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Categoria: La fabbrica del cinema

The crimes we are investigating aren’t crimes, they are ideas

The crimes we are investigating aren’t crimes, they are ideas

Giunti al trentacinquesimo capitolo de La Storia Americana secondo Eastwood – che poi siano Callaghan, Kowalski o Angelina Jolie i tramiti narrativi di questa  epopea non necessariamente gloriosa, poco conta  – la trama prende la piega del biopic d’introspezione psicologica e fatalmente s’inceppa.


Tutta colpa delle tradizionali  ambivalenze clintiane – laico alle prese con l’aldilà,yankee che racconta il punto di vista giapponese su Iwo Jima etcetc –  che al cospetto dei cinquant’anni di servizio di J. Edgar Hoover, capo dell’FBI in un arco di tempo ininterrotto da Coolidge a Nixon compreso , vengono risolte ponendo al centro della scena un’esistenza segnata  da turbe e ossessioni di natura sessuale senza che ciò interferisca minimamente con la tesi tutta conservative del servitore dello stato comunque.



Il che ovviamente non è sufficiente a spiegare l’operato di intercettazioni, trame, manipolazioni, creazioni di mostri e nemici pubblici che animano una materia già di per sé corposa –  complicata tra l’altro da andirivieni temporali e flash back – che a tratti sembra scappare di mano, mentre  la variazione sul tema, per dirla con lo stesso Eastwood, dell’uomo pieno di segreti che indaga sui segreti altrui, non  risulta poi così affascinante come nelle originarie  intenzioni. Stridono certi automatismi – mamma dominante genera disastri e latenze – ma soprattutto convince poco la tesi  che con tutte quelle macchinazioni tecnologiche e indagini tra le lenzuola di dive e first lady e macchine del fango perfettamente oliate, Hoover abbia in realtà messo ordine nel Far West delle procedure investigative americane.


Vero è che su Edgar J. il cinema (pur ritenendo Mc Carty, an opportunist not a patriot, Hollywood è stata uno dei bersagli prediletti di Hoover ) si era già esercitato con produzioni dedicate e non ed un ennesimo film su quanto fosse spregiudicata e fuori da ogni controllo l’FBI da lui reinventata e diretta, non sarebbe stata propriamente avvertita come un’operazione di quelle indispensabili.


Tuttavia, vuoi per i dialoghi – del premio Oscar Dustin Lance Black – vuoi per la recitazione del mutante Di Caprio, coraggioso bellone, qui sfigurato da protesi, dentiere e il cielo sa cos’altro, nelle cinque ore di trucco che gli ci son volute per diventare Edgar J., vuoi per il mestiere di Eastwood che oramai renderebbe interessante pure una carrellata sull’elenco telefonico di Amado, Arizona, vuoi per gl’immancabili  riferimenti all’attualità pre e post 11 settembre, il film risulta miracolosamente da non perdere:


Non fosse altro per quel No one freely shares power in Washington, D.C. Alle volte qualcuno non lo avesse ancora capito.


J. Edgar è un film drammatico della durata di 137 min. diretto da Clint Eastwood e interpretato da Leonardo DiCaprio, Naomi Watts, Armie Hammer, Josh Lucas, Judi Dench, Josh Hamilton, Geoffrey Pierson, Cheryl Lawson, Kaitlyn Dever, Brady Matthews.
E’ anche noto con gli altri titoli “Hoover”.
Prodotto nel 2011 in USA – uscita originale: 11 novembre 2011 (USA) – e distribuito in Italia da Warner Bros nel 2012.

Zitto zitto….(ma il primo attore è un cane)

Zitto zitto….(ma il primo attore è un cane)

Pare che la voce di John Gilbert,  alterata  da primitive tecniche di registrazione, si adattasse più a Topolino che al capitano Kovacs, allo stesso modo, la calata tipicamente popolare di Brooklyn, stroncò la carriera a Constance Talmadge,  specializzata in ruoli da lady più o meno sophisticated ma, in ogni caso, residente all’altro capo del Ponte.


Negli incubi più riusciti di qualunque divo del muto, il cinema si metteva a parlare e le platee ammutolivano. Ce lo racconta  l’aura tragica di Norma Desmond  o con toni meno melodrammatici, la trasformazione che Don e Cosmo infliggono ad  un tal Cavalier che, in omaggio al nuovo corso, da dueling dovette diventare dancing .


l passaggio dal muto al sonoro, in effetti, non fu indolore, né mancarono polemiche e celebri  impuntature – mai e poi mai! –  con premonizioni di prossima fine dell’Arte (a vantaggio di quello che oggi si chiama mercato e allora più elegantemente  profitto). Il cinema muto, all’epoca tutt’altro che declinante, sfornava capolavori del tipo  La Foule, The Enemy, Sunrise: A Song of Two Humans o The Docks of New York e sembrava non aver bisogno di particolari cambiamenti. Men che meno di una rivoluzione.



Tutto questo e molto altro ancora racconta The Artist, arrivato a Cannes –  ultimo minuto di una selezione piuttosto ricca dell’infaticabile Frémaux – a mostrarci come un’ idea originale che generi un prodotto di buona fattura,  possa mettere d’accordo tutti : critica – ovviamente non quella più intransigente che pretendeva maggior rispetto filologico (ma erano due o forse tre) – pubblico, e – col senno di adesso –  selezionatori all’Oscar .


