copertura finanziaria per gli anni a venire ma solo per quelli in cui è previsto rimanga in carica, anno finanziario per anno finanziario.

 

Ciò detto, quel che servirebbe è un lavoro chirurgico per le categorie non comprese in quelle già salvaguardate,sempre che si riesca a sapere quanti sono,per quale motivo e con quali scadenze. Auguri, tecnici.

 

Ogni volta che si pensa a quale governo per il futuro non si può fare a meno di considerare il nostro cronico malfunzionamento istituzionale, a quanto è di ostacolo per ogni minimo progetto di modernizzazione e a chi potrebbe essere in grado di mettere mano ad un’ impresa di semplice riassetto.

Piuttosto che correre ogni volta in difesa di questo o quel protégé accusato di inefficienza e più strillano e più s’indignano,più si capisce a quale compagine appartiene  la Creatura posta ai vertici dell’Istituzione incriminata, ma quando finisce questa storia della politica a invadere qualunque settore ? – piuttosto che prendersela con un governo o un ministro che in pochi mesi ha il compito –  per non dire l’obbligo – di realizzare quello che non si è fatto in vent’anni, varrebbe davvero la pena di riconsiderare le Persone offrendo loro soluzioni degne per l’intero arco della vita lavorativa e non tirandole in ballo solo quando fa comodo speculare sulle loro incertezze.Ognuno è una storia si sente ripetere con improvviso slancio sociologico – umanitario.Già: ognuno è una storia.E non sono storie.

 

 

 

Nell’illustrazione operai di una fabbrica cinese ( non so cosa stiano facendo, e non lo voglio sapere)

 

 


La solita zuppa (L’Elysée entre dans l’anormal ?)

La solita zuppa (L’Elysée entre dans l’anormal ?)

 

Con buona pace di Nicolas Sarkozy che durante la campagna presidenziale metteva in guardia i francesi dalla noia che avrebbe procurato loro un presidente normal, ecco qui la breve storia di contese, gelosie e dissidenze che tra Twitter e La Rochelle hanno ricondotto – si spera per poco –  L’Eliseo a quel bel clima da vaudeville che aveva contraddistinto gli ultimi anni di regno :  

 

Lui, il dissidente Olivier Falorni  ha sempre sostenuto  che lei, la candidata ufficiale del partito socialista con tanto di sostegno presidenziale in deroga alla consuetudine repubblicana che vuole il Capo di Stato fuori dalle contese, Ségolène Royal, designata annullando le primarie, quindi d’autorità, al solo scopo, una volta eletta in quel collegio, di diventare Presidente dell’Assemblea Nazionale, non fosse edotta del territorio e dei relativi problemi e quindi inadatta a rappresentare i cittadini .(E vai con la solita zuppa a base di  Cattivo establishment  “intruse” parisienne contro  la Santa Base e il candidat de terrain )

 

Sebbene sconsigliato, Olivier insiste a candidarsi, viene espulso dal Partito e al primo turno si posiziona secondo, a quattro punti da Ségolène che per essere la Cocca degli Apparati,  ignara del territorio  – Poitou-Charente, regione della quale è peraltro presidente da otto anni –   dei militanti e dei problemi della gggente, se la cava piuttosto bene  aggiudicandosi un non disprezzabile 32%.

 

Si prospetta dunque un duello fratricida. Falorni viene nuovamente invitato a ritirarsi ma non ne vuol sapere mentre continua ad accusare il partito che nel frattempo sta organizzando un vero e proprio pellegrinaggio di ministre e pezzi grossi a La Rochelle – sede che più evocativa non si potrebbe –  di sovietismo, cesarismo etcetcetc. E fin qui potremmo essere alla classica bega interna della quale, in genere,  si avvantaggia l’avversario o la stampa in vena di retroscena, se al danno non si fosse aggiunta la beffa dell’endorsement inatteso da parte della Première Dame Valerie Trierweiler. E per chi?

Ma naturalmente per Olivier Falormi.

