Documentario più fiction per non farsi mancare nulla di un Tempo,di un Paese e di un Cinema di grandi prospettive. Fondali di cartapesta a sollecitare una Memoria senza buttarla in nostalgia. Stile asciutto – un album di fotografie, fiori secchi e una mosca schiacciata – cinismo e ironia (ma poi nelle sale tutti con gli occhi lucidi, dal Capo dello Stato al Venerato Editorialista )
Che bello chiamarsi Ettore e da pensionato continuare a occuparsi di Tutto coordinando giurie popolari e proteste ai festival, promuovendo candidati alle Primarie e, a scappatempo, tornare a fare cinema, celebrare un amico parlandone da vivo e infine liberarlo da una condizione insopportabile : via a gambe levate dal teatro cinque, occasionale camera ardente,inseguito dai due carabinieri del picchetto d’onore in alta uniforme.Dedicato a Federico Fellini nel ventennale della sua – del tutto apparente – scomparsa.
Fortunato chi lavora perché almeno può scioperare. Amelio ci indica la chiave : il suo Intrepido ruota tutto intorno a questa battuta che Albanese rivolge nel film ad un temporaneo collega.Ovvero : il lavoro è dignità,ruolo sociale,rassicurazione al di là della semplice sopravvivenza e quando manca non bisogna rinunciare a perseguire una condizione egualmente dignitosa. Anche a costo di accettare centomila faticosi rimpiazzi. Avventura al limite dell’impossibile e per l’appunto da intrepidi specie se vissuta con semplicità, senza tante storie, contrastando ogni comprensibile ma insidioso senso di umiliazione.Retorica del sopportare silente? Niente affatto. Semmai epica del vivere tenendosiallenati per quando arriverà il meglio. Oggi è doveroso essere positivi ed intrepidi (sempre Amelio) come il giornaletto dalle mirabolanti peripezie a puntate, al termine delle quali sapevi di trovare un finale positivo..
Spiace per Amelio, al Lido con un film sulla contemporaneità dai toni differenti.Una specie di Charlot, si è detto, anche grazie ad alcuni evidenti rappel, ma non solo.
I leoni (le palme,gli orsi) però funzionano così : sono anche l’esito di elaborate mediazioni e di incroci di criteri imperscrutabili.E non ce n’è mai abbastanza per tutti, senza contare che il premio ad un terzo film italiano avrebbe fatto strillare allo sciovinismo (che è parente dello strillo all’esterofilia,alla cineseria e al resto del corredo quando invece il sentimento nazionale viene offeso dall’assenza di riconoscimenti)
E spiace anche che siano stati ignorati prodotti di valore come The Rooftops – Les terrasses :
La Casbah, Bab el Oued, Belcourt, Notre-Dame d’Afrique e Telemy Cinque quartieri di Algeri – cinque pezzi di cuore, per chi scrive – cinque terrazze che ospitano ciascuno un racconto scandito dalle cinque preghiere annunciate dal muezzin.Un film indispensabile per capire le rivoluzioni arabe della trascorsa primavera e della più lontana,lotta per l’indipendenza d’Algeria.Le terrazze sono luoghi isolati immersi nell’azzurro del cielo innanzi a panorami da perdere la testa, l’apparente tranquillità però è in aperto contrato con le storie che via via vengono raccontate e con il lamento ripetitivo della preghiera : un film che si spera di rivedere.
Stray dogs . Centotrentotto minuti di estenuante e orientale lentezza, il film forse più difficile del festival.Esponente di un modo di fare cinema senza cedimenti verso alcuna forma di compromesso, Tsai Ming Liang dirige un film, nel suo genere, perfetto. E poco conta se la critica s’è sbizzarrita in tutti i modi a ironizzare sull’eccesso di manieristica contemplazione della miseria e dell’emarginazione – condizioni che sarebbe bene contemplare magari riflettendo ben oltre le inquadrature fisse da 11 minuti – ignorando il fatto che il cinema di Tsai Ming Liang è portatore di Valori comprensibili anche senza le note di regia.Basta guardare.E qui al capolavoro strilla (forte) chi scrive.
