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Categoria: Cannes 2008

Nel buio della notte

Nel buio della notte

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Francesco Munzi  unico rappresentante italiano alla Quinzaine des Réalizateurs con  Il resto della notte, in realtà ci aveva già introdotti  al piacere forte del suo registro narrativo essenziale, dirigendo  Saimir,  aspro e bellissimo film d’esordio incentrato sulla fase di passaggio all’età adulta di un giovane immigrato albanese e sul suo deciso rifiuto dello stile di vita paterno fatto di traffici oscuri e piccola criminalità rassegnata. Confermando la propria vocazione al Presente e ad un cinema civile, il Munzi del Resto della notte invece  incrocia i destini di una ricca famiglia del nord con quelli di un gruppo di immigrati rumeni che conduce pericolosamente  la propria esistenza tra esperienze delinquenziali e frantumazione dei rapporti famigliari. Trait d’union occasionale tra i due mondi, una domestica rumena accusata di furto.

Ed è intorno a questo episodio che si sviluppano tra i due ambienti reazioni  e scelte assolutamente speculari, compiute per negligenza, amoralità o  desiderio di facile guadagno. Come pure è identico in tutti, il desiderio di un futuro migliore  che però non riesce in alcun modo a divenire motore di autentico cambiamento. Molte cose sono cambiate e tra Saimir –  che è del 2004 – e il Resto della notte probabilmente si è smarrita la speranza espressa dall’istinto ribelle del giovane albanese. Questo invece è un film sulla Paura dell’Altro che prosperando nell’ incertezza di un mondo senza giustizia, facilmente si trasforma in senso del pericolo incombente, in Minaccia  che Munzi è molto bravo a concretare attraverso una regia distaccata e un uso sapiente del fuori campo, laddove il dramma si risolve al di là del piano d’azione, spesso nella disperazione stampata sui volti di chi vi assiste. Ma c’è nel film un avvertimento direi esplicito contro l’assuefazione, la resa generale, il non voler effettuare distinguo o riconoscere responsabilità individuali. Una lettura della realtà spietata senza buonismi o cattivismi di sorta e che attraverso le storie di gente comune rinviene gl’indizi di un generale disfacimento.Tutti bravi gli attori, straordinario il montaggio.

Il resto della notte è un film di Francesco Munzi con Sandra Ceccarelli, Aurélien Recoing, Stefano Cassetti, Laura Vasiliu, Victor Cosma, Constantin Lupescu, Valentina Cervi, Susy Laude, Teresa Acerbis. Genere Drammatico, colore 100 minuti. – Produzione Italia 2008. – Distribuzione 01 Distribuzione

Storia tossica con disfacimento dell’impero

Storia tossica con disfacimento dell’impero

Più che di revisonismo, pratica inconciliabile con la solida affidabilità di Marco Tullio Giordana, si potrebbe parlare di immissioni nel racconto di numerose licenze poetiche, atteso che di cedimenti a  tentazioni assolutorie, in questo film,  non ce n’è manco l’ombra, piuttosto il dubbio palesato che nel caso in questione, giustizia sia stata davvero fatta .

La storia è quella vera di Osvaldo Valente e Luisa Ferida coppia emblema del divismo autarchico-fascista che al realismo preferiva i film in costume ( memorabile la Corona di ferro e la Cena delle beffe entrambi di Blasetti) e il glamour fatto in casa dei telefoni bianchi. Amanti scandalosi,  lui consacrato maudit, causa dipendenza da cocaina e lei bella e brava ma dalla reputazione altrettanto controversa, causa però, amorosa dipendenza dalle di lui nevrosi oltre che sostanze.

Ma, tra le tante perversioni –  adesione alla repubblica sociale e fuga verso Salò, arruolamento del divo nella Decima Mas di Junio Valerio Borghese, presumibile amicizia con Pietro Koch – il loro reale coinvolgimento con le torture di Villa Triste a Milano, non fu mai provato ne’ altri delitti  sono loro imputabili se non quello di aver condotto una vita di eccessi, scombiccherata e sopra le righe.

