Passione in tre atti

Passione in tre atti

Il lungo viaggio attraverso l’inverno romeno di un piccolo ed eccentrico corteo funebre per la pietosa sepoltura di una donna rimasta uccisa in un attentato terroristico, diviene  l’occasione per riscoprire il senso del termine risorse umane oramai perduto nella comune identificazione col mondo del lavoro.



Anche l’identità della donna, un’ immigrata addetta alle pulizie di un panificio di Gerusalemme, sembra smarrita. Rimane una settimana all’obitorio senza che nessuno ne richieda le spoglie, diventa oggetto di una speculazione giornalistica prima, e del recupero di un danno d’immagine, poi. Solo il viaggio verso casa e il racconto dei suoi famigliari chiariranno i contorni di una vicenda di emigrazione alla ricerca di una vita migliore, più dignitosa.

Anche le esistenze all’apparenza più insignificanti si rivelano importanti e in grado di condizionare il prosieguo per coloro che restano. Così è per i famigliari ma anche per il Responsabile di quel trasporto funebre un po’ sui generis che in virtù di quell’esperienza, ritroverà in sè le risorse umane necessarie ad affrontare gli ostacoli della propria vita.


Passione in tre atti è il sottotitolo del libro Il responsabilre delle risorse umane di Abraham Yehoshua da cui questo road movie molto ebraico nel suo tragicomico svolgimento e nel finale. Diretto da Eran Riklis regista de Il Giardino dei limoni. Selezionato a rappresentare Israele agli Oscar 2011. Distribuito dalla Sacher di Nanni Moretti. Le garanzie, mi sembra, ci siano tutte.





Il responsabile delle risorse umane è un film di Eran Riklis del 2010, con Mark Ivanir, Gila Almagor, Guri Alfi, Reymond Amsalem, Noah Silver, Bogdan E. Stanoevitch, Rovina Cambos, Julian Negulesco, Danna Semo, Papil Panduru. Prodotto in Francia, Germania, Israele, Romania. Durata: 103 minuti. Distribuito in Italia da Sacher Distribuzione

The voice over

The voice over

You will meet a tall dark  stranger.  Questo promettono le cartomanti  ma quasi mai avvertono  che se la profezia dovesse  avverarsi, sarebbero  comunque amarissimi cavoli. A meno di essere un po’ svalvolate, di essere state piantate per una più giovane e di credere, oltre che alle favole, di aver diritto ad una seconda opportunità, pretesa altisonante ma che, al dunque,  più modestamente si riduce al desiderio di un nuovo amore.


E pazienza se invece che alto bruno e sconosciuto, è piccoletto, grassoccio, semicalvo e prevedibile. L’importante è non indagare, poichè – sostengono Woody Allen e William Shakespeare, doverosamente citato in premessa –  l’unica via di salvezza dalla Vita ineluttabilmente Triste, è mentire a se stessi.


E in effetti nella gamma di disastri che riescono a  produrre, nell’ordine : il padre che alle soglie delle nozze d’oro abbandona la propria moglie per sposare una call girl, la figlia che al consorte scioperato – nonchè scrittore di un unico libro – preferisce, non ri-preferita, il proprio capo, lo scioperato marito  che tra un corteggiamento della dirimpettaia bella sexy e musicista e l’altro, indebitamente si appropria del manoscritto di un amico in coma, Helena, la madre persa nel suo mondo di fattucchiere e reincarnazioni, è quella che riesce a cavarsela meglio.



Gran sarabanda di personaggi che rincorrono altri personaggi che  a loro volta ne rincorrono altri ancora –  senza che, per questo, nessuno s’incontri mai, al più ci si perde  – ma tutti accomunati dall’ansia di un‘altra opportunità e diretti da una voce fuori campo, come migliore tradizione noir Hollywoodiano prescrive. Divertente  commedia degli equivoci e delle spiegazioni in nome di finte, fintissime ricerche della verità, tra andirivieni e porte che sbattono alla Feydeau . Alla fine, viene il sospetto che the dark tall stranger, di fatale abbia solo l’ineluttabilità e sia tutt’altro che l’uomo dei sogni del titolo italiano.

Ma Woody Allen, che si dichiara assolutamente contrario alla morte, nicchia, scantona e parla d’altro.



Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni è un film di Woody Allen del 2010, con Naomi Watts, Josh Brolin, Anthony Hopkins, Gemma Jones, Antonio Banderas, Freida Pinto, Lucy Punch, Anna Friel, Ewen Bremner, Neil Jackson. Prodotto in USA. Durata: 98 minuti. Distribuito in Italia da Medusa

Eileen & Sheila

Eileen & Sheila

Nigel  Cole ha un talento speciale nel raccontare le donne. Leggerezza, ironia, sincera ammirazione, sono i tratti caratteristici del suo stile narrativo.

