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Categoria: Regionali 2010

Mal francese

Mal francese

…cioè  la disaffezione al voto, in progressivo aumento , il dato che  da una quindicina d’anni a questa parte è presente in tutte le consultazioni. e che preoccupa i politici nel lasso di tempo che va dal conteggio dei votanti, all’uscita delle prime proiezioni : diciamo per un’oretta.

Eppure dietro la scelta di non scegliere spesso c’è la disillusione tutta concreta e dunque tutta politica per questi ultimi quindici anni in cui nessuna riforma è stata messa in cantiere, non un centesimo di tasse è stato risparmiato al contribuente attraverso la formulazione di un sistema più equo , non una riforma della Giustizia o della Politica è stata messa a punto. Dunque 15 anni sprecati  durante i quali all’impoverimento del dibattito pubblico s’è accompagnato, non a caso, un clima di generale imbarbarimento della società.

Bisognerebbe dedicare al fenomeno del non voto  più attenzione di quella che normalmente si rivolge ai transfughi verso i partiti e raggruppamenti che via via  sembrano assorbire meglio il malcontento. Molti dei consensi di un tempo sono finiti nel calderone dei silenti, le ragioni dei quali sarebbe tempo di ascoltare.

Ciò detto, non condivido il metodo delle mezze ammissioni, in questo caso, di debacle. Si certo, aggregando i voti e confrontando i dati con quelli delle tornate elettorali che convengono di più, può anche risultare che non siamo – e vedi un po’ – al tracollo ma a raccontarsela meglio cosa ci si guadagna?

Ne’ l’erosione dei consensi al PDL può attenuare il senso di sconfitta. La Lega avanza con tutto quel che significa in termini di mutazione degli scenari e dei rapporti di forza all’interno del centro destra, Berlusconi, pur declinante, è ancora in grado di compiere miracoli, senza contare il fatto che a sinistra, lo zoccolo duro dell’Italia centrale comincia a dare significativi segnali di cedimento. Il centro-sinistra perde due regioni.

Cosa s’intende fare?

Tornano utili, a questo punto, i nostri compagni ed amici francesi ma non per suggerire modelli – chè quanto a futuro non hanno le idee troppo chiare nemmeno loro –   ma perchè chiamano, non a torto,  incubo italiano quella ricerca spasmodica ed oscillante  di alleanze, il criterio guida del quale risulta essere, almeno fin qui,  il semplice calcolo matematico.

Incubo e persecuzione, poichè a parte l’ovvio redde rationem  interno, vedo che si continua  a dibattere di alleanze sin dopo il voto. Magari prima d’incoronare i prescelti  – Casini ? – Vendola? – Di Pietro? Tutti insieme e non se ne parli più ? – sarà  il caso di definire con chiarezza che idea di società ci prefiguriamo e quali le riforme che riteniamo prioritarie.

Sarà pure una questione personale – trovo molesta ed oziosa la sola idea di dibattere teoricamente di allenze senza darsi obiettivi, ne’ sapere che progetto offrire ai possibili  alleati – ma non se ne può più di rincorrere ogni diatriba riguardante futuri matrimoni.

Se si accantona momentaneamente l’idea del vincere come ossessione unica e riconoscibile – poi si vedono i risultati di tanta agitazione –  si aprono ampi spazi per elaborare il tema non meno affascinante del governare.Gli elettori, in genere  vogliono sapere come prima che  con chi. Non che in merito non si abbiano idee o esperienze positive di riferirimento ma chissà perchè, prevale una sorta di resistenza a far interagire questo patrimonio con la campagna elettorale. E non si tratta – solo – di difetto di comunicazione.

Ciò detto, auguriamo a noi stessi la buona sorte sul tragitto della ricostruzione e pur nelle difficoltà più volte ricordate, adoperiamoci per sostenere un’Opposizione incisiva e visibile.

