Spettatori
Con quanti spettatori ho condiviso un’esperienza cinematografica e quanti ne ho spiati nascosta in cabina di proiezione?Una volta Cary Grant disse a Peter Bogdanovich che per lui l’esperienza più bella era andare al Radio City, un cinema di New York che contiene seimilacinquecento posti,a sentir ridere gli spettatori per qualcosa di piccolo e semplice che aveva fatto sullo schermo. Film e pubblico sono un’ esperienza visiva ed emotiva singolare.Ridere a crepapelle o piangere a dirotto,un film è sostanzialmente un dispositivo per ottenere dal corpo il massimo delle reazioni.Una volta uno dei più noti registi contemporanei fu portato via di peso dalla saletta di un cineclub romano dove proiettavano una maratona di classici della comicità del muto:una crisi esilarante in piena regola.Inarrestabile.Per avere una risata di quelle fatte bene,occorrono almeno un centinaio di persone per volta, dicono gli esperti.Oggi i film raramente sono consumati in riti collettivi di questa proprorzione ed intensità.Le nuove tecnologie sembrano di gran lunga preferire una fruizione individuale e isolata.Il tipo che ieri sul treno, era attaccato ad una cuffietta, a sua volta attaccata ad un pc portatile, sorrideva appena all’esilarante Tony Curtis di Some like it hot.Tuttavia ho osservato le sue reazioni a scartamento ridotto. C’è un ‘altra scena nascosta in un film : il pubblico in sala.I movimenti,le risate,uno spettatore che per prendere posto oscura per un attimo lo schermo e rende improvvisamente molto più interessante la proiezione.Sono questi i momenti in cui si scopre quanto il cinema abbia presa su di noi,basta un breve abbandono della pressione che esercita l’immagine e il desiderio si riaccende.Quando il film (tutti ne hanno) ha un punto debole,il pubblico esce dallo stato di trance,si sistema meglio sulla poltrona,tossisce,si tocca i capelli,comunica brevemente col vicino.Vista da lontano è come un’onda di movimenti e spostamenti che percorre la sala come se esistesse, in questo, un accordo segreto tra congiurati.Il cinema non è uguale al sogno.L’illusione non è mai assoluta, c’è sempre una parte di noi che sa di essere al cinema come in questi momenti di stanca del film in cui ci si assenta,lo si guarda senza vederlo, per poi riprendere il nostro posto al suo interno, non appena la narrazione torna in quota.

E’ vero che Pino Lancetti nelle sue creazioni guardava, o come preferiva dire lui, si appoggiava all’arte,lo si capiva dai riferimenti esplicitamente impressi nei tessuti aerei degli abiti da cocktail in cui rivivevano,Picasso,Kandinsky,Matisse, Klimt.Couturier atipico, alla francese, cioè disegnatore e tagliatore (per ogni abito, un centinaio di bozzetti) di una moda artigianale la cui magia nasceva rigorosamente in laboratorio tra ricamatrici e prèmieres e viveva, più che sulle copertine patinate o nelle pubblicità strillate, indosso ad indimenticabili clienti (e non testimonial) :la Begum Salima,Soraya,Audrey Hepburn e Silvana Mangano.Esempio di eccellenza e innovazione nel momento in cui la moda romana cercava un’autonomia dall’ Haute Couture di Parigi e Milano era di là da venire,Lancetti fece parte della nuova generazione di sarti, quella che come i grandi del passato – da Chanel a Schiaparelli – sapeva legare la moda alle diverse espressioni dell’arte.Con lui Mila Schön,Irene Galitzine,Fausto Sarli e un giovanissimo Valentino.Presuntuosi forse, ma in quella sfida c’è stata una ricerca minuziosa di riferimenti che il mondo della moda non ha mai più conosciuto.Nei tardi anni sessanta aveva lanciato per primo la moda militare e con due anni di anticipo su Saint Laurent lo stile Folk, pensando a donne la cui vita stava per cambiare e che non avrebbero mai più avuto il tempo per le classiche quattro prove dell’abito in sartoria . Pino Lancetti mancava dalle passerelle già da anni,con poca convinzione aveva partecipato alla nascita del made in italy,il prêt a porter non era nelle sue corde, come non lo erano le paillettes,gli eccessi,la religione del mercato e la massimizzazione dei profitti.Nel 1999 aveva venduto il suo marchio a due industriali milanesi dei profumi.Tornò alle sfilate in occasione del Premio alla Carriera ricevuto nel 2000, nel vecchio Ospedale Santo Spirito in lungotevere in Sassia, gli abiti erano ancora belli ma il mito un po’ appannato da quei jeans serigrafati,prezzo quattro milioni di lire,voluti dai nuovi proprietari.Quell’anno fu assegnato il premio anche a Jean Paul Gaultier e Vivienne Westwood altri due geni creativi poco inclini alle suggestioni dei profitti .Se l’idea di moda artigianale era tramontata, come del resto il suo mondo,tanto valeva tornare alla pittura.Così si ritirò nella sua casa di via del Babuino a pochi metri dallo storico atelier al primo piano di Piazza di Spagna 93.Sarebbe bello rivedere i suoi cento abiti, esposti al Vittoriano qualche tempo fa e assicurati,senza luccicare nemmeno un po’, per cento miliardi di lire.

Poichè la tenutaria qui dentro, dilettantisticamente, parla solo dei film che le sono piaciuti e che intende ricordare (per le stroncature c’è già la critica professionale),non ci sono stati, ne’ ci saranno post sui film The Queen e Diario di uno scandalo.Due prodotti,intendiamoci,assolutamente decorosi ma se un film non incanta, non c’è niente da fare…meglio allora investire energie scrivendo di pellicole in cui ci si riconosce.Tuttavia in entrambi i casi, le storie narrate si avvalgono, anzi vivono e respirano dell’impegno di due bravissime attrici che,guarda caso,proprio stasera,a Los Angeles, si contenderanno, l’Oscar.Io spero vivamente che almeno una delle due sia premiata come miglior attrice protagonista e che l’altra si aggiudichi il riconoscimento, magari in qualche altra categoria ( non ho sottomano le nominations).I motivi sono tantissimi e non concernono solo la disinvolta capacità di calarsi in personaggi assurdi (entrambi i ruoli lo sono) e distanti da sè anni luce (la Mirren è persino una delle poche inglesi repubblicane di cui si sappia e riesce ad essere più regina di Elisabetta ) ma soprattutto il grande amore e l’entusiasmo per il proprio lavoro e da ultimo per quella caparbietà di essere nello star system con la propria personalità e soprattutto con la propria età e, senza ricorrere a scorciatoie chirurgiche ma nemmeno accontentandosi di ruoli secondari da “anziana",di essere qualcosa di più della protagonista di un film ma di essere loro stesse, IL FILM.

