De femme fatale qui m’fut fatale

De femme fatale qui m’fut fatale

Elle avait des yeux, des yeux d’opale,
Qui me fascinaient, qui me fascinaient.
Y avait l’ovale de son visage
De femme fatale qui m’fut fatale
De femme fatale qui m’fut fatale

(Jeanne Moreau quitte le tourbillon de la vie)

 

 

Nell’illustrazione  AFP  Libération, Jeanne Moreau dirige Lumière  (1976)

Introduzione (necessaria)

Introduzione (necessaria)

Prima dell’avvio della settantesima Messa Solenne, Thierry Frémaux , qui sopra mentre presidia la montée,  ha pubblicato per Grasset  il bel libro Selection Officielle :  tutto o quasi sulla dura vita del délégué général  du Festival  ovvero del plenipotenziario (lui dice di no) selezionatore di film da portare in Concorso, alla Semaine,alla Quinzaine, al Certain, al Cannes Classics e si presume anche alle proiezioni du Cinéma de la Plage

Se ne consiglia la lettura soprattutto ai delusi e ai sostenitori dell’inutilità dei festival – immancabili in tutte le edizioni – e non tanto perché l’impressionante mole di lavoro debba condizionare le pur indispensabili critiche ma semplicemente per ritrovare tra le pagine in questione  le buone ragioni per cui i festival e i premi servono al Cinema più di quanto si possa pensare.

La mission si compie nell’arco di un anno in giro per il mondo  alla ricerca del Meglio da inserire nei cartelloni  : un occhio alla qualità, uno al mercato, uno alla sperimentazione, uno al glamour, uno alle cose mai viste, uno alle cose che se non le vedessi qui non le vedresti affatto : circa 1800 film, visione  più visione meno, e ancora la scelta dei giurati dei, presidenti, dell’affiche, della maîtresse  o maître de cérémonie, la programmazione degli eventi dei premi speciali e via dicendo.Una corvée da restarci secchi.

Lui invece niente, anzi in contemporanea trova il tempo di dirigere la Cinémathèque di Lione con  relativo Festival Lumière ma soprattutto di dare i resti praticamente a tutti laddove per tutti s’intendono produttori, registi, attori, scrittori, agenti, direttori di festival concorrenti, partner televisivi, media, critici, Governo – che tutto paga – e quest’anno anche di riversare il precipitato di queste sue variegate diverse esperienze in un memoir di seicento pagine.

Infine, fresco come una rosa, ogni sera che il Festival manda in terra, si piazza in cima alla montée assieme al presidente Lescure e, impeccabile padrone di casa,  bacia e abbraccia le star,i registi e i produttori in arrivo.

Resta inteso che azzeccare o meno le scelte dipende dalla sensibilità personale ma molto da quel che passa il convento ovvero la panoramica cinematografica mondiale e sotto questo aspetto, i temi e i modi creativi produttivi e distributivi ci sono stati praticamente tutti. Critiche e polemiche, dalla più sciocca sull’affiche modificata, alla più stucchevole su Netflix sterminatore delle magie da sala, all’inevitabile de profundis dei Festival quando non del Cinema tutto, non scalfiscono l’aplomb du délégué  che in genere procede dritto e soave per la sua strada. Salvo prendere certe impuntature, tipo in questa stagione : non consentire per il futuro la presenza in concorso di  film  non destinati ad essere distribuiti nelle sale francesi.

“Comprensibilmente”, visto che in Francia la tassazione di scopo riguarda anche i biglietti una quota dei quali va direttamente a finanziare il Cinema, senza parlare dell’imprenditoriale aggressività dei potenti distributori francesi –  il cielo ce li conservi – che in questa scelta discriminatoria avranno avuto di sicuro un ruolo non marginale.

Meno comprensibile invece è il credere che l’ostilità verso Netflix possa salvare il Cinema o peggio che un film in sala sia più film di uno visto su uno smartphone o sul televisore di casa. Quella dell’esperienza collettiva, del buio in sala, della bellezza del grande schermo – ammesso che nel frattempo ne sopravviva qualcuno  –  è un’altra storia e,  se si vuole, vale la pena dell’impegno  per una battaglia diversa che ha un senso solo se a favore degli spettatori.Cento milioni di abbonati sono in cerca di emozioni e qualità esattamente come gli spettatori col biglietto in tasca.