O così o i bei progetti sopra ricordati rimarranno nel libro dei sogni.E qui c’è assai poco da sognare.Quando va male per la sinistra, non va bene per il Paese. Non uno slogan consolatorio : è un fatto.


Rai sempre

Rai sempre

Una risposta era d’obbligo e c’è stata, convinta, partecipata ed energica. Necessaria .

Ma i sacrosanti motivi,  la generosa  mobilitazione, la Rete, i canali satellitari e quelli digitali non sono stati  comunque sufficienti ad impedire la messa in onda di una brutta trasmissione. Rai per una notte. Ambigua già nel titolo.

Poi sfilacciata nel racconto, affidato alla solita compagine degli esclusi ed esiliati oramai di professione.

Ma soprattutto incapace di mettere a tema l’agente principale : l’Oscuramento delle trasmissioni come parte del Disegno più elaborato di manipolazione della realtà. Diversamente, l’oltraggio alla libertà di parola si ridurrebbe, come poi è stato, alla rappresentazione del bavaglio di uno o più professionisti del racconto .Invece è tanto di più.

Certo il montaggio può alludere alla dittatura – che vera e propria dittatura non è – o l’intervista evidenziare la ricetta del Maestro Monicelli : la rivoluzione – anche se pure quella, vera e propria rivoluzione non è – ma poi in questo ondivagare interrotto dal musicista o dal comico che ripropone l’ennesima metafora del potere che sodomizza , ai cassintegrati non si può affidare solo il ruolo dei figuranti.

Semplicemente perchè sono loro l’elemento rivelatore e dissonante rispetto alla Versione Ufficiale, da oscurare, loro più delle intercettazioni, chè tanto si sa, nel clima di generale assuefazione, anche un’odiosa ingerenza viene percepita come normale esercizio del potere.E poi c’è sempre l’Onnipresente che va trasmissione per trasmissione a spiegare che l’arroganza era, in quel caso, doverosa.

Le manifestazioni politiche di tipo consolatorio servono a rinserrare i ranghi, a ritrovarsi – c’è bisogno anche di quello, beninteso –  ma incidono poco.Tutti sul satellite o in Rete a vivere l’estremo paradosso del contribuente costretto a rivolgersi altrove per l’esercizio di un diritto. C’è poco da entusiasmarsi.

Io vado avanti nel rispetto del mio lavoro e sapendo che potrebbero anche volermi licenziare ha detto Corradino Mineo al culmine di una giornata di fitto carteggio, come si dice in questi casi,  volto a vincere le resistenze dei vertici aziendali.Questa manifestazione ha il diritto di essere mostrata e noi la mostreremo come abbiamo fatto per la manifestazione del PDL in piazza San Giovanni ( della cui trasmissione nessun vertice si è lamentato)

Mettici una pezza. Per ora il primo round se l’è aggiudicato lui . Vedremo poi. Nelle more sia lode a Mineo. Il titolo di questo post è parte di una sua brillante citazione.


C’è un giudice a Milano

C’è un giudice a Milano

Ad un certo punto – tra incastri di scadenze, liste, listini, ricorsi, bocciature, riammissioni –  ho perso il filo. Poi all’idea già di per sè balzana, di una competizione senza l’avversario principale,  s’è aggiunto l’incubo delle assemblee regionali che sarebbero potute uscire dalle urne, se l’elettore di centro destra, non trovando altra possibile collocazione, fosse stato costretto a votare quel che c’era.

Infine – qualsiasi fosse il risultato finale – quella di consigliature la cui credibilità sarebbe stata messa in discussione giorno dopo giorno per cinque anni. Altro che vincere – o perdere – facile. E altro che ingovernabilità.

Questo sarebbe uno di quei classici casi in cui l’idea che la decisione finale su regole e regolamenti spetti ad un Tribunale e la decisione eventualmente politica a Governo e Opposizione magari in accordo, benedicente il Capo dello Stato, dovrebbe rasserenare.