 

Apriti cielo.Partito in subbuglio,Hollande su tutte le furie, giornali che gongolano, avversari che ironizzano mentre tutto il mondo se la prende con la Trierweiler che viene persino invitata dal primo ministro Jean-Marc Ayrault  a comportarsi con maggiore discrezione. Dopo avere i socialisti trascorso l’intero mandato ad accusare Sarkozy di confondere la vita privata con quella pubblica, l’uscita di Valérie ,peraltro su Twitter, con migliaia di rilanci, crea imbarazzi a non finire. Come se non bastasse, a metà giornata viene reso noto un sondaggio secondo il quale Falormi sarebbe vincente a La Rochelle grazie ai voti dell’UMP che da quelle parti schiera una candidata debole  ed è ben lieto di speculare su qualsiasi crepa o difficoltà dell’avversario  (sospetto peraltro manifestatosi anche al primo turno) nonché di vendicarsi di madame Royal che a Sarkozy non le ha mai mandate a dire, vedi dichiarazioni di campagna elettorale sulla di lui necessità di essere eletto per presunti ed incombenti guai con la Giustizia.

 

Ora, se si trattasse davvero di una guerra tra dame – e in parte è inevitabile che lo sia – la devastazione prodotta in poche ore sarebbe  decisamente sproporzianata rispetto a qualsiasi possibile risultato vincente ,tanto più che allo stato, i socialisti stanno per perdere La Rochelle, Ségolène non diventerà  la prima donna Presidente dell’Assemblea Nazionale e Valérie che non è una sprovveduta né una sciocca ma che probabilmente con il tweet ha inteso esprimere libertà ed autonomia di giudizio oltre che  insofferenza  rispetto ad un ruolo che quasi certamente le impedirà di continuare a lavorare destinandola alla subalternità, ben che vada, resterà in perpetuo colei che, nell’ansia di affermare se stessa, non ha esitato a mandare a gambe per aria progetti e destini elettorali. E qui non è tanto il prestigio del Partito ad essere in gioco,né quello dell’adirato consorte, quanto l’interesse dei cittadini.Davvero non c’era altro terreno per manifestare il proprio  – seppur comprensibile – disappunto?

 

 

L’unico ad avvantaggiarsi di tutta questa storia – come ti sbagli –  sarà probabilmente  il dissidente Falorni il cui engagement non risulta poi, come tweet assassino vorrebbe, così  désintéressé , visto  il cumulo di cariche e compensi ( vicesindaco, assessore regionale,membro di una commissione) e la spensieratezza con la quale continua,incurante del disastro, a parlare di candidature uniche e andamenti sovietici spazzolando consensi e appoggi dall’avversario.Alle due signore non rimarrà che registrare una doppia sconfitta e la solita zuppa, questa volta a base di Eva contro Eva con annesso indifferenziato pattume sessista .Valeva la pena?

 

 

Nell’illustrazione la Battaille de La Rochelle, quella del XV secolo.Per l’assedio del 1627 aspettiamo domenica.

 

 

 


Un festival normal (et la recherche du cinéma perdu)

Un festival normal (et la recherche du cinéma perdu)

 

 

 

 

On trouve  tout à la Samaritaine (Aimez-vous Carax?)

 

 