Da invenzione senza futuro a incarnare il futuro, il passo è stato breve (e meraviglioso). Sembra impossibile che gente di cinema possa, con lo sguardo rivolto al passato, farsi carico di una battaglia di retroguardia più somigliante a difendere che a costruirli i buoni ricordi.

(segue)

 

 

Effet de légèreté

Effet de légèreté

In principio fu “Cannes è discriminatorio e ignora le donne” e allora toccò alle Marilyn, alle Dunaway, alle Vitti, alle Binoche, alle Bergman, lavare l’onta dell’oblio incartando il Palais e ogni altro luogo nei giorni del festival dentro significativi manifesti esaltanti bellezza eleganza e bravura mentre le Campion, le Varda le Garcia, le Jodie Foster, cercavano il riscatto nei cartelloni del Concorso, del Certain o della Semaine. Poi due anni di pausa con Marcello e i suoi occhiali e Michel sulle scale della villa di Malaparte e ora di nuovo una donna, Claudia Cardinale, entusiastica presenza danzante su fondo fragola. Immancabili polemiche sulla foto che, a quanto pare, sia stata ritoccata per migliorare le gambe o che so io. Lei però, come d’abitudine, è definitiva a mezzo dichiarazione efficace e direi anche fulminante.

Il s’agit d’une affiche, qui au-delà de me représenter, représente une danse, un envol. Cette image a été retouchée pour accentuer cet effet de légèreté et me transpose dans un personnage ; c’est une sublimation… Le souci de réalisme n’a pas lieu d’être ici, et, féministe convaincue, je n’y vois aucune atteinte au corps de la femme.»

L’onere, vi prego, della prova

L’onere, vi prego, della prova

Con i procuratori che sanno ma non hanno le prove e gli ex direttori – tutti aplomb & schiena dritta –  di prestigiosi quotidiani che raccontano nei loro libri  come ministri del trascorso governo abbiano cercato  di piazzare Banche in difficoltà a malcapitati  Amministratori Delegati di altre Banche che non se la passano tanto bene anch’ esse , senza  altro aggiungere – un foglietto, magari prelevato dalla spazzatura, chessò  un sospiro d’intercettazione, una dichiarazione, uno straccio di argomento circostanziato a sostegno –   ci avviamo serenamente verso la stagione in cui l’onere della prova è un vecchio  arnese di cui si può fare tranquillamente a meno  mentre la parola tua (che accusa) vale in assoluto assai più della mia (che si difende).

Uno la butta lì e qualche cosa resta grazie anche al cortocircuito furente  delle indignazioni, interpellanze, richieste di dimissioni (dell‘intero governo!) che si attiva immediatamente ad ogni sensazionale rivelazione . Del fumo che ne deriva  amplificato dai media e rimpallato su Internet,  è difficile venire a capo, non fosse altro perché, in mancanza d’altro, le argomentazioni forti dello Sdegno fanno capo al sostanzialismo del curriculum impeccabile e dell’affidabilità : uno così non può dire fregnacce. E invece no. Ciascuno può avere buone ragioni per infilare fandonie : carriera e reputazione impeccabili non sono una rendita.Non in questi casi.

 

Ora non c’è bisogno di scomodare il Diritto e il relativo latinorum  –  Affirmanti incubit probatio – o la filosofia o la teologia,  tutti ambiti nei quali ci  si sbatte a cercar argomenti – ovvero prove – semplicemente come metodo di ricerca ( toh!) della Verità. Basterebbe appellarsi al Rispetto per lettori o telespettatori  per chiedere un poco, ma solo un poco, in più di dignità professionale nello spargere pesanti illazioni.

Non sto qui a difendere  onlus o ministri – stuoli di avvocati probabilmente se ne incaricheranno – tanto meno  a fondare i miei giudizi sulla dietrologia e le congetture della visibilità o dell’incremento di vendite editoriali future ma la tutela  di un metodo che consente a chi si informa di scegliere per il meglio quando va a votare, proprio meriterebbe l’onere di una bella battaglia.

Io so ma non ho le prove è un’affermazione che poteva essere scritta da chi ne conosceva il peso e  avendo investito l’intera esistenza ad argomentare  con tutti i mezzi, sapeva di poter contare sulla Forza delle Cose che andava da sempre raccontando. C’era il Vero che ciascuno poteva toccare con mano in quel io so. Fango e gossip come Indicatori Fondamentali del dibattito politico erano, per quanto non fossero felici nemmeno quei tempi, di là da venire.

 

 

Nell’illustrazione :  Honoré Daumien Meeting of thirtyfive heads of expression .