Ma che si tratti di mature signore scampate miracolosamente al tedio di un club delle torte nello Yorkshire o della vedova che in Cornovaglia,  per ripianare i debiti –  unica eredità –  lasciati dal  marito,  si dedica ad una coltivazione molto sui generis, quel che riesce davvero bene a Cole, è descrivere per filo e per segno cosa è dell’ universo circostante – ma non solo – nel momento in cui le donne decidono di ribellarsi.



E’ il 1968 quando alla Ford di Dagenham, in Inghilterra, le addette alla cucitura delle fodere dei sedili, bloccano la produzione  perchè il loro salario è nettamente inferiore a quello degli uomini. Lo sciopero, subito dilagato nel resto del paese, andrà avanti per un lungo periodo, scatenando, tra pubblico e privato, reazioni inattese, con le quali sarà indispensabile cimentarsi. Non possono mancare in simili  casi le ostilità del sindacato, ne’ quelle dei mariti, una materia questa, di cui  la sceneggiatura rende giusto conto, evidenziando come una battaglia per la parità salariale sia qualcosa che chiama in causa problematiche  ben oltre il settore del lavoro.


L’epilogo è noto e positivo grazie alla determinazione delle operaie e alla sensibilità del Ministro laburista dell’Occupazione Barbara Castle che con l’occasione fece approvare una specifica legge sulla parità salariale  poi divenuta paradigma di altre in Europa (da noi accadrà nel 1977).


We want sex equality, recita lo striscione alla testa di un colorato drappello di ragazze irresistibili in marcia… ma poi un colpo di vento ripiega la stoffa e la parola equality va a farsi friggere. Si legge solo  We want sex. Genera qualche esilarante qui pro quo ..ma va bene così.


Bel racconto della presa di coscienza mai facile ( ma nemmeno cupa ed eroica ) di Eileen & Sheila che con le altre –   compagne di lavoro, ministre e mogli di direttori di fabbrica solidali – andarono a prendersi ciò che spettava loro di diritto . Nel fare questo – raccontano – nemmeno per un attimo hanno avuto la sensazione di scrivere la Storia. Accade sempre quando si è molto concentrate su di un obiettivo.Non resta tempo per altro.

Oggi, dopo essere state consulenti di Cole per il film, Eileen & Sheila, ne sono anche le brillanti testimonial.( Qui sopra, sfilano sul red carpet di Romafilmfestival assieme al regista e a Miranda Richardson)




We Want Sex è un film di Nigel Cole del 2010, con Sally Hawkins, Miranda Richardson, Bob Hoskins, Rosamund Pike, Rupert Graves, Richard Schiff, Daniel Mays, Matt King, Roger Lloyd-Pack, Geraldine James. Prodotto in Gran Bretagna. Durata: 113 minuti. Distribuito in Italia da Lucky Red

My name is Clareece “Precious” Jones

My name is Clareece “Precious” Jones

Con gran ritardo, molti riconoscimenti – tra i quali due Oscar –  e poche copie,  arriva anche qui da noi, questo pregevole lavoro di Lee Daniels, che dopo aver spopolato al Sundance, fu a Cannes 2009 – sezione un Certain Regard –  suscitando commozione, entusiasmo e una standing ovation di quelle che non si dimenticano.



Primo film tra la fine dell’era Bush e l’avvio dell’era Obama – insediato da pochissimi mesi –  dopo un lungo periodo di rappresentazioni forti, deprimenti, insostenibili, talvolta violente nelle quali  la disperazione senza via d’uscita, era la vera incontrastata protagonista. E primo film che alla fine di una storia di emarginazione e orrori domestici, lascia intravedere un barlume di riscatto .



Bisogna però arrivarci alla fine, poichè la vicenda di Precious, adolescente di Harlem alla fine degli anni 80 , obesa, analfabeta, sieropositiva,  abusata fin dall’età di tre anni dal proprio padre del quale è rimasta due volte incinta , con una figlia down e una madre terrificante che non trova di meglio che inveirle contro di continuo ,  è  una tale botta allo stomaco da diventare  a momenti  insopportabile .



Per resistere a questo desolante campionario di disgrazie, ci si può avvalere del sostegno della stessa Precious e dei suoi sogni – nonostante tutto – di ragazzinaI wish I had a light-skinned boyfriend with real nice hair ed inoltre  And I wanna be on the cover of a magazine in entrambi i casi senza che ciò comporti il diventare magra, bionda o bianca.


E’ possibile che il riscatto di Precious passi per il programma di recupero scolastico che si accinge ad intraprendere  ma il motore, la spinta, la ragione, sono proprio quei sogni tra ingenuità e paradosso – in uno identifica sua madre nella Ciociara che sta passando sul televisore di casa, perennemente acceso, in un altro è la star di All That Jazz – a salvare lei (e noi) da un triste destino.