Gli chiedono dei riferimenti – il film ne è pieno – e lui risponde che li odia. Lo incalzano con la tiritera dell’essere compreso e lui ribatte che vuol essere solo “visto” –  essere amato lo rende lieto ma insomma non è quello il punto – se non ci fosse stato Denis Lavant a parlare del rapporto privato che s’instaura tra un cineasta e il suo pubblico sarebbe finita a monosillabi seguiti da imbarazzanti silenzi.Non va tanto meglio con le note di regia.Né col press book, forse è meglio non sapere nulla prima di avere visto. Forse è meglio godersi questo viaggio (al termine della notte? L’autista casualmente si chiama Celine) C’è una limousine -bodoir – camerino –  office, dalla quale Oscar, un uomo d’affari con nove appuntamenti in agenda , esce ogni volta con un travestimento differente e che ad un certo punto entra in collisione con un ‘altra limousine dove c’è una donna impegnata in analoga attività.Si ritroveranno a la Samaritaine – grande magazzino nei pressi di Pont Neuf chiuso per ristrutturazione – ai piedi dell’imponente elegantissima scalinata art nouveau tra manichini avvolti nel cellophane o buttati in terra come cadaveri. Le cinéma – sostiene Carax – est comme une île, une belle ile, avec un grand cimetière. Quand on fait un film, on fait du cinéma.  Se la domanda fosse : dove va il cinema? La risposta potrebbe essere nell’opera mirabolante di questo artista a tutto tondo. Palma d’oro per giurie molto coraggiose.

 

 

 

 

Ex Dogma

 

 

Suonerà strano ma la storia di Klara, bambina di cinque anni  che sentendosi respinta dal proprio insegnante si vendica   accusandolo di molestie è meno inusuale di quanto sembri.  Genesi di una psicosi collettiva che resiste ai chiarimenti processuali alimentando comportamenti violenti e persecutori nei confronti  di una persona della quale si è stabilita l’innocenza e di come i bambini condizionati da certe atmosfere malsane tendano a mentire e a comportarsi secondo le aspettative degli adulti. Film profondamente danese del regista di Festen  e seguace di Dogma Thomas Vintenberg. Titolo italiano : la Caccia (qualche difficoltà nelle vendite ma poi è andata)

 

 

 

Saluti Vulcaniani ( Cronenberg grande anche quando sembra lo sia un po’ meno)

 

 

Si conferma la tendenza planetaria (oltre che dell’uso di limousine come camper)  delle trasposizioni letterarie – il che significa un cinema sempre più parlato –  è il caso di Cosmopolis  fondamentale, non fosse altro per i tratti  premonitori di scenari apocalittico finanziari, testo di Don De Lillo – presenza oltretutto emozionante accanto a Cronenberg in conferenza stampa –  che gli sceneggiatori hanno poco rimaneggiato – brani alla mano, ci sono dialoghi riportati pari pari – e sul quale lo stesso De Lillo poco ha eccepito,non avendo messo mano allo script e trovando il film  perfetto così com’è. Anche qui c’è una limousine con a bordo un giovane tycoon e un viaggio da tregenda per raggiungere il proprio barbiere all’altro capo di una New York proprio nel giorno in cui il Presidente è in città e sta succedendo di tutto tra masse di diseredati in marcia,scontri  e  lanci di topi morti.La limousine nel frattempo è una specie di piccolo mondo all’interno del quale il miliardario governa un avvicendarsi in entrata e uscita di mogli, clienti, collaboratori, amanti, medici per un ecodoppler al volo e via dicendo – rappresentiamo un mondo che non ha alcun senso e che ha bisogno di essere purificato, aveva precisato Cronenberg più generoso nelle spiegazioni di tanti altri – Evocazione in grande stile dello spettro del Capitalismo con citazioni dirette dal Capitale di Marx.

 


 

 

 

 


Un festival normal (retour, amour, foi, espoir, charité e molto altro)

Un festival normal (retour, amour, foi, espoir, charité e molto altro)

 

 

 

 

 

 Ogni considerazione dura e coerente sulla gerontocrazia del cartellone è filata via liscia fino alle visioni di film incantevoli, opera di vecchi  autori ma con  un’idea di cinema  innovativa e seducente. Vous n’avez encore rien vu aveva promesso Resnais. E così è stato, non solo per il suo film. Ogni paragone con le nuove generazioni dopo non ha avuto più gran senso come pure le  graduatorie.Del resto era impossibile per un selezionatore rinunziare ad Haneke, Kiarostami,Resnais.Non a queste  opere :


 

