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Mese: Marzo 2009

Tutta colpa del Califfato

Tutta colpa del Califfato

Stamattina prima delle otto, Shinystat segnalava un insolito assembramento di visitatori provenienti dal Kuwait, dall’Arabia Saudita e dall’Egitto. Una decina circa. Chissà cosa li ha spinti fin qui ( spero non la speranza del Califfato Mondiale magari suggerita dal post precedente). Singolare coincidenza che ciò sia avvenuto il giorno otto di marzo e da un paio di sedi governative, impiegati a zonzo per il web di sicuro, ai quali,  già che ci sono,  insieme al benvenuto, porgerei volentieri la raccomandazione di tenere in gran conto le loro concittadine.

Ciò detto a me la Festa piace. Con o senza fiori e indipendentemente dal primo cittadino che – ricordiamolo – è pro – tempore, mentre  noi un po’ di meno.

 Quel che è stato conquistato dall’incendio della Fabbrica fino a oggi, sfidando infinite difficoltà, non è mai stato invano e merita di essere ricordato con ogni riguardo. Sia questo l’incoraggiamento per il tanto che c’è ancora da fare.

Nell’immagine, le attrici del film Due partite  tratte dal bel lavoro teatrale di Cristina Comencini. Un minuscolo omaggio a tutte le  giocatrici di canasta, poker, chemin e briscola della mia famiglia che nel corso del tempo, hanno lavorato per consentire a me  di essere quella che sono

Sei l'urtima rimasta …devi esse quella giusta

Sei l'urtima rimasta …devi esse quella giusta

A Franco Califano maestro di vita e di poesia autore di versi alati del tipo la macchina a lavare ed era ora/ decidi di far colpo quella sera, sul tedio e l’inevitabile  consunzione delle relazioni amorose, oppure Pasquale l’infermiere, m’hai capito/ quello che j’amancava mezzo dito, sul dubbio di paternità al cospetto della compagna friccicarella, la Giunta Capitolina ha affidato la celebrazione ufficiale dell’8 marzo. Concerto Recital al Parco della Caffarella.

Il sindaco deve aver pensato bene di ricorrere ad un artista organico che oltretutto di donne se ne intende, visto che  ieri l’altro a Roma 3, Facoltà di Giurisprudenza,  mentre era ospite di Azione Universitaria, lo stesso Califano – detto Er Califfo  qualora non fossero chiare le inclinazioni –  ha sgranato il consueto rosario:  
Quante donne? Da 1600 a 1700.
Le femministe mi danno del maschilista? Cazzi loro.
Le donne abbondanti sono meglio di quelle risicate .E un filo di cellulite fa libidine.

Contenti loro. Resta il dubbio del possibile ambito culturale o accademico in cui si è svolta una simile conferenza, ma stai a guardà il capello, come è stato pure spiegato, nel corso dell’iniziativa: basta col nozionismo, l’Università come Palestra di Vita, evviva la Poesia.( tutto maiuscolo)

Evviva. Anche se l’aula di Diritto Penale sembra la meno adatta a tenere a battesimo la Nuova Didattica. Non nozionistica bensì Poetica. Mancavano solo  le pallette colorate dell’incursione futurista e il repertorio si sarebbe potuto dire completo.

Sull’8 marzo i dubbi si moltiplicherebbero pure, ma arriva sempre il momento in cui si rimane senza parole. Oppure come dice Michele Serra oggi su Repubblica, meno male che c’è Alemanno che ci tiene allegri con le sue trovate.

Per questo chi non vuole che la festa sia mortificata con la solita paccottiglia xenofobico – securitaria, c’è il corteo del 7 marzo ore 15 dal Colosseo a Campo de’ Fiori, promosso dall’assemblea cittadina delle donne di venerdì 20 Febbraio 2009 cioè da AFFI e Casa Internazionale delle Donne  

A ognuno i propri percorsi. A cominciare dalla toponomastica.

Se ci faceva impressione istituzionalizzare la giornata col Centro Sinistra, figuriamoci con la Destra. Se non li conoscete…etc etc. E noi di Roma li conosciamo molto bene.