Elogio del mostro celibe ovvero di una sorta di prequel del Santo Gra titolato Tanti futuri possibili.Omaggio a Renato Nicolini, sempre a cura di Gianfranco Rosi in cui lo stesso Nicolini in tour per il GRA su una specie di papamobile spiega, alla sua maniera, il senso di quell’ autostrada metropolitana di 68 km che cinge ad anello la città ben specificando che strutturata com’è un senso ed una funzionalità precisa non ce l’ha mai avuti.
Opera inutile ? Evvai con la tonante invettiva? Macchè. Sostiene Renato che il Raccordo ideato dall’ingegner GRA – dunque non solo un acronimo ma direttamente una firma – è probabilmente un gesto d’artista una macchina celibe circondata da tante famiglie spurie : il cimitero delle macchine, lo sfasciacarrozze, i negozi di lampadari, quelli di abiti da sposa i trasportatori urbani e che pure la forma ad anello forse richiama il tondo, qualcosa di grande forza simbolica, continuazione ideale della cupola di San Pietro ma anche del tempietto di San Pietro in Montorio del Bramante.
Seguono irresistibili riferimenti a Lewis Carrol e ad Alice all’inseguimento circolare del Bianconiglio tra Boccea, Torrespaccata e il Torrino nonchè un calcolo della circonferenza complicato dal fatto che essendosi scordato la formula Nicolini convoca telefonicamente il nipote fresco di studi (scuola media).Conclusione : il Raccordo non si deve comprendere,si deve amare. Esilarante.
Il Santo Gra che si è aggiudicato il Leone d’oro non utilizza le sequenze del gioiellino di cui sopra ma conserva integro lo spirito nicoliniano nel momento in cui aggiunge all’affresco segnato da una mutevolezza del paesaggio estrema, una tornata di personaggi e situazioni (sur)reali tra di loro diversissime, sono storie di abitanti recuperate lungo il percorso non molto distanti dalle leggende metropolitane sul GRA che vogliono un pullman di calciatori da decenni a girare in tondo lungo il raccordo, alla ricerca di una via d’uscita.
Ecco : tornando ai Cahiers e alla loro accorata campagna contro il sociologismo,la seriosità e l’attaccamento morboso ai generi da parte del cinema d’autore, questo premio si può intendere come un forte incoraggiamento ad un cinema che tenta la strada del rinnovamento.Con naturalezza,riuscendovi.
Qualcosa che è cominciato con l’ingresso-marcia trionfale della troupe di Fellini – dolly, camion e bagagli – in Roma appunto dal raccordo, è continuato su un minivan con i metafisici e geniali sproloqui di un grande architetto che s’è scordato la formula e finisce con il viaggio a piedi di un documentarista con gli attributi.Montaggio strepitoso,ritmo esatto.Dedicato all’affettuosa memoria di Renato Nicolini.Molto in tono con il sentire cinematografico del presidente della giuria. (qui sopra la locandina del film : il mostricino che allunga le zampe fino a delineare minacciosamente il perimetro del Raccordo si chiama – accidenti a lui – “punteruolo rosso” ed è il distruttore delle palme di questa città,finalmente abbiamo capito a chi dobbiamo lo scempio. Vedere il film per saperne di più)
Sacro GRA è un film di genere documentario della durata di . diretto daGianfranco Rosi.
Prodotto nel 2013 in Italia e distribuito in Italia da Officine Ubu il giorno .
Stray Dogs (Jiaoyou) è un film di genere drammatico della durata di . diretto da Tsai Ming-Liang e interpretato da Chen Shiang-chyi, Yi Ching Lu.
Prodotto nel 2013 in Francia, Taiwan.
Éloge de la comédie, titolano i Cahiers di settembre che da tempo segnalano l’inguardabilità e il comico involontario di certo cinema d’autore afflitto,a loro dire, da troppa seriosità.Giusta distanza,ironia,eleganza alla maniera di Cronenberg,Anderson,Carax, Korine,Abrams sono gl’ingredienti della perfetta commedia che rimescola i generi e rompe con la tradizione.
