Piazza di Spagna 93
E’ vero che Pino Lancetti nelle sue creazioni guardava, o come preferiva dire lui, si appoggiava all’arte,lo si capiva dai riferimenti esplicitamente impressi nei tessuti aerei degli abiti da cocktail in cui rivivevano,Picasso,Kandinsky,Matisse, Klimt.Couturier atipico, alla francese, cioè disegnatore e tagliatore (per ogni abito, un centinaio di bozzetti) di una moda artigianale la cui magia nasceva rigorosamente in laboratorio tra ricamatrici e prèmieres e viveva, più che sulle copertine patinate o nelle pubblicità strillate, indosso ad indimenticabili clienti (e non testimonial) :la Begum Salima,Soraya,Audrey Hepburn e Silvana Mangano.Esempio di eccellenza e innovazione nel momento in cui la moda romana cercava un’autonomia dall’ Haute Couture di Parigi e Milano era di là da venire,Lancetti fece parte della nuova generazione di sarti, quella che come i grandi del passato – da Chanel a Schiaparelli – sapeva legare la moda alle diverse espressioni dell’arte.Con lui Mila Schön,Irene Galitzine,Fausto Sarli e un giovanissimo Valentino.Presuntuosi forse, ma in quella sfida c’è stata una ricerca minuziosa di riferimenti che il mondo della moda non ha mai più conosciuto.Nei tardi anni sessanta aveva lanciato per primo la moda militare e con due anni di anticipo su Saint Laurent lo stile Folk, pensando a donne la cui vita stava per cambiare e che non avrebbero mai più avuto il tempo per le classiche quattro prove dell’abito in sartoria . Pino Lancetti mancava dalle passerelle già da anni,con poca convinzione aveva partecipato alla nascita del made in italy,il prêt a porter non era nelle sue corde, come non lo erano le paillettes,gli eccessi,la religione del mercato e la massimizzazione dei profitti.Nel 1999 aveva venduto il suo marchio a due industriali milanesi dei profumi.Tornò alle sfilate in occasione del Premio alla Carriera ricevuto nel 2000, nel vecchio Ospedale Santo Spirito in lungotevere in Sassia, gli abiti erano ancora belli ma il mito un po’ appannato da quei jeans serigrafati,prezzo quattro milioni di lire,voluti dai nuovi proprietari.Quell’anno fu assegnato il premio anche a Jean Paul Gaultier e Vivienne Westwood altri due geni creativi poco inclini alle suggestioni dei profitti .Se l’idea di moda artigianale era tramontata, come del resto il suo mondo,tanto valeva tornare alla pittura.Così si ritirò nella sua casa di via del Babuino a pochi metri dallo storico atelier al primo piano di Piazza di Spagna 93.Sarebbe bello rivedere i suoi cento abiti, esposti al Vittoriano qualche tempo fa e assicurati,senza luccicare nemmeno un po’, per cento miliardi di lire.
Questo è uno degli abiti folk firmati Pino Lancetti (notare la cintura fatta con cordone tapisserie).Ad altri sarebbe stato impossibile accostare simili colori (rosso rosa arancio viola) e ricavarne un insieme armonico.Lui ci riusciva.Crêpe de chine della gonna a intarsi orizzontali lucidi e opachi e taffetà in seta cruda del corpetto, fanno il resto.(notare la fodera della piccola giacca che non è double face, ma, rovesciata, risulta essere senza cuciture visibili, l’interno dell’abito veniva cucito con la medesima accuratezza dell’esterno e interamente foderato, tranne che per gli chiffon,i voiles,i plumetties ,le sete leggere delle gonne.
Ed è tra gli ultimi bozzetti del maestro disegnati per la sfilata di lungotevere in Sassia.
8 pensieri riguardo “Piazza di Spagna 93”
Che vergogna….una trotskista che si presta a disquisizioni modaiole….il Soviet ha deliberato l’ esclusivo uso di mimetica in tonalità verde muffa (con baschetto rosso pompeiano), non sei stata informata compagna?
giusto giusto le tonalità di Pino…deve aver lasciato un qualche testamento prima di morire,compagno.
Si, scritto su una pelle di renna conciata a dovere…
questo è un blog variegato, perchè non provi a variegare anche tu?Raccontaci chessò, qualche intimo dramma,qualche pena d’amore o al limite l’ultimo grido in fatto di pedalini in magliana street
gioverebbe anche qualche indicazione per tenute da combattimento pret a porter…. per dare di ascia al luxometro o badilate a Vespa.
Noi vecchie ragazze non vorremmo tirar fuori dalla naftalina il vecchio eskimo.
:-D
la moglie di Cohn Bendit alle riunioni diceva “je suis en robe de combat” alludendo alla sua mimetica Saint Laurent.Anche allora, si vede, che l’Eskimo era considerato un saccoccione informe.Figurati adesso
Bene donne…ve la siete cercata….il vestiario fashion non va più da quel dì…..ora va lo street clothing: adidas, cult, benni miles, live mechanics, kani….capelli rasati a zero e sguardo truce……HipHop style sista’s….basta tacchi e Saint Laurent.E’ ora di BLACK POWER e GHETTO!
Non posso accettare imposizioni.Rosso pompeiano o morte.