La foto l’ha scattata Pennarossa e loro sono le donne della Casa Internazionale di Roma

Nel titolo un verso – tra i più raffinati – della canzone del maestro di vita e poesia titolata – bontà sua – " me nnamoro de te"

Beautiful freak

Beautiful freak


 

 

Il curriculum da autentico bastardo c’è tutto, a partire  dall’eloquio  – quello di Mickey Rourke che poi premeditatamente è anche quello di Randy  “The Ram” Robinson,  i fuck fuckin, bitch, shit si sprecano,  senza contare l’abuso dell’ epiteto frocio in ogni sua sfumatura, roba da far sembrare il classico faggot espressione da signorinelle pallide. Poi c’è il resto della dotazione :  violenze, eccessi, tre arresti, alcol, droghe, fumo legale – Camel senza filtro, per la precisione – qualche film sbagliato,  dieci anni buoni di psicoanalisi.

Guai però a bollare i suoi fallimenti come caduta agli inferi o infiorettare di definizioni le interviste il ritorno di….o il rifritto solo chi cade può risorgere. S’incazza come una belva e risponde per le rime, preferendo il più tecnico autodistruzione a qualunque altro suggestivo giochicchiare con le parole.

E del resto non gli si può dar torto, come dice lui, si ritorna dal bagno o dal bar con un panino in  mano, non da un’esperienza devastante oppure a proposito di looser – un termine ricorrente nel film ma anche quando si allude alla sua personale vicenda  – tiene a precisare che da boxeur non è mai andato al tappeto ( sei vittorie e due pareggi) e che pertanto non gradisce che nessuno dei suoi trascorsi sia sintetizzato in una parola sola o con una formuletta idiota.

Ma…troppo “figlio di puttana” per essere vero. Con troppo carattere ed un’ emotività così scoperta da non consentirgli di passare attraverso il tritatutto indenne. Mickey Rourke è quel che si vede : un’anima scorticata.

 Era il migliore, il più desiderato, il più bello tra gli attori della sua generazione. Da vero irlandese si rifiutò di pronunciare una battuta scema contro l’esercito repubblicano , Hollywood lo estromise. Certo non fu per questo che riempì di botte sua moglie, ma tanto per dire che certi guai non hanno quasi mai una sola origine.

Ma poi dove sta scritto che un autentico sex symbol debba attraversare gli anni e le vicissitudini senza una cicatrice,  un segno del tempo con l’aria pulitina di un Cary Grant. Invecchiato bene – si dice – Ecco appunto.

Rourke invece è sfatto, maciullato e ricucito – ma sguardo incredibilmente magnetico, sotto le palpebre gonfie –  e come appare oggi, rappresenta perfettamente la sua storia che in parte è anche quella del film : The Wrestler, Leone d’oro a Venezia, ad illuminare il Lido, un po’ mesto nella scorsa stagione.  

Randy “The Ram” Robinson, un ex  campione  di wrestler, idolo delle folle costretto da un infarto all’inattività, in cerca di un riscatto che può ottenere nell’unico modo che sa : tornare a combattere.

Dietro il suo letto c’è la bandiera a stelle e strisce, nel suo cuore l’heavy metal del Guns and Roses – Bet’chr ass man, Guns N’ Roses! Rules –  e degli Ac/Dc, il decennio  di Reagan e della potenza americana –  Then that Cobain pussy had to come around & ruin it all – cui Clinton e quel frocetto di Cobain misero fine. The fuckin’ 90th. In una parola

Si esibirà  contro il campione iraniano, l’Ayatollah. Bandiera nemica – tutto un programma –  sventola sul quadrato contro il grido che sale dalla platea: Usa, Usa, Usa.

 

 

I just want to say to you all tonight I’m very grateful to be here. A lot of people told me that I’d never wrestle again and that’s all I do. You know, if you live hard and play hard and you burn the candle at both ends, you pay the price for it. You know in this life you can loose everything you love, everything that loves you. Now I don’t hear as good as I used to and I forget stuff and I aint as pretty as I used to be but god damn it I’m still standing here and I’m The Ram. As times goes by, as times goes by, they say “he’s washed up”, “he’s finished” , “he’s a loser”, “he’s all through”. You know what? The only one that’s going to tell me when I’m through doing my thing is you people here.

Darren Aronofsky gli ha cucito il ruolo addosso, il suo sguardo di regista eccentrico col vezzo di cambiare ogni volta genere, è amorevole, pietoso nel seguire il tentativo di risalire la china di Randy “The Ram”. La fine, l’unica possibile,  è arcinota.