Giusto.Ma allora perché a Venezia il film di Gianni Amelio che tutti quegl’ingredienti conteneva è stato trattato con sufficienza? Lo vedremo poi. Per adesso ancora qualche signora :
Angeliki La più insostenibile delle tragedie (greche) raccontata con la tecnica della rivelazione man mano che procede il film. Tra non detto e visto anche troppo, si dipana una storia di scempio domestico il cui elemento urticante è dato dall’apparente acquiescenza,sottomissione e finanche ammirazione delle vittime nei confronti del proprio carnefice di cui arrivano addirittura a contendersi l’attenzione.C’è qualcosa di indicibilmente autentico in questa storia di violenza ed umiliazione estreme che chiama in causa,oltre al resto, l’atteggiamento psicologico degli abusati il cui unico gesto di rivolta si riduce all’autodistruzione ovvero al suicidio delle prime incredibili sequenze.. (Non é per tutti)
Oh Scarlett, in veste di aliena,mantide dark lady periferica – per come l’hanno combinata il trucco, il parrucco e la sartoria – che rimorchia in autostrada poi seduce e vampirizza le vittime, nelle pause si sofferma a rimirare un corpo – avuto in prestito per la buona riuscita della mission – che non conosce, cui non è abituata .Come non è abituata a gestire qualsiasi altro tipo di sentimento, il che le procura comprensibili ma non semplicissimi, da rendere cinematograficamente, scompensi (Scarlett ci riesce). Testimone poco attendibile – al cuore non si comanda : mi piacciono sia Scarlett che Glazer – dirò che il film è stato ingiustamente maltrattato anche se non c’è critico maschio etero (ma anche non) che non abbia apprezzato le numerose scene di nudo – qualcuno ha persino lamentato mancanza di sensualità,ma insomma –
Per gli amanti dello stile gelido,del dialogo non troppo pressante e di una certa qual sconclusione cinematografica in elegante dispiego.
Rebecca Hall brava intensa sensuale e morbosa q.b mentre interpreta il desiderio in sospeso nel capitalistico melò di Leconte : Industriale dell’acciaio alle soglie della Prima guerra mondiale spedisce un suo protégé povero ma bello, meritevole e capace in Brasile quando si accorge della liaison tutta sguardi sottintesi sfioramenti e sensi di colpa con la propria moglie.
La Domanda Fondamentale a questo punto sarebbe : può il desiderio sopravvivere al tempo che passa?( e ai disastri della seconda guerra mondiale che interrompe le comunicazioni?E alla morte dell’industriale etcetcetc) Patrice Leconte – che caro – si pone apertamente – lo ha dichiarato – il problema dell’istinto suicida che s’impossessa dello spettatore dopo la visione di un film disperante e per questo modifica il finale del racconto il viaggio nel passato di Zweig da cui è tratto il film, inserendo un elemento di speranza.Specialissimo uomo di cinema con curriculum denso di film troppo spesso definiti controversi, Leconte tenta la strada di un melò tradizionale per di più in costume che però non può fare a meno di rendere a mezzo inquadrature e movimenti di macchina piuttosto arditi e dunque in aperto contrasto con l’ambientazione,l’epoca e le domande fondamentali.
Che ci tiene – direbbero a Napoli – Lindsay Lohan . A parte una fedina penalepiuttosto articolata, un discreto talento e una presenza scenica di rilievo,come pure è costretto ad ammettere Paul Schrader che ha tentato di dirigerla nel suo film The Canyons, ennesimo – quantunque insolito – lavoro sulla morte del cinema, i cui assassini sono sempre gli stessi ma proprio in quanto detentori di mentalità criminali rappresentabili nelle loro molteplici angolature.In questo caso la sceneggiatura del celebrato Bret Easton Ellis ci sostiene nel viaggio della Los Angeles cinematografara dove troviamo la nostra Lindsay, attrice in disarmo,che, povera, non sa dove girarsi tra l’amante vorace produttore con villa e annessi e il fidanzato d’antàn caruccetto ma pure lui ossessionato dal fare cinema. Ergo : tutti sono pronti a tutto,tutti vanno a letto con tutti senza badare al genere (non del film).Bella mescolanza di amore vendetta disfacimento rovina con la gradita presenza di James Deen attore anche nella vita del porno internettaro.
