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Right or wrong my country

Right or wrong my country

Essendo il G8 superato dal G20, tutte le chiacchiere sul clima, sulla crisi , sulla centralità della persona e del lavoro, sul protezionismo – ma non avevano già detto di   no? – sui paradisi fiscali – ma non avevano già stilato la nota mondiale, bianca grigia o nera a seconda della condiscendenza di quei paesi? – e sull’Africa, lasciano il tempo che trovano.

Siamo dunque al cospetto di generiche dichiarazioni , studiate apposta per mettere d’accordo più o meno tutti,  salvo che quell’intenso lavorio spesso nemmeno basta a strappare il placet di qualche paese in irresistibile ascesa – Cina ed India, per esempio – che si guarda bene dall’impegnarsi entro il 2050 a ridurre le emissioni  per la quota stabilita ( ridicola in verità).

In tutto questo è facile concludere come queste iniziative siano occasioni d’incontro ma sostanzialmente megaspot per i paesi che vi partecipano. Inutili alla fine anche se tutti convengono che è meglio esserci.

Anche my country è fortemente impegnato a rifarsi la faccia dopo le ultime incresciose vicende, ma la perdita di credibilità prescinde dal sapere o meno organizzare l’agenda dei lavori. Dopo un decennio di deriva economica, il nostro peso specifico all’interno di questi consessi è pressocchè nullo, e il nostro paese non risponde più ai requisiti per partecipare al summit.

Ce lo ricorda The Guardian, che risponde a Silvio Berlusconi, passando dalle semplici ipotesi ai fatti : Indice di libertà economica ? Siamo al 76° posto. Trasparenza? Al 55°. Non parliamo poi dei nostri politici considerati meno affidabili di quelli  pakistani, senegalesi e bielorussi. La lista è lunga e ogni voce è un dito nella piaga : scuola, donne, giustizia. Ce n’è per tutti i gusti.

Poi arriva la ciliegina sulla torta, tutta dedicata allo sbandierato consenso del Premier  : Il leader è inadatto ma gl’italiani che se lo tengono invece di mandarlo a casa, evidentemente sono adatti al loro leader. Bingo. 

In presenza di consessi internazionali si possono tenere i toni bassi quanto si vuole ma credo che non basti, la nostra reputazione – che è altro dal fare bella figura – sembra comunque compromessa. E anche se è chiaro che non di tutto lo sfracello ha colpa il premier, è altrettanto chiaro che non sarà certo lui a tirarci fuori dall’impasse.

Per questo suonano stonate e goffe le accaldate colazioni per signore in cui, lustrati gli ottoni e appuntato qualche festone,  assieme alla non-carbonara dello chef di grido,  alle gentili ospiti vengono somministrate anche le non politiche sociali e d’integrazione della città di Roma. C’erano una volta e adesso non ci sono più. Salvo poi correre ai microfoni per celebrare l’eleganza e le affinità elettive con la first lady americana. Eccome no : tel quel.

 A vederle tutte quante in fila, Carfagna Gelmini e Rauti in Alemanno – tre campionesse delle pari opportunità, della tolleranza e della fedeltà al capo –  ieri veniva in mente una cosa sola : che per rimpiazzare una first lady ci si sono messe in tre. E la modestia del risultato, non è valsa la fatica.

Nell’illustrazione gli attivisti  dell’organizzazione umanitaria Oxfam indossano le maschere dei leaders mondiali. La performance, nel praticello davanti al tempio di Giano Bifronte è stata di grande impatto e la messa in scena molto ben fatta

La supercazzola (mamma, m’ero persa lo schema)

La supercazzola (mamma, m’ero persa lo schema)

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L’intervista è un capolavoro da capo a piè, dunque  vale la pena di leggersela tutta. Ma il punto in cui Mavalà, supera se stesso nella nobile arte  di dire assolutamente  nulla – eccettuate un paio di castronerie di natura tecnico giuridica, come sosterrebbe lui con il sussiego che il caso richiede  – è il seguente :
Scusi, avvocato, ma come le è venuto in mente di parlare di «utilizzatore finale» quando c’è  di mezzo una donna?

