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Il banjo di Luke

Il banjo di Luke

 Cool Hand Luke valse a  George Kennedy, qui nella foto con Paul Newman, l’Oscar per miglior attore non protagonista. Paul dovrà invece aspettare il 1986 – Il colore dei soldi – per quel riconoscimento che alla fine, dopo tante attese, nemmeno ritirò personalmente. La stangata per esempio aveva vinto tutti gli Oscar possibili,  meno che quelli destinati agl’interpreti. 

Con grande commozione l’altra sera, Robert Redford a Cortona, lo ha ricordato.

Matthäus passion

Matthäus passion

Accattone

Il cinema spesso trasfigura i luoghi di cui si serve, li manipola, li imbellisce ( o imbruttisce ) li piega a diverse esigenze di sceneggiatura. Aggiunge o toglie, rende profondo un vicolo di pochi metri, fa sembrare maestoso un vialetto. Spesso visitare una location,dopo aver visto il film, provoca una specie di choc, tanto è incisiva la trasformazione che può operare la macchina da presa. Ho visto il Pigneto, la Maranella, la Borgata Gordiani , i prati dell’ Acqua Santa –  i luoghi di Accattone – qualche anno dopo l’uscita del film che è del 1961. I dialoghi, le espressioni idiomatiche, i toni, invece, li ho continuati a sentire  per parecchio tempo nelle conversazioni dei pischelli che nelle domeniche d’estate sciamavano per Ostia, al barcone del Ciriola  o nei bar. E qui in Trastevere, prima che l’esodo verso altre zone  della città e l’arrivo di nuovi inquilini, trasformasse i  linguaggi in uso nel quartiere . Ma per tornare al Pigneto, ancora negli anni 70, tutto, assolutamente tutto, era come Pasolini l’aveva mostrato : incredibilmente veri erano quegli  sterrati, quelle piazzette e il famoso bar con i tavolini . Unico elemento aggiuntivo, quantunque in armonia con i contesti, era la musica di Bach  – Matthäus passion –  un’inclusione ad imprimere sulla povertà degli abiti e sul volto dei personaggi, un’elevatezza di sentimento che il cinema italiano non conosceva dai tempi di Ossessione, Roma città aperta, Paisà I riferimenti del cinema di Pasolini sono  evidenti : Dreyer (Giovanna D’Arco, dirà , una norma di assoluta semplicità espressiva), Mizoguchi e  Rossellini . Accattone è personificato da Franco Citti che di un mondo reale, dolente – quello di Ragazzi di vita – è la piena e completa espressione. Intorno a lui tutto è Bellezza, non quella cinematografica con i suoi criteri convenzionali ed espressionistici ma quella che nei corpi magri, mortificati rinviene i tratti di un’angoscia irriscattabile. Così si snoda la parabola di un’attesa fatta di stazioni progressive che culminano nella sequenza del sogno e che infine  si risolvono nell’immagine  in cui Accattone contempla la propria morte. E in questi passaggi, i  fatti vengono scorticati con l’eleganza squisita dei primi piani – intensi angosciati e di durata spinta fino ai limiti del tollerabile – che prevaricano i campi lunghi: la frontalità che vince sulla discorsività . Il vero sull’artificio. E la meraviglia dei  bianchi sovraesposti e di quella luce romana che non perdona, contribuiscono alla sensazione di una sorta di mistero sacro. 

Metta metta Tonino/ il cinquanta, non abbia paura/ che la luce sfondi/ facciamo questo carrello contro natura!

 (Tonino è Tonino Delli Colli, direttore della fotografia in Accattone, Pasolini apprese da lui l’uso degli obiettivi ma poi a sua volta gliene andava spiegando la modulazione espressiva)

 La macchina è quasi sempre sul cavalletto, i carrelli sono brevi , la recitazione è quella barbarica delle voci prese dalla strada ( ma qualche necessario doppiatore lavorerà fianco a fianco con il vero interprete , in qualche modo sotto la sua guida ).Un uso minimale dello stile, una forma di severità, di austerità, di pauperismo visivo assai differente dalle modalità  del Pasolini scrittore. Ma se in una Vita Violenta s’intravede una soluzione eroica e civile dell’esistenza sottoproletaria, in Accattone è la disperazione allo stato puro e un incontrovertibile senso di deriva a padroneggiare la scena. La macchina da presa si deve piegare a quest’imperativo  e serve  a percorrere il campo dell’angoscia. E quell’angoscia viene risolta in una forma speciale, pittorica