Resta da sottolineare come l’epopea produttiva del film così come ce l’ha raccontata Schrader tra ricerca di finanziamenti e difficoltà di convincere la Lohan a rispettare qualsiasi orario di ripresa – come Marilyn in Misfits! Si consola il povero Paul, ripagato per le intemperanze di lei dalla pronta e automatica identificazione con Houston – non può essere disgiunta dal film stesso,quindi si spera che nei contenuti speciali del DVD a venire sia inserito lo spiegone di come si fa a governare un set indisciplinato con pochi soldi e scarse probabilità di venirne a capo (dei soldi).Quanto alla Lohan da teen idol a donna perduta il passo non è brevissimo ma prevedibile e quanto Hollywood sfrutti quella divistica propensione a spingere il piede sull’acceleratore della sua Cayenne , lo è altrettanto.Già, l’eccesso di velocità..di tutti i divistici reati, quello che mi colpisce – so anche perché – di più.
Il festival della crisi che cerca di fare il punto sul cinema.Chi siamo e dove andiamo.
Esaurito il repertorio del risaputo e dello stradetto – ad ogni festival c’è la crisi e si fa il punto – ci si è apprestati alle diverse visioni con l’annunciata prospettiva di un cartellone tendente alla tragedia pure quello figlio della crisi che tutto travolge sospingendo l’ umanità senza speranza sull’orlo del baratro .
Ora, anche un’ intelligente commedia potrebbe raccontare tutto ciò – il maestro Scola è peraltro nei paraggi e i suoi Brutti Sporchi e Cattivi confermano – ma pare proprio che in giro per il mondo non ce ne fossero e così la narrazione del Peggio cui non c’è mai Fine, secondo i selezionatori, a Venezia come altrove, è affidata quasi esclusivamente alle tinte insostenibili della violenza e dell’abuso di minori, tra monache crudeli e famiglie patologiche senza farsi mancare nulla nemmeno nel settore della criminalità seriale.
Visti al ritmo di uno alla settimana,questi film non hanno il medesimo effetto che visti tutti insieme, laddove la Depressione s’impossessa dell’Addetto o del Comune Spettatore costringendolo ad affollare i bar post proiezione – anche mattutina – per quello che mio nonno avrebbe chiamato con espressione garbata un cordiale e oggi più sbrigativamente è detto superalcolico.Analoga reazione procurano il giorno dopo le critiche sui giornali,sempre più immaginifiche per interpretazioni e rutilanti di aggettivi.Alcolismo (poco) anonimo da autodifesa in agguato (se continua così).
( e siamo per sovrapprezzo a Venezia città per antonomasia che, a scelta, muore, è morta, morirà)
E meno male che il cinema sfugge alla sindrome del catalogo e così il desiderio di ingabbiare l’Immaginario in definizioni più o meno sensazionali impatta la realtà naufragando spesso nel ridicolo . Atteso che più la tentazione di appiccicare aggettivi, generi e tendenze spadroneggia, più il cinema se ne va per conto proprio. Ragione in più per corrergli appresso col dovuto rispetto. Così è raramente col risultato che al contesto già altamente tragico si assommano i volteggi non sempre appropriati della critica criticante.
Così ti tocca sopportare il peso della favola pastorale shakespeariana a definire il bel film di Paolo Zucca ovvero del western che spunta fuori ovunque si rappresentino scenari di contese nella calura e nella polvere o la meraviglia meravigliata per la scoperta dei documentari – peraltro sempre presenti ai festival – nuovissimo genere fin qui ingiustamente ignorato.Ovvero la scoperta dell’acqua calda : cioè che alle donne possono anche essere affidati ruoli un più significativi dei soliti mamma, fidanzata, amica,sorella, amante e ciò non tanto in ossequio -facoltativo,non sia mai – ai se nonora quando ma per il semplice motivo che di scelte del genere si avvantaggia la qualità complessiva dell’Opera.
