Intrepidi/e
Il festival della crisi che cerca di fare il punto sul cinema.Chi siamo e dove andiamo.
Esaurito il repertorio del risaputo e dello stradetto – ad ogni festival c’è la crisi e si fa il punto – ci si è apprestati alle diverse visioni con l’annunciata prospettiva di un cartellone tendente alla tragedia pure quello figlio della crisi che tutto travolge sospingendo l’ umanità senza speranza sull’orlo del baratro .
Ora, anche un’ intelligente commedia potrebbe raccontare tutto ciò – il maestro Scola è peraltro nei paraggi e i suoi Brutti Sporchi e Cattivi confermano – ma pare proprio che in giro per il mondo non ce ne fossero e così la narrazione del Peggio cui non c’è mai Fine, secondo i selezionatori, a Venezia come altrove, è affidata quasi esclusivamente alle tinte insostenibili della violenza e dell’abuso di minori, tra monache crudeli e famiglie patologiche senza farsi mancare nulla nemmeno nel settore della criminalità seriale.
Visti al ritmo di uno alla settimana,questi film non hanno il medesimo effetto che visti tutti insieme, laddove la Depressione s’impossessa dell’Addetto o del Comune Spettatore costringendolo ad affollare i bar post proiezione – anche mattutina – per quello che mio nonno avrebbe chiamato con espressione garbata un cordiale e oggi più sbrigativamente è detto superalcolico.Analoga reazione procurano il giorno dopo le critiche sui giornali,sempre più immaginifiche per interpretazioni e rutilanti di aggettivi.Alcolismo (poco) anonimo da autodifesa in agguato (se continua così).
( e siamo per sovrapprezzo a Venezia città per antonomasia che, a scelta, muore, è morta, morirà)
E meno male che il cinema sfugge alla sindrome del catalogo e così il desiderio di ingabbiare l’Immaginario in definizioni più o meno sensazionali impatta la realtà naufragando spesso nel ridicolo . Atteso che più la tentazione di appiccicare aggettivi, generi e tendenze spadroneggia, più il cinema se ne va per conto proprio. Ragione in più per corrergli appresso col dovuto rispetto. Così è raramente col risultato che al contesto già altamente tragico si assommano i volteggi non sempre appropriati della critica criticante.
Così ti tocca sopportare il peso della favola pastorale shakespeariana a definire il bel film di Paolo Zucca ovvero del western che spunta fuori ovunque si rappresentino scenari di contese nella calura e nella polvere o la meraviglia meravigliata per la scoperta dei documentari – peraltro sempre presenti ai festival – nuovissimo genere fin qui ingiustamente ignorato.Ovvero la scoperta dell’acqua calda : cioè che alle donne possono anche essere affidati ruoli un più significativi dei soliti mamma, fidanzata, amica,sorella, amante e ciò non tanto in ossequio -facoltativo,non sia mai – ai se non ora quando ma per il semplice motivo che di scelte del genere si avvantaggia la qualità complessiva dell’Opera.
Infine, piuttosto che interrogarsi dispiacersi elucubrare sulla defezione della divina Lohan varrebbe la pena di indagare sulle- sacrosante – ragioni di altre assenze, per esempio quella di Daniele Luchetti che preferisce Toronto a Venezia e, di colpevole sciatteria, in insipienza del sistema politico, giungere alle conclusioni che lanciare un film su di un mercato asfittico come il nostro – e non sono solo i quattrini a mancare ma le idee e comunque il rispetto per un settore, oltretutto della nostra economia, che potrebbe dare assai di più – ci vuole una buona dose di coraggio.Chi siamo è detto dalle Mani sulla città di Rosi,dove andiamo, vista l’imminente probabile chiusura di molte sale,è presumibile.La vera tragedia è servita. Ma pochi ne parlano preferendo concentrare l’attenzione sui petali dei menus – petali di salmone,petali di bresaola, qui è tutto un petalo – o sull’opportunità,non opportunità volants, nude look, spacchi, monospalla e pinces degli abiti nonchè ovviamente sulle strabilianti collane dello sponsor gioielliere.Vero è che i festival non vivono senza glamour, feste e mondanità di contorno.Ma senza festival anche il glamour dovrebbe trasferirsi altrove, scintillando decisamente meno per interesse e visibilità.
Tuttavia non è triste Venezia – Aznavour,molesto – per le molte significative presenze,i meritati premi e gl’intrepidi partecipanti a sfidare avversità in ragione dell’Arte,del Mercato,dell’Intrattenimento.
Prima le signore :
Intrepide : Emma Dante e il suo incredibile drappello di attrici a duellare, automobile contro automobile, in una strada non necessariamente stretta, per una questione di precedenza che fin da subito si manifesta come ragione d’essere piuttosto che come puntiglio. Intorno un universo brulicante raccontato con cura meticolosa.Metafore come se piovesse.Ambientazioni vere o in cartapesta di grande impatto interpretazioni in nuance con l’esattezza de resto.Finale sorprendente.
