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Anno: 2009

Aye!

Aye!

L’anno si chiude con il novantaduenne senatore democratico della West Virginia Robert Byrd. Qui sopra lo vediamo all’opera, l’immagine è di qualche anno fa. Prima di Natale, esattamente nella notte tra il 21 e il 22 dicembre, nonostante fosse molto malato, è stato condotto al Congresso in carrozzella a pronunziare  un voto indispensabile per battere l’ostruzionismo repubblicano e  riportare la legge sulla Sanità alla Camera per l’approvazione.
Con buona pace  dell’avversario politico che,  nella persona di Tom Coburne, senatore dell’ Oklaoma, gli aveva pubblicamente  augurato di morire quella stessa notte, quand’è arrivato il suo turno, Mr Byrd ha alzato la mano in segno di vittoria esprimendo, forte e chiaro, il suo assenso :  Aye ! Ovvero :  Si!

Se oggi  il suo paese si trova alle soglie di un passaggio epocale, lo deve anche a lui, al suo entusiasmo e al suo spirito di servizio.
Robert Carlyle Byrd, col suo curriculum ricco e importante, sebbene  non privo di errori dei quali  ha dovuto dolorosamente fare ammenda, mi fa pensare a quante energie si sono spese nel corso degli ultimi cinquant’anni nel tentativo di  migliorare il nostro paese e allo sperpero in termini di entusiasmo e volontà di cambiamento in cui si è risolto tutto quell’intenso lavorìo.

Ma il tempo che stiamo perdendo – e che probabilmente ancora perderemo –  al palo di un eterno che fare o di sfibranti diatribe intestine, difficilmente potrà essere recuperato. Poiché come si può vedere anche in America, dopo una fase involutiva, nemmeno la volontà di cambiamento espressa con nettezza dal popolo attraverso un voto a dir poco rivoluzionario, riesce a sostenere una Riforma che è stata l’asse portante della Campagna dei democratici ma che , al dunque, passata di mediazione in negoziazione, molto ha perduto del suo spirito originario. Non è perfetta ma può migliorare, ha concluso Obama. Come dire : intanto incassiamo questa, mentre ci rimettiamo in marcia. Quasi li invidio. Per avere raggiunto un obiettivo e per avere uno scopo preciso da perseguire.

Alla fine, non rimane che augurare a noi stessi, anno o non anno nuovo, di riprendere  al più presto il cammino.

 

Ebenezer!!

Ebenezer!!

a-christmas-carol-2009-137190Delle cinquanta versioni televisive, più una ventina  per il cinema, questa è la più rivoluzionaria. Ma  – curiosamente – anche la più fedele a Dickens. Testo, spirito, ambientazione.
Nel corso del tempo, lo Scrooge più stilè  – e dunque poco credibile – fu  quello  interpretato da Michael  Caine. Meraviglioso egualmente, a patto di non pensare a Ebenezer.
Il più impeccabile,  zio Paperone
, perfettamente a suo agio  nel ruolo  del perfido usuraio, ovviamente affiancato dagli abitanti dell’intera Topolinia, ciascuno a vestire i panni più congeniali al proprio abituale personaggio . Mentre il palmares per la lettura più trucida del racconto, va senz’altro a Barbie che ha prestato il suo universo plastificato per l’immortale Barbie in a Christmas Carol .

Ma c’è modo e modo di ritagliarsi un posto d’onore a Cartoonia e questo di prendere attori veri, far infilare loro una tuta sintetica, dopo averli cosparsi di sensori, passerà alla storia. Cartoonizzati gl’interpreti, eliminato materialmente il set, non restano  che il disegno di una prodigiosa scenografia e la recitazione esaltata da una macchina da presa inesorabile nel catturare l’espressione fin nelle pieghe più segrete. Si può immaginare cosa succede tra cinepresa e attore se questi è Jim Carrey trasformista, mobilissimo e più indiavolato che mai.Un vero Ebenezer. Tanto paradossale e fuori dalle righe da mettere, a tratti,  in crisi la macchina , rivelando qualche magagna in una nuova tecnica che  probabilmente  ha ancora bisogno di essere affinata.Zemeckis dunque mette in piedi