Il racconto procede tra scene in cui la coppia è prigioniera della Resistenza e i flash back che ne ricostruiscono la storia sentimentale ed artistica e si chiude con il processo e la fucilazione (ordinata peraltro da Sandro Pertini). Un merito particolare è degli attori Monica Bellucci, Luca Zingaretti e Alessio Boni ( sempre più bravi, ma dove vogliono arrivare? ) quest’ultimo nel ruolo di un regista la cui figura è  liberamente ispirato a Luchino Visconti, bravi da conferire ulteriore spessore al racconto e intensità alla nutrita gamma di sentimenti che lo percorrono. Spezzato in due parti, il film sarà trasmesso dalla televisione in autunno. Tra storia e Storia, arte e potere, Giordana ordisce una trama che se non ha la la forza e la poesia della Meglio Gioventù ha tutto l’impatto della storia tossica sullo sfondo del disfacimento dell’impero. Riscrittura di un soggetto di Enzo Ungari che ci ha lasciato anni fa e che ci manca.

Sangue Pazzo è un film di Marco Tullio Giordana. Con Monica Bellucci, Luca Zingaretti, Alessio Boni, Maurizio Donadoni, Giovanni Visentin, Luigi Diberti, Paolo Bonanni, Mattia Sbragia, Alessandro Di Natale, Tresy Taddei. Genere Drammatico, colore 150 minuti. – Produzione Italia 2008. – Distribuzione 01 Distribution

Più vero della realtà

Più vero della realtà

Che Cirino Pomicino si sia addormentato durante la visione del film il Divo, lo escluderei a priori non fosse altro perchè la sua elegante contrarietà al film di Paolo Sorrentino è ampiamente contraddetta dalla collaborazione fornita durante la lavorazione.Dopo Cannes  comunque, è inevitabile che spuntino altri detrattori, non solo i diretti interessati . E che? Vogliamo essere del coro? Jamais. E quindi aspettiamoci La Qualsiasi da parte di chi avrebbe preferito una trattazione sistematica di fatti e misfatti con condanne e assoluzioni o un maggiore rilievo dato alla presenza del PCI o della Chiesa o un maggiore spazio al ruolo della moglie o della segretaria o della governante. Se qualcuno aveva qualche dubbio sul fatto che il Divo fosse un capolavoro può soffermarsi ad esaminare il punto di vista dei contrari a questo e a quello e convincersi definitivamente che se fossimo di fronte ad un film qualunque, nessuno avrebbe offerto i suoi consigli per migliorarne la qualità artistica . C’è una parte degli spettatori – e non parliamo della critica –  che di tanto in tanto vorrebbe cimentarsi a rifare le opere che gli si propongono. E’ un sentimento questo che spesso sottace un desiderio di appropriazione dei film o dei libri. Come dire un modo di risolvere in critica, un’ ammirazione che si vive come controversa..

Ieri sera ad Anno Zero, Michele Santoro ha tentato di mettere insieme i pareri di diversi personaggi scelti con un discreto senso della mescolanza degl’ingredienti che conferisce equilibrio,  riuscendo peraltro, non so se intenzionalmente,  a tirare per la manica il telespettatore rituffandolo in piena atmosfera da Prima Repubblica, roba che se non ci fosse stato un ragazzino occhialuto e dall’aria perbene ma tostissimo e determinato peggio di un black block - La mafia ancora c’è, voi siete ancora qui – e Carlo Lucarelli – I film li avete fatti voi – entrambi rivolti al presunto dormiente da cinematografo Pomicino, si sarebbe pensato di essere ancora a vivere i secoli bui dei delitti, delle stragi e delle mancate pene. Direi che è stato bello, il tibetano distacco di Sorrentino e la placida sicurezza dell’Aspesi, qualche tono più secco e preciso da parte della Buonaiuto e su tutto il dipanarsi della Storia Vera degli  anni in cui, in nome di un malinteso senso – altrove stabilito –  del Bene Comune, si giustificava qualunque arbitrio. E il confronto con la fiction –  anzi peggio –  con la visione  metaforica, surreale, grottesca della realtà subito cessa di essere stridente quando ci si accorge che il cinema di Paolo Sorrentino è più vero del Vero. Ed è questo – a parte una calligrafia inappuntabile ed un marcato senso estetico  – il più evidente merito del film.