Quello che io ho in testa come visione, come campo visivo, sono gli affreschi di Masaccio e Giotto – che sono i pittori che amo di più – assieme a certi manieristi ( per esempio il Pontorno). E non riesco a concepire immagini, paesaggi, composizioni di figure, al di fuori  di questa mia iniziale passione pittorica, trecentesca, che ha l’uomo come centro di ogni prospettiva.Quindi quando le mie immagini sono in movimento,sono in movimento un po’ come se l’obiettivo si muovesse su loro sopra un quadro;concepisco sempre il fondo come il fondo di un quadro,come uno scenario e per questo lo aggredisco sempre frontalmente 

Pier Paolo Pasolini  Mamma Roma  Milano 1962 pag 145

Questa pittoricità ci fa avvertire  i fondi e le figure del suo cinema come immobili e chiaroscurati. Ma ricacciati controluce o sprofondati nella luce bianca, quei fondi e quelle figure sono i segni di un linguaggio funebre.

 

Accattone è un film di Pier Paolo Pasolini. Con Franco Citti, Franca Pasut, Adriana Asti, Silvana Corsini, Paola Guidi, Sergio Citti, Alfredo Leggi, Mario Cipriani, Umberto Bevilacqua, Edgardo Siroli, Polidor. Genere Drammatico, b/n 120 minuti. – Produzione Italia 1961

Ma in Accattone  lavorano in piccole parti  anche  gli amici …Stefano D’Arrigo, Adele Cambria e un’indimenticabile Elsa Morante.

I was cured alright

I was cured alright

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Ad Arancia Meccanica che in questi giorni compie trentacinque anni. Al criminale Alex che non è peggiore del Ministro degli Interni e del Capo dell’Opposizione. Al Potere che rende accettabile la violenza istituzionalizzandola. Alla Cura Ludovico ovvero  Quando il Rimedio è peggiore del Male.

Il potere della macchina da presa (The touch of devil)

Il potere della macchina da presa (The touch of devil)

Orson welle563075929_8c53f6c143Un movimento di macchina girato tutto in una inquadratura,senza stacchi di montaggio, della durata di quattro minuti e trenta  che inizia con il dettaglio di un uomo che piazza una carica esplosiva sotto un’ automobile in sosta. Un signore anziano e una giovane donna vi salgono sopra  e la camera  segue ininterrottamente la macchina che attraversa vari isolati ,varca il confine ed esplode.L’intera sequenza sembra la realizzazioni di certe strategie narrative secondo le quali la tensione è data da alcune informazioni rilasciate esclusivamente allo spettatore (o al lettore).Rendere disponibili più informazioni di quante ne abbiano i personaggi è lo strumento più potente della suspense.Siamo noi gli unici in sala a sapere che sotto quella macchina c’è una bomba e siamo anche di fronte ad una sequenza superba che traccia in uno spazio virtualmente infinito, la traiettoria di un movimento ampio e maestoso che celebra il potere della macchina da presa di librarsi ovunque e di essere a qualsiasi distanza da tutto    : dal dettaglio iniziale del meccanismo ad orologeria, al totale che la macchina da presa  delinea al massimo della sua altezza da terra  incorniciando l’intera prospettiva della cittadina di confine.Orson welles21415281_4bf9bde1af

