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Categoria: Cannes 2017

Del nostro meglio

Del nostro meglio

Che Salvini parli di Cinema può anche non destare scandalo in un universo in cui  la conoscenza approfondita (ma anche minima) di qualsiasi materia non è requisito fondamentale per esternazioni e dibattiti. Certo se alla filmografia di riferimento leghista appartiene roba come Barbarossa – con tutto quel che significò, all’epoca, in termini di pasticci, intercettazioni, pressioni della politica,visite di Bossi sul set  e box office piangente –   le cose cambiano. Diciamo che Matteo Salvini non ha quel che si dice un gusto impeccabile in materia  e che non sente il bisogno di vedere i film prima di parlarne. E  diciamo pure che nel reclamare al Grande Cinema Italiano il  di meglio da proporre è racchiusa un’ignoranza di altro segno, di quelle che non si colmano solo con la conoscenza specifica.

Giacché questo è esattamente il nostro meglio e non solo perché lo dicono Scorsese o i selezionatori della Quinzaine des Réalisateurs a Cannes (non precisamente gli ultimi arrivati, ma che fa? Un colpo di sonno collettivo potrebbe essere capitato anche a loro)) ma perché uno sguardo differente sulla realtà ha del meraviglioso come una perfetta inquadratura ed è esattamente il tratto distintivo del Grande Cinema Italiano quando decide di smetterla con i garibaldini al convento per occuparsi di ladri di biciclette.

Anche allora la Politica ebbe da ridire. Un altro tratto deprimente del Costume Nazionale.

A Ciambra è il nome di una comunità rom di Gioia Tauro (il territorio è quello di Rosarno, per intenderci). Jonas Carpignano, in una modalità ben calibrata tra finzione e documentario mostra senza giudicare ( è questo che non va?) ma anche senza intenti sociologici (altra pecca?) la vicenda di Pio Amato quattordicenne  che si ritrova ad essere capofamiglia dopo l’arresto del padre e del fratello. Una sorta di linea d’ombra fatta di furti, relazioni familiari, rapporti con la comunità dei neri (negri & zingari, al povero Salvini sarà preso un attacco)

Senza sociologia, giudizio morale e soprattutto senza Redenzione si può parlare di Grande Cinema? Speriamo di si.

Un apprezzamento dunque per la commissione dell’Anica che ha designato il film di Jonathan Carpignano in rappresentanza del cinema italiano agli Academy Awards 2018.Una scelta coraggiosa, se si pensa ai temibili concorrenti nella sezione film stranieri e all’imprevedibilità della giuria.Ma un film, in quella circostanza, dovrebbe rappresentare il paese in cui è stato prodotto. E come Fuocoammare (altro strambuglione per i razzisti)  questo film è proprio parte di Noi. Salvini ingoi il rospo (e le ruspe).

 

 

A Ciambra è un film  di Jonas Carpignano 2017  con Pio AmatoKoudous Seihon. Titolo originale: A Ciambra. Genere Drammatico – ItaliaFranciaGermania2017durata 117 minuti.  distribuito da Academy Two.

Bring me the anatomy book !

Bring me the anatomy book !

( The Beguiled di  Sofia Coppola ha un illustre predecessore : Don Siegel che realizzò nel 1971 un film con analogo titolo e analogamente tratto dal libro A Painted Devil  di Thomas Cullinan. Coppola ha precisato di non aver voluto fare un  remake ma di essersi ispirata semplicemente al libro. Tuttavia, “La notte brava del soldato Jonathan”   è un film talmente importante che non è giusto dimenticarsene. E questo non tanto per fare improponibili paragoni ma per capire come  il racconto può evolversi attraverso un semplice cambio di prospettiva. Lì un uomo al centro della scena, qui un gruppo di donne. Dopo 46 anni non poteva essere che così)

Sosteneva  Don Siegel a proposito del suo The Beguiled  che Le donne sono capaci di ingannare, rubare, assassinare. Di fare ogni cosa. Dietro la maschera di innocenza nascondono la malvagità di un mafioso. Le ragazze più innocue possono essere killer” (Stessa ambientazione, stessa epoca, stessi disastri da guerra fuori della porta di casa, il concetto era stato già chiarito ampiamente da Rossella & Melania in una pellicola del 1939, ovvero molto tempo  prima che  intervenissero Siegel e  il soldato Jonathan con le loro  notti brave)