Per un cinema dei panni sporchi

Per un cinema dei panni sporchi


C’è una sorta di feroce contrappasso nel fatto che al Marché, il Divo di Sorrentino abbia suscitato grande interesse tra i compratori stranieri. Pur essendo un discreto cinefilo ( o forse proprio per questo ) il senatore Andreotti della fine anni 40, avversava il neorealismo come cinema che, raccontando delle nostre miserie e della fatica post bellica di risalire la china, restituisse all’estero una visione non decorosa del nostro paese. Ma non solo Andreotti si diceva convinto che una cinematografia brillante ed ottimista avrebbe giovato di più all’ Immagine. Ettore Scola lo rappresenta da par suo, quel sentimento  di ostilità che animava una visione piccolo – borghese  nei confronti di storie di gente comune, allestite in contesti miserevoli, interpretate da attori non professionisti, strutturalmente inadatte sia a risolversi in  happy end che a lasciar intravedere un tenue filo di speranza. In  C’eravamo tanto amati, le autorità di un piccolo centro abbandonano sdegnate il cineforum dove si è appena proiettato Ladri di biciclette dicendo appunto che i panni sporchi si lavano in famiglia. E non è un caso che del cinefilo controcorrente che ha proposto la pellicola per il dibattito, si racconterà, per tutto il resto del film la parabola da Perdente Nato. Come potessero all’estero pensare ad una nostra presunta floridità, visti gl’ingenti finanziamenti dell’epoca – Andreotti stesso perorante –  soprattutto statunitensi, non è dato sapere. La verità su quell’avversione, infatti, risiede altrove e cioè nella potenza del Cinema che avvalendosi di strumenti semplici ed immediati può trasformarsi, da innocuo intrattenimento ad arma minacciosa per conservatorismi e restaurazioni ( o all’ opposto, di promozione di totalitarismi). Il neorealismo era un cinema sovversivo anche oltre le intenzioni degli autori : sapeva parlare al cuore e alle coscienze, istigava rivolte anche raccontando la banale storia del furto di una bicicletta. Ecco perchè l’Italia del Pericolo Rosso non lo ha mai amato. Oggi che il nostro cinema tenta la riconquista del posto che gli spetta, torniamo a discutere – ma forse non abbiamo mai smesso – se sia o meno il caso di mostrare storie vere che parlino di noi, di quel che siamo stati, di quel che vorremmo essere ma con l’ausilio indispensabile del racconto di quello che siamo oggi. Che almeno il Cinema non sia un’operazione consolatoria e racconti il Paese che c’è. I selezionatori di Cannes hanno scelto quattro film : Malavita organizzata ( Gomorra ), Potere (Il Divo), Xenofobia ( Il resto della notte ) Fascismo ( Sanguepazzo) tutti accomunati da un medesimo istinto culturalmente sano, vivo e attivo dei nostri cineasti : un distacco studiato, voluto, volto a decifrare il disagio, e raccontarlo, cercando nei nostri film, una specie di ‘utopia concreta’, un progetto di ‘futuro possibile’, a portata di mano, una rivendicazione orgogliosa, capace di vibrare in sintonia col paese reale: vedersi rappresentati, vedersi raccontati, aiuta a capirsi.
Perché di questo c’è bisogno: di tornare a ‘vederci’.
Ho preso a prestito,per quest’ultimo passaggio, le parole dei “100 autori” nella loro bella lettera di qualche mese fa, indirizzata al futuro governo. Nello stesso momento in cui i fondi destinati al Cinema già esigui di per sè, subiscono un taglio del 20 %, il nostro cinema forte vario e appassionante (sono sempre i 100 autori a parlare) ottiene due significativi riconoscimenti. Questo paese sarà anche un gran produttore di panni sporchi ma anche di grandi talenti per promuoverne l’esposizione e il lavaggio.In luoghi quanto più pubblici sia possibile

Oh Georges (C’est dur d’etre aimè par de cons)

Oh Georges (C’est dur d’etre aimè par de cons)