Infine, piuttosto che interrogarsi dispiacersi elucubrare sulla defezione della divina Lohan varrebbe la pena di indagare sulle- sacrosante – ragioni di altre assenze, per esempio quella di Daniele Luchetti che preferisce Toronto a Venezia e, di colpevole sciatteria, in insipienza del sistema politico, giungere alle conclusioni che lanciare un film su di un mercato asfittico come il nostro – e non sono solo i quattrini a mancare ma le idee e comunque il rispetto per un settore, oltretutto della nostra economia, che potrebbe dare assai di più – ci vuole una buona dose di coraggio.Chi siamo è detto dalle Mani sulla città di Rosi,dove andiamo, vista l’imminente probabile chiusura di molte sale,è presumibile.La vera tragedia è servita. Ma pochi ne parlano preferendo concentrare l’attenzione sui petali dei menus – petali di salmone,petali di bresaola, qui è tutto un petalo – o sull’opportunità,non opportunità volants, nude look, spacchi, monospalla e pinces degli abiti nonchè ovviamente sulle strabilianti collane dello sponsor gioielliere.Vero è che i festival non vivono senza glamour, feste e mondanità di contorno.Ma senza festival anche il glamour dovrebbe trasferirsi altrove, scintillando decisamente meno per interesse e visibilità.
Tuttavia non è triste Venezia – Aznavour,molesto – per le molte significative presenze,i meritati premi e gl’intrepidi partecipanti a sfidare avversità in ragione dell’Arte,del Mercato,dell’Intrattenimento.
Prima le signore :
Intrepide : Emma Dante e il suo incredibile drappello di attrici a duellare, automobile contro automobile, in una strada non necessariamente stretta, per una questione di precedenza che fin da subito si manifesta come ragione d’essere piuttosto che come puntiglio. Intorno un universo brulicante raccontato con cura meticolosa.Metafore come se piovesse.Ambientazioni vere o in cartapesta di grande impatto interpretazioni in nuance con l’esattezza de resto.Finale sorprendente.
Sandra Bullock, alle prese con l’assenza di gravità, l’elaborazione del lutto, la solitudine e il pericolo incombente, fluttuante in un buco nero esaltato da un indispensabile – oh si – 3D. Lasciare in pace Kubrick e concentrarsi sul presente del cinema e delle umane difficoltà sintetizzate nella pletora di orbitanti detriti cosmici e nei lunghi cordoni ombelicali che fuoriescono dalle tute spaziali che di questa space opera sono decisamente i co-protagonisti.(Clooney,come sempre,da amare)
Judi Dench poco trucco, niente inganno – al photocall come sul red carpet come nella fiction – il mestiere dell’attrice nel complicato – dall’abuso che se ne è fatto – ruolo della madre in cerca del proprio figlio dato in adozione dalle infide suore irlandesi.Curiosa sintesi di determinazione non priva di fragilità e di ingenue sfumature.Operazione di critica del cattolicesimo bigotto e sessuofobico non del tutto irreprensibile e vagamente ambigua provenendo da un protestantissimo, pulpito.Humour britannico,dunque nero, a completare l’opera che gli amanti del catalogo possono tranquillamente definire di tipo brillante
Deserto australiano – Con avvertenza che ovunque ci sia deserto, lo spazio destinato ad altri protagonisti è consistentemente ridotto, viaggio dell’anima alla ricerca di qualcosa che non sarà rivelata nemmeno dal finale – tantomeno dall’autrice del fortunato libro,qui presente in gran spolvero, da cui è tratto il film – a mezzo attraversamento (2.700 km) in compagnia di tre dromedari un cane e, saltuariamente, di un fotografo del National Geographic a finanziare – documentare l’impresa.Elogio della solitudine come condizione indispensabile per la rielaborazione di problematiche esistenziali,immagini di bellezza e crudeltà da togliere il fiato.Wasikowska brava e accurata nel rendere l’impenetrabilità della protagonista.
Gravity è un film di genere fantascienza, drammatico della durata di . diretto da Alfonso Cuarón e interpretato da Sandra Bullock, George Clooney, Eric Michels, Basher Savage, Ed Harris. Prodotto (anche in 3D stereoscopico) nel 2013 in Gran Bretagna, USA – uscita originale: 04 ottobre 2013 (USA) – e distribuito in Italia da Warner Bros il giorno .
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