Tratto dal romanzo di Sapphire, Push – che da noi diventa Precious ed è in uscita per Fandango – efficacemente rimaneggiato da Geoffrey Fletcher – è lui uno degli Oscar – diretto da Lee Daniels e magnificamente recitato dall’intero cast, Mo’nique – l’altro Oscar – perfetta nel ruolo della madre snaturata e violenta ancorchè vittima lei stessa del terribile meccanismo, l’esordiente, per il cinema, Gaburey Gabby Sidibe che è Precious, Lenny Kravitz e Mariah Carey nei ruoli rispettivamente di un infermiere e dell’assistente sociale.


But first I wanna be in one of them BET videos . E’ questo il sogno più importante. E pare proprio che, in qualche modo, ci sia riuscita.






Precious è un film di Lee Daniels del 2009, con Gabourey ‘Gabby’ Sidibe, Mo’Nique, Paula Patton, Lenny Kravitz, Sherri Shepherd, Nealla Gordon, Stephanie Andujar, Amina Robinson, Chyna Layne, Xosha Roquemore. Prodotto in USA. Durata: 110 minuti. Distribuito in Italia da Fandango

Buona notte

Buona notte

A Mario Monicelli non sono toccate esequie stile Alberto Sordi, con camera ardente in Campidoglio, orazione funebre del Sindaco  – che nel frattempo è pure cambiato, in peggio – in piazza San Giovanni, aerei con striscioni inneggianti, fiori, lutto e cordoglio cittadino.


Tutta roba che del resto aveva precisato di non volere, desiderando sopra ogni cosa di morire in un giorno di calma piatta
– invece cortei  per ogni dove contro la riforma dell’università e presidi polizieschi stile Santiago –  in cui i giornali avessero poco da scrivere –  impazzava Wikileaks –  e di essere portato alla Cassa del Cinema, come lui chiamava la graziosa costruzione in Villa Borghese che tutti amiamo, cortese omaggio della città, per l’appunto destinato alla promozione della cultura cinematografica .


Mai si sarebbe immaginato però, che scantonare i funerali da Divo non fosse sufficiente ad ottenere un po’ di compostezza e che la sua dipartita sarebbe invece stata occasione di :




a) Un battibecco  istituzionale  sull’eutanasia




b) Una querelle nazionalpopolare – in senso deteriore – sul suicidio ( è giusto o sbagliato ammazzarsi?)




c) Il passaggio televisivo, in qualche caso,  dei suoi film meno riusciti



d) La riesumazione degli appellativi che in vita sua lo avevano fatto incazzare di più, da maestro a padre della commedia all’italiana nulla è mancato.



e) Le più spericolate perifrasi per alleggerire il fatto che avesse un carattere di peste.




f) Lo svarione di un notiziario RAI del mattino che gli ha attribuito la regia di Tutti a casa. (E non si tratta  manco del primo canale).



g) La riproposizione furbetta, il rilancio, il rimpallo e la linkata selvaggia dell’ eeeepocale puntata di Match sul cinema italiano, Mario Monicelli vs Nanni Moretti, moderatore Alberto Arbasino (con baffi), anno di grazia 1977.

Un prezioso documento d’archivio, rispetto al quale nessuno ha il coraggio di dire che Moretti aveva ragione e Monicelli – salvo qualche colpo ben assestato – un po’ di meno.



E soprattutto che come esempio tipico di conflitto generazionale tra l’affermato regista e lo sperimentale, snob, rivoluzionario, enfant prodige etcetc, funziona pochino, visto che Monicelli ce lo siamo ritrovato di lì a qualche anno in ogni battaglia e Moretti un po’ meno. Questione di modi e di scelte e non d’età o di prestigio professionale. E manco d’esser catalogati frettolosamente conservatori o progressisti, magari sulla scorta di quanto orecchiato  o di film non visti o visti male.



In conclusione, non si può nemmeno morire senza che qualcuno si appropri del decuius per ricoprirlo di un mare di retorica e fregnacce. E già va bene se la strumentalizzazione si ferma al tirare il morto per la manica…apparteneva a questo, no a quello, no a quell’altro. Ci sono casi peggiori in cui persino un lutto è occasione di polemiche speciose – ed ingiuriose –  come quelle che ci ha regalato il Parlamento. Come quelle lette sui giornali e riprese dal Web. Roba da Nuovissimi Mostri.





Allora meglio, passato il temporale,  per ritrovare Monicelli, di rivederne i  film – il mercato sempre pronto a cogliere l’attimo, provvederà a curarne ristampe e diffusione –  che non sono tutti belli e riusciti ma, indistintamente tutti, segnati da quell’ accuratezza che può discendere solo da un duro lavoro. Il cinema è anche questo : un’impresa in buona parte collettiva – leit motiv questo di trame monicelliane da Brancaleone ai Soliti Ignoti ai Compagni a Romanzo Popolare a Speriamo che sia femmina  a molti altri – relegata spesso nei titoli di coda (che la televisione irrispettosamente taglia).

Chi invece ha di Monicelli, un ricordo meno pubblico, lo tenga per sè. Chè di questo chiasso, non se ne può più.

Buona notte, Mario.