Sandra Bullock, alle prese con l’assenza di gravità, l’elaborazione del lutto, la solitudine e il pericolo incombente, fluttuante in un buco nero esaltato da un indispensabile – oh si – 3D. Lasciare in pace Kubrick e concentrarsi sul presente del cinema e delle umane difficoltà sintetizzate nella pletora di orbitanti detriti cosmici e nei lunghi cordoni ombelicali che fuoriescono dalle tute spaziali che di questa space opera sono decisamente i co-protagonisti.(Clooney,come sempre,da amare)
Judi Dench poco trucco, niente inganno – al photocall come sul red carpet come nella fiction – il mestiere dell’attrice nel complicato – dall’abuso che se ne è fatto – ruolo della madre in cerca del proprio figlio dato in adozione dalle infide suore irlandesi.Curiosa sintesi di determinazione non priva di fragilità e di ingenue sfumature.Operazione di critica del cattolicesimo bigotto e sessuofobico non del tutto irreprensibile e vagamente ambigua provenendo da un protestantissimo, pulpito.Humour britannico,dunque nero, a completare l’opera che gli amanti del catalogo possono tranquillamente definire di tipo brillante
Deserto australiano – Con avvertenza che ovunque ci sia deserto, lo spazio destinato ad altri protagonisti è consistentemente ridotto, viaggio dell’anima alla ricerca di qualcosa che non sarà rivelata nemmeno dal finale – tantomeno dall’autrice del fortunato libro,qui presente in gran spolvero, da cui è tratto il film – a mezzo attraversamento (2.700 km) in compagnia di tre dromedari un cane e, saltuariamente, di un fotografo del National Geographic a finanziare – documentare l’impresa.Elogio della solitudine come condizione indispensabile per la rielaborazione di problematiche esistenziali,immagini di bellezza e crudeltà da togliere il fiato.Wasikowska brava e accurata nel rendere l’impenetrabilità della protagonista.
(segue)
Via Castellana Bandiera è un film di genere drammatico della durata di . diretto da Emma Dante e interpretato da Emma Dante, Alba Rohrwacher, Elena Cotta, Renato Malfatti, Dario Casarolo, Carmine Maringola, Sandro Maria Campagna, Elisa Parrinello, Giuseppe Tantillo, Daniela Macaluso.
Prodotto nel 2013 in Italia, Francia, Svizzera e distribuito in Italia da Cinecittà Luce.
Gravity è un film di genere fantascienza, drammatico della durata di . diretto da Alfonso Cuarón e interpretato da Sandra Bullock, George Clooney, Eric Michels, Basher Savage, Ed Harris.
Prodotto (anche in 3D stereoscopico) nel 2013 in Gran Bretagna, USA – uscita originale: 04 ottobre 2013 (USA) – e distribuito in Italia da Warner Bros il giorno .
Philomena è un film di genere drammatico della durata di . diretto daStephen Frears e interpretato da Steve Coogan, Judi Dench, Charlie Murphy, Simone Lahbib, Sophie Kennedy Clark, Neve Gachev, Charles Edwards, Xavier Atkins, Charlotte Rickard, Stuart Matthews.
Prodotto nel 2013 in Gran Bretagna, Francia, USA e distribuito in Italia daLucky Red il giorno .
Tracks è un film di genere drammatico della durata di . diretto da John Curran e interpretato da Mia Wasikowska, Adam Driver, Emma Booth,Jessica Tovey, Melanie Zanetti, Rainer Bock, Robert Coleby, John Flaus, Tim Rogers, Felicity Steel.
Prodotto nel 2013 in Gran Bretagna, Australia e distribuito in Italia da Bim Distribuzione.
6 pensieri riguardo “Intrepidi/e”
Grazie per le utilissime recensione e, visto che mi sebra che ti trovi lì, anche un po’ di sana invidia…
Carissima, buone apocalittiche visioni, allora.
Consolati però che del resto non è nemmeno una novità la superficialità, l’autoreferenzialità e/o la ripetitivtà della stampa (anche se va sempre peggio).
A livello di fatica psicologico-fisica, che vuoi farci? Ricordo, quando andai io al festival, dormivo sulle panchine del Lido 4-5 ore e poi nelle sale dalla mattina a notte. Dal tramonto mi piangevano gli occhi. A quei ritmi, però, son durato un paio di giorni, poi le visioni calavano drasticamente, fino a 2, massimo 3 film al dì! Son durato un giorno, era l’anno di Hana-Bi (splendido) e del primo Korine (altrettanto), io ero molto gggiovane e tutto valeva la pena.
Abbracci
Ma cara Pyp quali recensioni?
Scuola di Johnny Palomba della quale sono umile allieva, a parte, non farei il critico manco morta.
Invidia…bah sono molte ore di lavoro,qualche responsabilità che la parcella non potrebbe mai coprire, occhi che lacrimano e rientri serali con le scarpe in mano.
Puoi invidiare l’entusiasmo.Quello sì.
Primula,la panchina e il sonno in sala – sapessi quanti autori di articoli del giorno dopo ronfano alle proiezioni – mi mancano ma per il resto… ci siamo, anche se il numero delle visioni rasenta complessivamente le sessanta (oh ma ci sono i corti!)e lo stress mi blocca lo stomaco – nonostante i “petali” uh che palle ‘sti menus “fantasiosi” per cui l’unico pasto decente resta una solitaria prima colazione a tecnologie spente chè altrimenti non sarebbe più solitaria.
Sono tornata e mò vado a ffà la seconda parte delle “recinzioni di Babele”
O.T.
Neppure quest’affiche sarebbe male per la testata del tuo template… lasciando solo l’uomo di spalle e la barca col rinoceronte ed eliminando il resto… verrebbe fuori uno stile molto minimalista… che ne pensi dell’idea?
Proviamo anche questo allora,il color occhio pesto non è privo di fascino.