 

Il termine ‘utilizzatore finale’ era riferito a una domanda di natu­ra tecnico giuridica. Il codice utiliz­za in materia varie dizioni — tra cui prostituzione, pornografia, ma­teriale pornografico — tutte conno­tate da disvalore giuridico e riferite a norme che distinguono con gran­de chiarezza diverse responsabili­tà. Ecco, si trattava dell’esemplifica­zione di uno schema giuridico.
Ecco.
Resta inteso che la domanda di natura tecnico-giuridica era semplicemente se Berlusconi fosse innocente o colpevole e che il resto è aria fritta, fumo negli occhi, cavoli a merenda. Lo schema giuridico è servito. Mavalà, mavalà, mavalà….insomma.

 

Tu nun canusce ‘e ffemmene

Tu nun canusce ‘e ffemmene

Palazzo Grazioli 0840

Giuliano Ferrara almeno in una cosa ha ragione :  affidare la propria difesa al quadrangolare  amici – alleati –  legali – dipendenti,
è stato da parte del premier  una imperdonabile leggerezza. Un po’ perchè un personaggio istituzionalmente rappresentativo certe faccende le sbriga in prima persona – dov’è finito il rapporto privilegiato- col- popolo-offresi-no- intermediari? –  un po’ perchè il teorema Mavalà – cadute di stile a parte – presenta qualche crepa.

Per  eccesso di congettura, vedi l’interpretazione in chiave Rossella – il premier non ha bisogno di pagare –  insomma come dire : tutte si sentirebbero onorate – sia quando il taglio Mavalà, diventa, ma solo apparentemente, un po’ troppo forense – il premier non sarebbe penalmente perseguibile anche nel caso che la sua accusatrice dicesse il vero –

Resta inteso che nessun legale avveduto metterebbe le mani avanti in questo modo.

In entrambe le circostanze, nell’ansia di negare un addebito se ne suggeriscono altri, ovvero il quadro di conduzione diciamo spensierata – tra pizza e champagne, divani, voli di stato e motoscafi scortati dai carabinieri – dell’ esistenza del Presidente, non viene minimamente scalfito. 

Che poi a ben vedere è quel che conta. E laddove, sotto qualsiasi costellazione tranne quelle dittatoriali, all’uomo di governo viene richiesta sobrietà, qui tutti coloro  che sono impegnati nella difesa strenua dell’innocenza del cavaliere, in realtà non fanno altro che confermarne lo stile di vita, diciamo sopra le righe. Che male c’è a circondarsi di gente giovane?

Non è stravagante vedere personaggi che delle strategie comunicative hanno fatto la ragion d’essere di questa politica, annaspare in uno spericolato gioco da caduta dei gravi  : più giustificano, minimizzano, argomentano e peggio è? 

Ma la più grossa la raccontano – uomini di mondo, fini conoscitori dell’animo femminile, intellettuali organici, direttori editoriali e via dicendo –   quando alludono alla donna origine di questa nuova tornata di scandali.

C’è una cosa che non capi­sco: come sia possibile che a una donna va­da bene il passare per sempre come quella dei mille più mille, cena e dopocena…d’ora in avanti chiunque parlerà di lei, sarà su quello. Devono averla pagata parecchio. Insinua Carlo Rossella in un intervista al Corriere

Eccome no. Prima le paghiamo, anche per partecipare ad una cena e poi ci lamentiamo di quanto siano mercenarie, corruttibili e ispiratrici di grandi complotti.

Ovviamente qui sfugge completamente la portata di un movente fondamentale  : la consapevolezza, di essere stata usata oltre il consentito e senza adeguata contropartita.