The Wrestler è un film di Darren Aronofsky. Con Mickey Rourke, Marisa Tomei, Evan Rachel Wood, Mark Margolis, Todd Barry Drammatico, durata 109 min. – USA 2008. – Lucky Red

 

 

 

 

 

Omaggio al premierato forte

Omaggio al premierato forte

BARBIE Merkel

Ne ha fatta di strada, in cinquant’anni,  la pupattola superaccessoriata – ville, piscine, fidanzati aitanti e mascelluti, vacanze a Malibù o ad Aspen, interi centri commerciali ai sui piedi(ni),  armadi, scarpiere e forzieri straripanti d’improponibili toilettes –  una vita da ricca casalinga, solo di recente convertita al lavoro, cioè – non sia mai ! -alla professione sgomitante, come da computer portatile e cartella in cuoio, incluse nella fantasmagorica confezione. Barbie in carriera

Ma non contenta, eccola di nuovo pronta per l’ennesima trasformazione. Terzo millennio :  Non osa ancora  mettersi a capo  di una Repubblica presidenziale ma si avvicina con  passi rapidi alla meta . Barbie Honour nel cinquantennale della sua nascita, festeggia la donna politicamente più prestigiosa dell’Occidente : la cancelliera tedesca Angela Merkel, riconoscibile dal tailleur scuro e dal taglio dei capelli svelto e severo rispetto agli abituali standard biondo-boccoluti della Barbie classica. Sembra più Hillary, a dire il vero,  ma non fa niente. L’importante è il messaggio . Non più scettro monarchico ma leggio repubblicano in perspex. Si è perso in fantasia e un po’ in bellezza ma si guadagna in realistica sobrietà. E in potere. Lamentarsene sarebbe inopportuno

Quei loro ( improbabili ) incontri

Quei loro ( improbabili ) incontri

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Più generosi con Ex con  Italians e in qualche caso addirittura con Questo piccolo grande amore, i critici hanno maltrattato, quando non  snobbato, questa rentrée di Giuseppe Piccioni dopo dieci anni  di assenza – ma solo dagli schermi, non certo dal dibattito sul cinema –  Il pretesto un po’ abusato, è la ripetizione ossessiva dei temi cari al regista, peraltro bravissimo a raccontare con particolare sensibilità ogni segreta sfumatura  di certi improbabili incontri, dal senso d’inadeguatezza, alla solitudine, allo spaesamento tipici  di  coppie che definiremmo  sbrigativamente malassortite – suore e tintori, cassiere dei  negozi di surgelati e autisti con la passione dei libri di fantascienza o come in questo caso, scrittori e detenute in libertà vigilata – ma che altro non sono se non l’esemplificazione  delle Affinità – altro che elettive – Impossibili. Come se in vita nostra, si parlasse, ci si dibattesse o si soffrisse per qualcosa di diverso.

Quale migliore occasione, dunque, per risolvere tutta questa cospicua materia attraverso la scorciatoia furbesca dell’amour fou ? O dell’amor vincit?  E invece niente. Nel cinema di Piccioni, va come va nella vita, tutto sfuma malinconicamente nell’Inespresso. Di qui probabilmente la delusione di molti, in questo rimanere in sospeso della storia, nel non  naturale epilogo (che poi naturale non è affatto).

Golino, Mastandrea, Bergamasco e Degli Esposti –  non lo dico più – perfetti e a loro agio (o disagio, a seconda). Colonna sonora all’altezza : tutti stracitano i Baustelle ma la vera perla è J’entends siffler le train nell’unica interpretazione  che  restituisce tutta la nostalgia e la tristezza del testo originale :  quella di Richard Anthony

J’ai pensé qu’il valait mieux
nous quitter sans un adieu
je n’aurais pas eu le coeur de te revoir
mais j’entends siffler le train
quec’est triste un train qui siffle dans le soir


 

 

Giulia non esce la sera, è un film di Giuseppe Piccioni. Con Valerio Mastandrea, Valeria Golino, Sonia Bergamasco, Domiziana Cardinali, Jacopo Domenicucci Drammatico, durata 105 min. – Italia 2008. – 01 Distribution