Ma se le donne con la loro subdola doppiezza sono capaci delle azioni più nefande, la vanità maschile ne combina, e su scala assai più vasta, anche di peggio. Dunque, ristabiliti pesi e contrappesi,  possiamo serenamente concludere che la lettura femminista qui non serve a molto, mentre il rovesciamento del punto di vista narrativo operato da Sofia Coppola sembra  offrire una chiave più interessante laddove il punto di vista femminile non ha necessariamente a che fare col femminismo in senso stretto (tremate,tremate, sono passati i decenni, certa critica sta ancora tremando?)

Guerra di secessione, un collegio femminile – tutto  Confederate States Army & diletta bandiera –   in cui si continuano ad insegnare francese, buone maniere e punti perfetti. Sette donne che devono però anche provvedere a se stesse (non c’è ombra di servitù, nemmeno Hallie, l’unica schiava nera che Siegel aveva immaginato fiera e convintamente sudista).

Nel microcosmo, soccorso da una delle ragazzine in cerca di funghi, s’introduce il caporale nordista Mc Burney gravemente ferito che viene portato all’interno della casa curato ripulito e rifocillato non senza dilemmi di appartenenza via via fugati dalla cortesia  del soldato  ( It’s seems the enemy… it’s not what we believed)

Inevitabilmente la presenza maschile attiva comportamenti seduttivi, ciascuna a proprio modo, e dinamiche di rivalità, il caro John dà i resti un po’ a tutte come si conviene ad un vero oggetto del desiderio o gallo del pollaio o quel che sia  ma  viene scoperto sul fatto (erotico) e punito nientedimeno con una non necessaria amputazione della gamba.

What have you done to me, you vengeful bitches ?  (e che t’aspettavi?) l’urlo rimbalza per la casa e qui viene il bello : il fascino seduttore si trasforma in arroganza e minacce ricomponendo dissidi e competizioni. La coalizione al femminile ritorna. E per John saranno amarissimi cavoli.

Del resto : We can show ‘em some really Southern hospitality.  Aveva annunciato all’inizio una delle ragazze. Promessa mantenuta.

Minuziosa nel definire i caratteri femminili e le ambientazioni, Sofia Coppola, coadiuvata da un cast e da un direttore della fotografia davvero eccezionali, si riconferma  regista di gran classe, capace di usare con disinvoltura tradizione (gira in 35 mm) e innovazione. Palma d’oro per la regia a Cannes 2017. Strameritata.

l’Inganno è un film di  Sofia Coppola. 2017 con Colin FarrellNicole KidmanKirsten DunstElle FanningOona Laurence.Titolo originale: The Beguiled. Genere Drammatico – USA2017durata 91 minuti. Distribuito da Universal Pictures. in 360 copie

Introduzione (necessaria)

Introduzione (necessaria)

Prima dell’avvio della settantesima Messa Solenne, Thierry Frémaux , qui sopra mentre presidia la montée,  ha pubblicato per Grasset  il bel libro Selection Officielle :  tutto o quasi sulla dura vita del délégué général  du Festival  ovvero del plenipotenziario (lui dice di no) selezionatore di film da portare in Concorso, alla Semaine,alla Quinzaine, al Certain, al Cannes Classics e si presume anche alle proiezioni du Cinéma de la Plage

Se ne consiglia la lettura soprattutto ai delusi e ai sostenitori dell’inutilità dei festival – immancabili in tutte le edizioni – e non tanto perché l’impressionante mole di lavoro debba condizionare le pur indispensabili critiche ma semplicemente per ritrovare tra le pagine in questione  le buone ragioni per cui i festival e i premi servono al Cinema più di quanto si possa pensare.

La mission si compie nell’arco di un anno in giro per il mondo  alla ricerca del Meglio da inserire nei cartelloni  : un occhio alla qualità, uno al mercato, uno alla sperimentazione, uno al glamour, uno alle cose mai viste, uno alle cose che se non le vedessi qui non le vedresti affatto : circa 1800 film, visione  più visione meno, e ancora la scelta dei giurati dei, presidenti, dell’affiche, della maîtresse  o maître de cérémonie, la programmazione degli eventi dei premi speciali e via dicendo.Una corvée da restarci secchi.