 Basta maltrattare Kiarostami

…e perché non racconta storie iraniane – indovina un po’? – e perché gira in Giappone e perché qui il finale non c’è e lì manca l’inizio e perché dopo il Sapore della ciliegia e Sotto gli ulivi ci si sarebbe aspettati chessò…un delicato poema …e via dicendo. Like someone in love è un film straordinariamente elegante, una storia che in mano a chiunque sarebbe diventata: studentessa-escort orribilmente fidanzata con piccolo despota geloso incontra anziano cliente paterno.Invece no. Coup de foudre (e al cuore di chi scrive) per lo sguardo rispettoso del regista,la recitazione impeccabile e per aver appreso che il produttore per realizzare il film ha venduto un quadro di Klein.Separarsene dev’essere stato doloroso. 

 

 

Vous n’avez rien vu

La compagnia di attori di Antoine d’Anthac viene convocata dopo la di lui  morte per assistere al filmato della rappresentazione di Orfeo e Euridice. Volontà del defunto e testamento artistico – non quello di Resnais, come ha tenuto a precisare l’interessato – Venticinque attori ovvero il meglio del teatro e del cinema francesi si contendono un testo in un gioco di specchi sottile e raffinato.Il più sperimentale dei film di questa tornata viene dal novantenne qui sopra ritratto in entusiastico atteggiamento.Un uomo per cui si inventano premi speciali con motivazioni che parlano di contributo essenziale alla storia del cinema.(la palma del mio cuore)

 

 

Amore (coniugale)

Haneke – pluridecorato e favorito  nelle quotazioni degli allibratori  che mai ci azzeccano –  con il suo Amour spalanca le porte di un appartamento parigino in cui si consuma  il dramma del distacco definitivo tra due anziani coniugi. Aveva chiesto a Jean Louis  Trintignant e Emanuelle Riva che la sofferenza risultasse credibile ma non patetica nella rappresentazione antiromantica dell’ Amore Vero .Il risultato è un film emozionante – come non ci si aspetterebbe da Haneke – ben scritto e intensamente recitato da due attori sublimi .Due ore e passa di grande cinema. E chissene frega della gerontocrazia.

 

 

 

Metafora 

non è  propriamente la definizione più adatta a Reality, racconto,al contrario, esplicito, abile nel rendere Napoli senza semplificazioni passando con realistica disinvoltura  dai palazzi seicenteschi mezzo cadenti  alla sfacciataggine dei parchi acquatici o degli outlet o nel mettere in scena la parabola di certe piccole rovinose ambizioni.Garrone rispettoso della migliore tradizione cinematografica ne ripropone le situazioni adattandole al contesto e se è vero che in una fila di aspiranti attori a Cinecittà è fin troppo facile ritrovare Visconti è altrettanto vero che le atmosfere felliniane in cui è immerso il racconto sono le più adatte a definire lo spirito della città.Lieto sciamare del cast quasi al completo sulla croisette tra conferenza e photocall .Tapis rouge trionfale, allegro, elegantissimo del medesimo.

 

 

 

 

Sugar mamas

Così i  giovani africani chiamano le attempate turiste europee in cerca di erotismo un tanto al chilo.Turismo sessuale dunque per questo Paradise love, non dissimile per volgarità e arroganza da quello classicamente inteso della compravendita di ragazzini. Film intenzionalmente  repellente disgustoso e irritante dell’arrabbiatissimo – e come dargli torto – Ulrich Seidl, austriaco come le protagoniste – bravissime attrici – delle quali esibisce in egual misura solitudine,disperazione e corpi in sovrappeso.Vagamente misogino anche se questo comperarsi attenzioni è molto costruito sull’imitazione del maschio.Gran monito per chi abbia intenzione di un viaggio in Africa comprensivo di giro sulle giostre col prestante Keniota.Non lo fate, tristezza e ridicolo sono un pedaggio troppo alto da corrispondere alla disperazione. Meglio sole.

 

Continua (mentre tutto  è pioggia pioggia pioggia e Francia)