Prima dell’avvio della settantesima Messa Solenne, Thierry Frémaux , qui sopra mentre presidia la montée, ha pubblicato per Grasset il bel libro Selection Officielle : tutto o quasi sulla dura vita del délégué général du Festival ovvero del plenipotenziario (lui dice di no) selezionatore di film da portare in Concorso, alla Semaine,alla Quinzaine, al Certain, al Cannes Classics e si presume anche alle proiezioni du Cinéma de la Plage
Se ne consiglia la lettura soprattutto ai delusi e ai sostenitori dell’inutilità dei festival – immancabili in tutte le edizioni – e non tanto perché l’impressionante mole di lavoro debba condizionare le pur indispensabili critiche ma semplicemente per ritrovare tra le pagine in questione le buone ragioni per cui i festival e i premi servono al Cinema più di quanto si possa pensare.
La mission si compie nell’arco di un anno in giro per il mondo alla ricerca del Meglio da inserire nei cartelloni : un occhio alla qualità, uno al mercato, uno alla sperimentazione, uno al glamour, uno alle cose mai viste, uno alle cose che se non le vedessi qui non le vedresti affatto : circa 1800 film, visione più visione meno, e ancora la scelta dei giurati dei, presidenti, dell’affiche, della maîtresse o maître de cérémonie, la programmazione degli eventi dei premi speciali e via dicendo.Una corvée da restarci secchi.
Lui invece niente, anzi in contemporanea trova il tempo di dirigere la Cinémathèque di Lione con relativo Festival Lumière ma soprattutto di dare i resti praticamente a tutti laddove per tutti s’intendono produttori, registi, attori, scrittori, agenti, direttori di festival concorrenti, partner televisivi, media, critici, Governo – che tutto paga – e quest’anno anche di riversare il precipitato di queste sue variegate diverse esperienze in un memoir di seicento pagine.
Infine, fresco come una rosa, ogni sera che il Festival manda in terra, si piazza in cima alla montée assieme al presidente Lescure e, impeccabile padrone di casa, bacia e abbraccia le star,i registi e i produttori in arrivo.
Resta inteso che azzeccare o meno le scelte dipende dalla sensibilità personale ma molto da quel che passa il convento ovvero la panoramica cinematografica mondiale e sotto questo aspetto, i temi e i modi creativi produttivi e distributivi ci sono stati praticamente tutti. Critiche e polemiche, dalla più sciocca sull’affiche modificata, alla più stucchevole su Netflix sterminatore delle magie da sala, all’inevitabile de profundis dei Festival quando non del Cinema tutto, non scalfiscono l’aplomb du délégué che in genere procede dritto e soave per la sua strada. Salvo prendere certe impuntature, tipo in questa stagione : non consentire per il futuro la presenza in concorso di film non destinati ad essere distribuiti nelle sale francesi.
“Comprensibilmente”, visto che in Francia la tassazione di scopo riguarda anche i biglietti una quota dei quali va direttamente a finanziare il Cinema, senza parlare dell’imprenditoriale aggressività dei potenti distributori francesi – il cielo ce li conservi – che in questa scelta discriminatoria avranno avuto di sicuro un ruolo non marginale.
Meno comprensibile invece è il credere che l’ostilità verso Netflix possa salvare il Cinema o peggio che un film in sala sia più film di uno visto su uno smartphone o sul televisore di casa. Quella dell’esperienza collettiva, del buio in sala, della bellezza del grande schermo – ammesso che nel frattempo ne sopravviva qualcuno – è un’altra storia e, se si vuole, vale la pena dell’impegno per una battaglia diversa che ha un senso solo se a favore degli spettatori.Cento milioni di abbonati sono in cerca di emozioni e qualità esattamente come gli spettatori col biglietto in tasca.
Da invenzione senza futuro a incarnare il futuro, il passo è stato breve (e meraviglioso). Sembra impossibile che gente di cinema possa, con lo sguardo rivolto al passato, farsi carico di una battaglia di retroguardia più somigliante a difendere che a costruirli i buoni ricordi.
(segue)