Un enorme soprabito grigio,l’ampia camicia bianca, le bretelle con l’attaccatura a ipsilon, la cravatta sciupata a piccoli rombi chiari su fondo scuro. E il bastone. E’ in questi panni che  Quinlan – Welles fa la sua apparizione nel film The touch of devil (L’infernale Quinlan) –  Una bellissima figura carnosa, greve, impastata di machiavellismo scriverà Italo Calvino. L’ingresso vale già da solo il capitolo di un romanzo,Welles  aveva lavorato sulla propria immagine con lo stesso accanimento che rivelerà ogni inquadratura. Questo film, una sorta di misterioso avamposto di disincanto,violenza e rammarico abissale, racconta di Hank Quinlan poliziotto che regna incontrastato in una zona di confine tra Stati Uniti e Messico fin quando un investigatore messicano, coinvolto accidentalmente in un’ indagine insieme a lui, non scoprirà che Hank, circondato dalla fama di avere un’ intuizione prodigiosa, ha l’abitudine di fabbricare prove false contro i suoi sospetti. Di qui l’ intreccio allusivo e sfuggente, una regia di straordinaria potenza drammatica supportata da angolazioni,montaggio ,illuminazione,scenografie mentre tutto concorre  a conferire ad ogni sequenza un’energia che stordisce .Ed è anche,fotogramma dopo fotogramma,  l’ agognato ritorno alla regia di Orson Welles che the Touch of devil racconta.

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La scena che Welles amava di più è quella dell’interrogatorio di Sanchez,il presunto colpevole, realizzata nello spazio angusto di un paio di camere.Spostando pareti mobili e studiando al millimetro la distanza di facce e corpi dalla macchina,disegnando minuziosamente la composizione dell’inquadratura ma soprattutto trascinando lo spettatore in una scena talmente dialogata che tutti gl’interpreti ricordano come un tour de force micidiale,il regista mette insieme una sequenza di grande tensione.E’ anche la scena che consente a Welles di enunciare uno dei più saldi principi dell’estetica cinematografica : i migliori movimenti di macchina sono quelli che non si vedono.La concitazione drammatica dalla quale veniamo presi,non ci consente di percepire la completa assenza di stacchi interni e tantomeno il continuo e vigile movimento della macchina da presa.

Orson quarto uomoQuando Orson Welles scrisse e diresse  The touch of Devil aveva quarantatrè anni.Il cinema racconta spesso di rapide ascese e violente cadute ma nella vita reale non è così frequente trovarne di repentine come quelle che dovette subire lui.Negli anni trenta aveva terrorizzato un’ intera nazione mettendo in scena alla radio La guerra dei mondi.Era divenuto l’intellettuale di punta del teatro americano e agli inizi degli anni quaranta, il cinema gli era stato offerto perchè ne facesse quel che voleva.Fu così che dal suo incredibile Talento nacquero film senza i quali il cinema sarebbe stato di sicuro diverso.Poi le cose andarono in maniera tale che poco meno di vent’anni dopo Citizen Kane, ritroviamo Welles nei sobborghi di Los Angeles con il copione di un noir in mano a girare di nuovo per un grande studio .Conosceva bene Shakespeare e aveva una certa  conoscenza dei mezzi di comunicazione, soprattutto aveva nelle corde l’arte della regia teatrale intesa come responsabilità e direzione degli attori e di tutto ciò che fa parte della scena quando ancora non era stata canonizzata dalla cultura contemporanea,se non da alcune frange dell’avanguardia.Eppure per buona parte della sua vita Welles sognò il cinema.L’occasione  si ripresenta con il ruolo di Quinlan truccato con abnormi borse sotto gli occhi,un enorme naso finto e un inedito taglio di capelli.Sceneggiatore ,regista e attore.Il giusto risarcimento per vent’anni di sofferta lontananza dal set.

A metterci nei guai…

A metterci nei guai…

Una scomoda verità

A metterci nei guai non è ciò che sappiamo ma ciò che pensiamo sia vero ed invece non lo è. (Mark Twain).

Le nuove tecnologie mescolate alle vecchie abitudini, rappresentano i termini del disastro per il pianeta la salvezza del quale, dovrebbe obbedire innanzitutto ad un imperativo morale.Questo il tema centrale dell’educational di Al Gore An Inconvenient Truth (tradotto in Italia con Una scomoda verità) e della giornata mondiale sull’emergenza climatica che si celebra oggi 7 luglio 2007.Noi disponiamo di  tutte le conoscenze necessarie per contrastare fenomeni che non sono irreversibili ma almeno per questa volta, non è la Politica a detenere  il Primato del cambiamento che può  partire da noi e dalle nostre capacità di mettere in atto comportamenti equilibrati in termini di utilizzo delle risorse.Una questione morale,appunto.Da assumersi in prima persona.