un racconto gotico in cui Scrooge e i tre fantasmi sono interpretati, come è giusto, da un unico attore. Del resto un tragitto  di civile redenzione com’è nel Canto di Natale,  non può prescindere dai Mostri incalzanti di Passato e Presente che invariabilmente suggeriscono una visione drammatica del Futuro.
Per bambini abituati a disimpegnarsi con le differenze tra finzione e realtà, diversamente  l’elemento orrorifico, potenziato dal 3D, prevale con la sensazione di essere al centro dell’ incubo.
E poi per  tutti gli altri perchè ,sia ben chiaro,
Ebenezer – Chiuso controllato e solitario come un ‘ostrica siamo noi e l’universo di ingiustizia che lo circonda, cambiati alcuni dettagli, è ancora il nostro. Con differenti mostruosità e sempre meno speranza rispetto a Dickens. A Christmas Carol è un film di Robert Zemeckis del 2009, con Jim Carrey, Gary Oldman, Robin Wright Penn, Colin Firth, Cary Elwes, Bob Hoskins, Daryl Sabara, Sammi Hanratty, Fay Masterson, Molly C. Quinn. Prodotto in USA. Durata: 96 minuti. Disponibile in formato 3D. Distribuito in Italia da Walt Disney Studios Motion Pictures Italia

Mina & Bilal ( Welcome)

Mina & Bilal ( Welcome)

Con risultati alterni, qualche capolavoro ma anche diverse operazioni ambigue, melense quando non  ruffiane, il tema dell’immigrazione è oramai entrato a far parte della cinematografia di tutto il mondo.
Welcome del francese Loiret però è  un film diversissimo da tutti gli altri. A marcare la differenza una visione lucida – anzi ruvida –  sia degli  effetti devastanti di certe inutili leggi sull’immigrazione, sia del dispotismo di alcune tradizioni nella cultura musulmana dei matrimoni combinati e del non riconoscimento della libertà di scelta delle donne.
Ci troviamo a Calais, detta dai francesi  la frontiera messicana, dove la clandestinità è reato e dove vige il clima asfissiante del vero e proprio stato di polizia
Ma Calais è anche l’ ultima meta di un viaggio verso il Regno Unitoche dovrebbe offrire a Bilal, diciassettenne curdo, (presumibilmente ) un  futuro migliore ma soprattutto l’opportunità di raggiungere Mina, la ragazza che ama e che vorrebbe sottrarre appunto ad un matrimonio combinato.

Ma Bilal che s’è fatto quattromila chilometri a piedi per giungere fin lì,  non ha soldi da offrire ai contrabbandieri, ne’ documenti, tenta la sorte nascosto in un camion ma viene scoperto. Offrirgli ricovero o sostegno significa per gli abitanti del luogo rischiare la galera, per cui il ragazzo che sa appena stare a galla, decide per l’unica soluzione possibile : la traversata della manica a nuoto.


Perchè come tutti i poveri disgraziati che si ammassano a Calais o in qualunque altra zona di transito per Terre Promesse, pensa che tutto sia  meglio che la povertà, la guerra, l’essere escluso, criminalizzato, braccato. Tutto, possibilità di morire inclusa.
La storia ruota intorno all’incontro con Simon il maestro di nuoto anch’egli  bastonato,seppur per altri aspetti, dalla vita, che dovrà prepararlo alla traversata e al rapporto che a poco a poco nasce  tra i due. Ergo la denuncia pur evidente ed ineludibile,  non è che il sottofondo di questo incontro di solitudini.
Alla fine nulla si salva in questa vicenda in cui il lieto fine potrebbe anche non rivelarsi precisamente lieto. Niente dunque a parte la storia d’amore e determinazione di Bilal e il rapporto quasi paterno con Simon .
Un film solidamente orchestrato mentre si avvale di un linguaggio che se non è originale, stravolge egualmente l’ottica tradizionale con cui, anche con le migliori intenzioni,  guardiamo all’immigrazione.
Da portarci lo staff leghista al completo. Campione d’incassi in Francia dove il ministro per l’Immigrazione s’è innervosito parecchio. E ben gli sta.

