Una volta alle corde puoi ancora scegliere di vincere. Anzi, alle corde puoi decidere di cacciartici da solo. Per vincere.
La tecnica di sfiancare l’avversario – più forte,in quel caso,e più giovane – da una posizione solo apparentemente sfavorevole è raccontata nel dettaglio da Normal Mailer nel suo bellissimo La sfida, cronaca dell’ incontro di Kinshasa , significativo per il contesto in cui avvenne, ma soprattutto per il confronto tra esponenti di differenti visioni del mondo, o se si preferisce, del diverso modo di essere negri a questo mondo.
Alì vs Foreman. Non a caso.
Non ci era voluto molto ad Alì per diventare il simbolo del riscatto dell’intero continente africano, al povero Foreman, negro pure lui, non rimaneva altro se non il ruolo di chi ce l’ha fatta ma s’è in qualche modo adeguato al mondo dei bianchi. L’urlo ossessivo della folla Alì boma ye (Alì uccidilo) può essere utile a definire il clima in cui avvenne l’incontro.
Come si conviene ad ogni autentica leggenda, intorno ad Alì è stato prodotto cospicuo materiale, fiumi d’inchiostro e chilometri di pellicola tra aneddoti, virgolettati, film, documentari, libri, articoli di giornale.
La sua lezione più interessante tuttavia resta quella di Kinshasa : il rope-a-dope, abilità psicologico-atletica che mira ad indurre l’avversario in errore, schivandone i colpi. Costretto a colpire l’aria, l’antagonista perde forza, si disorienta e infine cede.
La boxe non è solitamente uno sport per signore ma il martellante entusiasmo con cui la maschietteria di casa aveva ingaggiato la battaglia per assistere all’incontro con Frazier al Madison Square Garden – nel 1974 ci si spostava con meno disinvoltura di adesso – e gli infiniti racconti del rientro convinsero anche noi femmine che c’era in quell’Alì qualcosa di fuori dal comune.Il che,oltre la boxe, fu vero per il resto dei suoi giorni.E con ogni probabilità dei nostri.
(in alto l’epilogo dell’incontro Alì vs Williams del 1966 in una foto famosa )