Al cuore non si comanda e dunque, prima di raccontare delle complicate circostanze che hanno portato Georges Wolinski,  il  garbato e affascinante signore  dell’immagine qui sopra, a Cannes, dirò del suo talento e di come grazia, eleganza, tratto lieve e senso artistico, pur messi al servizio di cause feroci e mortifere quali la guerra dei sessi e l’intramontabile maschilismo, riescano spesso nella non facile impresa di neutralizzarne i devastanti effetti. Se satira dev’essere, satira sia, anche a rischio di sfiorare argomenti che per istinto falsamente ideologico, si vorrebbero trattati con maggior rispetto. Tanto Georges con tutti quei porconi laidi e allupati non la conta affatto giusta e come spesso capita in queste circostanze è il disegno e non le battute a rivelare da quale parte pende l’autore. E poi c’è una qualità che su tutte spicca e che lo rende unico : l’imprevedibilità. Non è poco se si pensa alla semplicità delle pulsioni su cui fa leva la satira e all’inevitabile senso di scontato  che spesso produce il voler strappare la risata facile a tutti, e a tutti i costi.

Wolinski del resto, è sempre stato irrefrenabile fin dagli esordi, così  dopo aver fondato giornali sovversivi come L’Enragè; – dodici numeri distribuiti a mano a Parigi, anno di grazia 1968, più esplosivi di cinquanta molotov confezionate con amore  educato i suoi istinti peggiori in accademie quali Hara Kiri, subtitled Journal bête et méchant, poi trasformatosi, per un combinato disposto di disgrazie economiche e immancabili noie legali prima in Hara Kiri hebdo e infine in Charlie Hebdoet pourquoi pas Charlie Hebdo? disse monsieur Wolinski ad una cena costituente la nuova creatura editoriale –  il nostro caro Georges si ritrova in tribunale con tutta la redazione. Esperienza non nuova certamente ma questa volta non è il ministero degl’Interni che chiama a render conto di questo o quel misfatto ma nientedimeno che la Moschea di Parigi,l’Unione delle Organizzazioni Islamiche in Francia e la Lega Islamica Mondiale. Tombola.


Tutta colpa di una copertina di Charlie Hebdo disegnata da Cabu, in cui un Maometto di nero vestito, sopraffatto dagl’integralisti e al colmo della disperazione, mormora la frase c’est dur d’etre aimè par de cons che poi è anche il titolo del documentario che ha portato Wolinski, Philippe Val ed altri a Cannes per la presentazione ufficiale di sabato scorso.Si tratta della cronaca di quel  processo nei tre giorni in cui si avvicendarono testimoni eccellenti, uomini politici – da Hollande a Bayrou senza contare i telegrammi di sostegno dell’allora candidato presidenziale Nicolas Sarkozy –  più noti cineasti, noti disegnatori satirici e noti preti antisemiti. Una sarabanda assolutamente folle e godibile  anche se non si è appassionati di procedure, divertente per l’assemblaggio di momenti quasi teatrali in cui il diabolico avvocato maître Francis Szpiner – uno dei legali di Chirac, si scoprirà poi,  che ha assunto le difese della Moschea di Parigi preoccupato per eventuali ritorsioni islamiche sui francesi all’estero –  tenta il colpaccio invocando in aula la libertà d’espressione per tutte le religioni mentre alla sua controparte  maître Richard Malka non par vero di cogliere l’occasione per mostrare alla giuria le vignette islamiche su Benedetto XVI assai inquietanti per la verità. Ironicissimi ed elegantissimi – ed entrambi presenti a Cannes – i principi del foro parigino, un po’ meno la folla ripresa fuori del Palais de Justice, vivace e litigiosa, in verità. Ma tanto è inutile. Non è che si sia nella patria della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, più volte ribaditi dal 1789 fino al 1948, così, per cambiar aria. La sentenza è di piena assoluzione perché la libertà di espressione è un caposaldo della democrazia. E gran trionfo per tutti – avvocati, disegnatori, redattori e regista – è stato anche al festival, dopo tutte quelle misure di sicurezza e quelle cautele, ci sarebbe mancato anche il flop : alla fine vincono coraggio spregiudicatezza, laicità e libertà d’espressione. Almeno in Francia.

 

C’est dur d’etre aimè par de cons è un film di Daniel Leconte  prodotto dalla Film en Stock; distribuito da Pyramide film. Francia 2008