Welcome è un film di Philippe Lioret del 2009, con Vincent Lindon, Firat Ayverdi, Audrey Dana, Derya Ayverdi, Olivier Rabourdin, Thierry Godard, Murat Subasi, Firat Celik, Selim Akgul, Yannick Renier. Prodotto in Francia. Durata: 110 minuti. Distribuito in Italia da Teodora

Qui non si baciano rospi ( e due)

Qui non si baciano rospi ( e due)

85-18-112-138_2009121715354Cinici – e imbecilli – sono quelli che inneggiano, quelli che pretendono di trarre dal gesto di un disperato, un teorema politico, coloro i quali pensanodi speculare sull’accadutoincastrando – tutte le occasioni sono buone – l’Opposizione, la Stampa e le solite trasmissioni televisive – sempre quelle – col ricatto della responsabilità nel determinare  il clima d’odio.
Non parliamo poi di quelli del se l’è cercata.
Ne’ di quelli che rivendicano il diritto di odiare.
  All’episodio in questione si possono applicare tutte le teorie possibili da quella  spicciola  – ed assurda – del nuovo terrorismo a  quella più sofisticata  – ed attendibile  – del doppio corpo del sovrano, ma il fatto acclarato è che ciascuna delle reazioni di cui sopra  è accomunata dalla medesima cifra antipolitica, non a caso indignazione e sostegno con o senza le avversative di cui tanto si  discute, vengono espressi per il tramite dello stesso tipo di linguaggio. C’è l’odio, l’amor (qui ) vincit ,il dolore che che s’immola e riscatta nonchè l’invidia. Categorie apparentemente prelevate dal bagaglio del  senso comune, espressioni immediate, comprensibili  ma che poco hanno a che vedere  con la politica. Un’involuzione  buona solo a trascinare l’attenzione altrove
In tutto ciò si avrebbe la pretesa di avviare il dialogo per le riforme ovvero con scadenze più ravvicinate, discutere di processi brevi, separazione delle carriere, obbligatorietà dell’azione penale, responsabilità dei giudici e, naturalmente, di restrizioni da applicare a cortei, internet e quant’altro.
Nel ridisegnare i nuovi assetti – quelli post deprecabile aggressione – mi pare che , riapertura dei manicomi a parte, non manchi proprio nulla, mentre le pretese di dettare le condizioni ai negoziati aumentano di giorno in giorno, in una sorta di corsa a regole da applicare ad un gioco che non c’è.
A meno di considerare gioco l’ottenimento dell’immunità – siamo del resto allo sfinimento e qualcuno comincia a pensare che sia il minore dei mali – o alla lunga ,l’ipotesi presidenzialista. Ma lì le regole dovrebbero essere altre e l’atteggiamento meno ricattatorio. Soprattutto più votato a legiferare per il Paese e non per uno solo.
Continuano tragicamente a non esserci rospi da baciare, quantunque feriti e offesi, sembrano più vitali e principeschi che pria.

Arabeschi

Arabeschi


Dieci inverni possono sembrare abbastanza per riconoscere un sentimento ma per i due protagonisti di questa storia,  si tratta di un arco tempo vissuto a distanza, la continuità semmai è in un filo che lega  gl’incontri casuali o in una corrispondenza intorno alla quale si costruiscono intimità e si dipanano equivoci. Ci si perde e ci si ritrova, poi si torna a perdersi,  in un tempo della relazione dilatato, mentre ciascuno vive proprie esperienze che, non a caso, restano fuori campo.

Una storia  di atti mancati e di reciproche paure, arabesco, più che percorso lineare o traiettoria,le cui evoluzioni o involuzioni, nonostante l’apparente  frammentarietà della vicenda, non determina mai intermittenza del sentimento.
Le cose, si sa, al di là dell’esemplificazione narrativa, vanno proprio così.

Tutti giovani in questo film , tutti efficaci ed incredibilmente maturi – attori perfetti, naturali e regista al suo promettente esordio, sceneggiatura impeccabile –  tutti abilissimi nello scantonare i rischi del raccontare una storia d’amore tra Venezia e Mosca, dall’andamento non convenzionale. Il cinema ne ha rappresentate migliaia.
Il banale, lo scontato ed il facile sentimentalismo. In agguato nella vita – magari assumendo più accattivanti definizioni –  figuriamoci in un film.
Un bell’esempio di cinema italiano.

 

Dieci inverni

è un film di Valerio Mieli del 2009, con Isabella Ragonese, Sergei Zhigunov, Michele Riondino, Glen Blackhall, Luca Avagliano, Liuba Zaizeva, Alice Torriani, Vinicio Capossela, Sergei Nikonenko. Prodotto in Italia, Russia. Durata: 99 minuti. Distribuito in Italia da Bolero Film