E invece non se ne parla.Il giudice nella migliore delle ipotesi è un talebano che favorisce certe liste a scapito di certe altre – m’è capitato sin di leggere che in Corte d’Appello  di questi tempi soffrono di pruriti legalitari – il vittimismo, cospicua rendita di questo governo, dilaga, quanto al dialogo con l’Opposizione o il ricorso al Garante più che minacce all’una e gran tirate per la manica all’altro, non si è visto.

Ammettere gli – evidenti – errori? Jamais.

Così può capitare che nottetempo si ritenga di stiracchiare un – come ti sbagli – decreto interpretativo per sostenere i giudici nella difficile scelta di riammettere o meno liste ritardatarie o con  firme senza bolli o apposte a matita nonchè tutto il resto del corredo degli strafalcioni. Non che sia una materia poi così complicata da scomodare  un Consiglio dei Ministri, ma insomma così il giudice può decidere più agevolmente.

Perchè prima no? Se il decreto non introduce – ne’ potrebbe – novità, perchè mai il magistrato dovrebbe aver bisogno di questo prontuario – decreto – imbeccata ?

Inutile, l’indipendenza della magistratura è come il fumo agli occhi per certuni che fingono  gran dibattiti tra forma e sostanza ma che semplicemente non intendono un concetto elementare e cioè che la democrazia senza veste giuridica è una scatola vuota, mentre la volontà popolare che non si esprime nei modi previsti, facilmente sconfina nell’indeterminatezza del populismo. Le regole, per quanto imperfette, invece garantiscono tutti.

C’è ancora un giudice a Milano. Scienza e coscienza, non ha bisogno d’altro. Deciderà per il bene di tutti.Io ci credo.

Liste del fare ( tardi e male)

Liste del fare ( tardi e male)

Renata Polverini ora somiglia più che mai al Manlio di Caterina va in città, il sottosegretario PDL, ripulito, ex missino di Latina, perseguitato, più che attorniato, da una schiera d’impresentabili ed imbarazzanti camerati, tutti nostalgia e saluti romani. Claudio Amendola ne era – conoscendo i suoi polli  – il perfetto interprete e Paolo Virzì,acuto come sempre, il regista.

Nelle maratone oratorie di queste ore, Polverini si sbraccia, ansima e s’appella alle Massime Cariche, mentre sa benissimo che il problema non sono ne’ quegli sciattoni dei presentatori , ne’ la burocrazia che ammazza la democrazia – nuovissimo slogan – ne’ la forma contrapposta alla sostanza.

Le tocca l’amaro calice della faida interna materializzatasi in boicottaggio. Forse il TAR avrebbe potuto accettare una particolare interpretazione del regolamento e riammettere il PDL ritardatario ma nel frattempo le è saltato anche il listino. Allo stato Renata Polverini non sarebbe nemmeno in corsa.

L’avrei potuta apprezzare come avversaria della Bonino se avesse mantenuto la promessa di essere l’esponente di un’altra destra, ma dietro di lei si agitano immutati i soliti scenari romani  con i vecchi  arnesi di sempre. Che vuol dire essere a capo di una coalizione se poi non si riesce a mettere ordine nelle candidature e negli appetiti connessi?  Renata Polverini non è che è l’ornamento di un bel guazzabuglio di interessi e di persone, come s’è visto, disposte a tutto pur di far  prevalere il proprio particolare o quello della propria bottega.

E’ questo il valore aggiunto che ci aspettiamo dalla presenza femminile in politica?

Al momento non vedo vie d’uscita di carattere tecnico ne’ riesco a dispiacermene, per quello che fin qui è stata la sua campagna elettorale e per il modo con il quale si è resa immediatamente interprete delle schiamazzanti argomentazioni della destra circa il rispetto delle regole, Renata Polverini meriterebbe di tornare a casa anche senza il concorso degli elettori.