Lui invece niente, anzi in contemporanea trova il tempo di dirigere la Cinémathèque di Lione con  relativo Festival Lumière ma soprattutto di dare i resti praticamente a tutti laddove per tutti s’intendono produttori, registi, attori, scrittori, agenti, direttori di festival concorrenti, partner televisivi, media, critici, Governo – che tutto paga – e quest’anno anche di riversare il precipitato di queste sue variegate diverse esperienze in un memoir di seicento pagine.

Infine, fresco come una rosa, ogni sera che il Festival manda in terra, si piazza in cima alla montée assieme al presidente Lescure e, impeccabile padrone di casa,  bacia e abbraccia le star,i registi e i produttori in arrivo.

Resta inteso che azzeccare o meno le scelte dipende dalla sensibilità personale ma molto da quel che passa il convento ovvero la panoramica cinematografica mondiale e sotto questo aspetto, i temi e i modi creativi produttivi e distributivi ci sono stati praticamente tutti. Critiche e polemiche, dalla più sciocca sull’affiche modificata, alla più stucchevole su Netflix sterminatore delle magie da sala, all’inevitabile de profundis dei Festival quando non del Cinema tutto, non scalfiscono l’aplomb du délégué  che in genere procede dritto e soave per la sua strada. Salvo prendere certe impuntature, tipo in questa stagione : non consentire per il futuro la presenza in concorso di  film  non destinati ad essere distribuiti nelle sale francesi.

“Comprensibilmente”, visto che in Francia la tassazione di scopo riguarda anche i biglietti una quota dei quali va direttamente a finanziare il Cinema, senza parlare dell’imprenditoriale aggressività dei potenti distributori francesi –  il cielo ce li conservi – che in questa scelta discriminatoria avranno avuto di sicuro un ruolo non marginale.

Meno comprensibile invece è il credere che l’ostilità verso Netflix possa salvare il Cinema o peggio che un film in sala sia più film di uno visto su uno smartphone o sul televisore di casa. Quella dell’esperienza collettiva, del buio in sala, della bellezza del grande schermo – ammesso che nel frattempo ne sopravviva qualcuno  –  è un’altra storia e,  se si vuole, vale la pena dell’impegno  per una battaglia diversa che ha un senso solo se a favore degli spettatori.Cento milioni di abbonati sono in cerca di emozioni e qualità esattamente come gli spettatori col biglietto in tasca.

Da invenzione senza futuro a incarnare il futuro, il passo è stato breve (e meraviglioso). Sembra impossibile che gente di cinema possa, con lo sguardo rivolto al passato, farsi carico di una battaglia di retroguardia più somigliante a difendere che a costruirli i buoni ricordi.

(segue)

 

 

Effet de légèreté

Effet de légèreté

In principio fu “Cannes è discriminatorio e ignora le donne” e allora toccò alle Marilyn, alle Dunaway, alle Vitti, alle Binoche, alle Bergman, lavare l’onta dell’oblio incartando il Palais e ogni altro luogo nei giorni del festival dentro significativi manifesti esaltanti bellezza eleganza e bravura mentre le Campion, le Varda le Garcia, le Jodie Foster, cercavano il riscatto nei cartelloni del Concorso, del Certain o della Semaine. Poi due anni di pausa con Marcello e i suoi occhiali e Michel sulle scale della villa di Malaparte e ora di nuovo una donna, Claudia Cardinale, entusiastica presenza danzante su fondo fragola. Immancabili polemiche sulla foto che, a quanto pare, sia stata ritoccata per migliorare le gambe o che so io. Lei però, come d’abitudine, è definitiva a mezzo dichiarazione efficace e direi anche fulminante.

Il s’agit d’une affiche, qui au-delà de me représenter, représente une danse, un envol. Cette image a été retouchée pour accentuer cet effet de légèreté et me transpose dans un personnage ; c’est une sublimation… Le souci de réalisme n’a pas lieu d’être ici, et, féministe convaincue, je n’y vois aucune atteinte au corps de la femme.»