Piccola nota a carattere biografico in premessa :
Dico la mia, talvolta giudicando, perché nel corso di una non breve militanza, ho lavorato a progetti di interesse collettivo realizzati in nome e per conto prima del PCI, poi del PDS dei DS e infine del PD. E l’ho fatto sempre da una posizione di minoranza. Cioè combattendo resistenze, ostilità, personalismi. Tutto questo nella convinzione che l’utilità di quei progetti (asili nido, mense scolastiche, impianti sportivi, centri anti violenza tutti ancora funzionanti e al servizio dei cittadini romani) valesse bene il logoramento di una battaglia interna spesso aspra, rappresentando quei progetti il senso di un’appartenenza convinta : la mia.
L’istinto di fuga non è mai stato nelle mie corde mentre vale ancora la lezione ingraiana del “gorgo in cui rimanere e combattere” di recente evocata da Gianni Cuperlo in sede di Assemblea Nazionale. Dunque resto qui e sono ancora minoranza.)
E allora poiché mi piace parlare di politica, faccio finta che le recenti defezioni non possano essere causate dal profilarsi di una legge elettorale proporzionale buona solo a sollecitare frazionismi, tutele di rendite di posizione e revanchismi. Egualmente metto da parte la perplessità che mi suscita il rabbrividente, per fallimentare inattualità, titolo dell’impresa : Rivoluzione Socialista. Tralascio anche le molte contraddizioni, una per tutte quella su Gentiloni à la carte – Gentiloni for ever come merce di scambio.
Infine voglio ancora ignorare il fatto che lo specialissimo sentimento di odio nei confronti di Matteo Renzi abbia in sé qualcosa di talmente patologico e sospetto da ridurre la portata e, in qualche modo, offuscare le ragioni politicamente più nobili degli scissionisti.
Dunque, sgomberato il campo, come si dice in questi casi con brutta espressione, da retropensieri, processi alle intenzioni e visioni psicoanalitiche, un paio di dubbi permangono. Uno riguarda l’energia che i fuoriusciti hanno investito nell’andarsene e il perché la medesima foga non sia stata impiegata durante i mille giorni del governo Renzi nel doveroso tentativo di correggere via, via errori, veri e presunti, che invece oggi con intempestiva chiarezza vengono posti in forte rilievo come motivazioni imprescindibili della scissione.
In definitiva quale potrebbe essere stato il compito di una minoranza se non quello di proporre alternative orientando diversamente articolati e riforme?
L’altro riguarda la curiosa idiosincrasia per la conta (fase finale, forse poco elegante ma inevitabile di ogni processo democratico) che in tutti i casi ristabilisce l’entità dei rapporti di forza, come si sarebbe detto un tempo, oggi più pedestremente : di chi governa il partito e di chi aspetta con laboriosa pazienza di cambiare le cose.Una chiarezza necessaria che non può essere elusa, pena la perdita dell’ orientamento e di conseguenza del senso della realtà.
Non riesco a credere che, espletata una misera contabilità, gli scissionisti abbiano avuto una così scarsa fiducia nell’efficacia delle proprie ragioni da decidere di non sottoporre la proposta al vaglio di un Congresso. Rimandando quell’uscita con tanto di porte sbattute magari a dopo un confronto più ampio di quello offerto in Assemblea o in Direzione, avrebbero reso più dignitoso il distacco.
Che male hanno fatto a costoro gli iscritti? Perché ne hanno temuto il giudizio?
Il fallimento di un progetto politico cui si è lavorato per anni non dovrebbe consumarsi con un banale non ci sono le condizioni.
Soprattutto quando non è dato conoscere quali sarebbero state le condizioni per rimanere. In questa sarabanda di dichiarazioni e di retorica a suon di fumosi quanto desueti scenari federativi pro salvezza della sinistra, quando non della patria, francamente mi perdo. La conoscenza di certe dinamiche non mi soccorre, l’esperienza nemmeno. E so anche perché.
Ma per una volta la tristezza impedisce alla fatica dell’autocritica di trasformarsi in autolesionismo. I dubbi rimangono. Gli scenari che si profilano nella vita vera non possono essere contrastati con la frammentazione, casomai con l’Unità, costi quel che costi. Peggio della destra che comunque avanza, c’è questo farsi strada nella testa delle persone comuni dell’idea che protezionismi, sovranismi, e uomini forti più o meno soli al comando, potranno salvarci la pelle.
E contro queste distorsioni non basteranno le operazioni parlamentari, i tatticismi, e il risiko degli schieramenti, nemmeno di quelli dei più volenterosi. Servirà la forza di un pensiero autenticamente riformista a partire dalle piccole cose quali il licenziamento di una legge elettorale che non produca storture, alleanze spurie e pasticci vari. Servirà la correzione degli errori prodotti in corso d’opera e una fatica spesa in direzione opposta a quella fin qui messa in campo : quella della ricucitura. Solo un grande partito supportato dalla speranza che non sia già tardi potrà fare tutto ciò.
Nell’illustrazione Paolo Virzì sull’Unità di oggi, tenta, riuscendovi, di alleggerire il senso di amarezza.