Nella testa di questa signora sono venuti meno i termini di un accordo che la vedeva merce di scambio. Alla luce dello stravolgimento in atto di valori, rapporti, usi e costumi,  come darle torto ? Sarà mica lei l’inventrice di questa nuova cultura?

Vendetta? Anche. Ma quello casomai è un effetto. La causa è soprattutto l’orgoglio ferito. E di quello ognuno ha un personale concetto. Non solo la letteratura pullula di donne che per rivalsa arrivano a distruggere se stesse.

Qui si tratta di molto meno, tutto sommato.

Ma come si fa a mettere a repentaglio il proprio ruolo istituzionale  di custode di segreti di ogni fatta, con tale leggerezza? Problema centrale diventa quello della ricattabilità del premier. Non si scappa.

Ad ogni nuovo passaggio, rivelazione, intervista, tornano in mente  parola dopo parola, le dichiarazioni di Miriam Bartolini, la moglie offesa in altra dignità cui si deve l’apertura di questa crisi.

Tutto quadra dunque, ben oltre Noemi. Difficile far passare il Presidente del Consiglio come un ingenuo farfallone in balia delle virago approfittatrici. Anche questa, nel caso,  sarebbe letteratura. E non delle migliori.

Nell’illustrazione : bandiera su Palazzo Grazioli di Dave Coombs

 

Tacchi & Ritocchi

Tacchi & Ritocchi

C’è bisogno di rivoluzione femminile nel mondo, costruita su una rivoluzione culturale

Ha detto Gheddafi all’Auditorium rivolto ad una affollata platea di signore – 700 circa e molto PDL style come da tacco & ritocco di rito – ministre, imprenditrici, parlamentari professioniste, presenze femminili significative, almeno secondo l’accezione che il Cerimoniale ha inteso conferire al termine.

 Un capo di stato che voglia incontrare le donne per un’iniziativa sullo specifico non si trova tutti i giorni. Tuttavia c’era nel discorso di Gheddafi, in tono con gli altri pronunciati a Roma,  altalenanti tra parabole, citazioni da Matilde Serao, espressioni teoricamente condivisibili ed inedite visioni storiche, qualcosa di più che il consueto andamento contraddittorio.

E così se le case sono prigioni, anche il lavoro lo è. Scelga la donna in quale galera vuol soggiornare. Tutta qui la libertà che le è consentita. Sorprendente interpretazione del pensiero della differenza.

Naturalmente di rendere case e lavoro un po’ meno somiglianti agl’istituti di pena, non se ne parla. Quello sarebbe il programma di governo di un paese democratico in cui parlamento e istituzioni pullulano di presenze femminili. Siamo lontani. In Libia come da noi.

Secondo il colonnello invece, la rivoluzione delle donne  è il corollario di una (non meglio identificata rivoluzione culturale), quindi qualcosa di subalterno. Un controsenso che gli si manifesta attorno, personificato dalle Pretoriane – occhi belli. Pronte a tutto.

Ci fosse stato spazio per le repliche ci si sarebbe potute avventurare,  chiarendo che quella che il colonnello chiama rivoluzione femminile sarebbe già di per sè una rivoluzione culturale fatta e finita. E che nessuno meglio di lui potrebbe raccontare  cosa abbia significato in termini di progresso dell’intera società, l’istruzione femminile nei paesi africani in cui si è potuta praticare.

Ma cane pazzo  parla per ultimo, incassando applausi a scena aperta, appena venati da qualche sussulto di riprovazione. In un’atmosfera in cui anche la prolusione di Mara Carfagna è sembrata dura ed  elevatissima. Ma con buona pace delle prime file , tra fondamentalismo e modernità, non c’è  possibilità di mediazione. Nemmeno col ritocco.

 Nelle illustrazioni ( di Rizzo Emmevi ) sopra : una sostenitrice libica. Sotto, in prima fila Santanchè Prestigiacomo e Matone.