Dunque un film di felice intrattenimento, realizzato come noi immaginiamo dovesse essere un film muto (Murnau non può tornare,impossibile riproporne lo stile, facciamocene una ragione magari organizzando sontuose rassegne in suo onore), in bianco e nero, con lieve accelerazione delle immagini, recitazione intensa e a tratti vagamente gigionesca  a raccontare una storia romantica e commovente, irta di situazioni,  gags, peripezie e sventati (dal cane Uggie , premiato con apposita palma d’oro per la categoria Dog) suicidi, nonché smagliante lieto fine.


Cosa desiderare di più alla soglia della Grande Depressione ( la loro, la nostra) se non di seguire passo passo la vicenda di un divo caparbiamente ostile al nuovo che avanza, di una starlette in rapida ascesa – e mentre sale lei, precipita lui, sì anche questo è risaputo – di un divertente cagnolino che ne ricorda molti altri d’epoca,  godendoci il tip tap forse imperfetto ma scatenato e coinvolgente con l’aggiunta di un bellissimo cameo di Malcom Mc Dowell ?


Il film è valsa la palma (a sorpresa) del miglior attore a Jean Dujardin , bravo lui e proficuo il sodalizio con l’impronunziabile regista  Michel Hazanavicius, già sperimentato nella brillante serie OSS 117,l’antiBond francese.Come dire : la parodia nel DNA.

(Il copione parlato consta di un’ unica battuta, fatta di un unica parola. Che poi è anche l’unica che conti : Action!


The Artist è un film in bianco e nero di genere romantico della durata di 100 min. diretto da Michel Hazanavicius e interpretato da Jean DujardinBérénice BejoJohn GoodmanJames Cromwell,Penelope Ann MillerMissi PyleMalcolm McDowellBeth Grant,Joel Murray, Beau Nelson.
Prodotto nel 2011 in Francia – uscita originale: 12 ottobre 2011 (Fr
ancia) – e distribuito in Italia da Bim Distribuzione .

Tutti pazzi per Elsie Marina

Tutti pazzi per Elsie Marina

Quel che accadde durante le disastrose riprese de Il Principe e la ballerina ,  lo aveva già raccontato con ampiezza di particolari, Norman Mailer nel suo Marilyn e  seppure il tocco decisamente anti britannico, anti Miller, anti Olivier, e incondizionatamente pro-Marilyn, induca il sospetto di una versione dei fatti velata da un minimo di (innamorata) partigianeria, il ritratto della Monroe che ne emerge riesce ad essere egualmente preciso e credibile.


Parte degli episodi salienti e degli umori del soggiorno londinese di Marilyn Monroe,per l’occasione, accompagnata da Artur Miller e da Paula Strasberg, ritroviamo anche in questo My week with Marilyn, tratto dalle memorie di Colin Clark,  assistente di Lawrence Olivier che del Principe e la ballerina fu anche regista.


Storia di un set difficile, di un film modesto ma illuminato dalla presenza di due interpreti d’eccezione, delle reciproche incomprensioni per divergenze non solo artistiche, delle cattiverie di Olivier,della gelosia della di lui moglie Vivien Leigh, del profondo malessere e della fragilità di Marilyn e di come tutto questo non riesca, miracolosamente, a trapelare, ne’ a condizionare l’andamento del film.


Ma soprattutto storia di un mito inossidabile, della sua misteriosa capacità di suscitare negli altri sentimenti forti, raccontata con l’esattezza e la passione degli innamorati e interpretata  (Kenneth Branagh in particolare) da un cast britannico di tutto rispetto.Inevitabilmente, gli unici rilievi la critica ha destinato a Michelle Williams, nella parte della Monroe, ma, credo, sia davvero impossibile per un’attrice, pur preparata, reggere un tale confronto. Ovvero : rendere al meglio la donna che possedeva quella bellezza,quel dolce filo di voce e tutta la pulizia di tutti i cortili americani puliti.

(Norman Mailer non sbagliava a sostenerne l’unicità)




My Week With Marilyn è un film a colori di genere drammatico della durata di 96 min. diretto da Simon Curtis e interpretato da Michelle WilliamsKenneth BranaghEmma WatsonDominic Cooper,Eddie RedmayneJudi DenchDerek Jacobi.
Prodotto nel 2011 in USA  .


Parossistiche vibrazioni

Parossistiche vibrazioni

Dopo the talking cure, ecco qui un altro  dangerous method tardo ottocentesco per il trattamento dell’Isteria, sempiterno e sbrigativo contenitore diagnostico delle più diverse forme reattive, ivi comprese quelle che di patologico hanno ben poco.


Siamo a Londra in epoca vittoriana, nello studio del Dottor Dalrymple,specialista in malattie femminili,  che sottopone le sue ricche pazienti affette da malinconia, frigidità, ansia, rabbia,aggressività, irritabilità, a massaggio pelvico continuativo.Fino al raggiungimento, cioè, di quello che, all’epoca dei fatti, chiamavano parossismo


La singolare terapia viene somministrata con successo dal giovane assistente e futuro genero di Dalrymple, che data  la notevole affluenza, non si risparmia in nome del benessere delle pazienti, salvo accusare, dopo qualche tempo, fastidiosi crampi alla mano.Di qui, il provvidenziale intervento di un amico che sta mettendo a punto l’invenzione di un piumino da polvere elettrico. E dal piumino, antesignano dell’aspirapolvere all’aggeggio che dopo l’uso fa star meglio, il passo è quasi breve.


Nascita del vibromassaggiatore elettrico, ovvero : come realizzare una commedia romantica divertente ed elegante alla maniera di Ivory su un argomento che inclina facilmente al pecoreccio, se maneggiato con poca cura.


Tania Wexler regista brillante e fantasiosa oltre che indipendente, è perfetta nel dosare gli equilibri e particolarmente attenta nel disegnare lo sfondo: il puritanesimo oppressivo e vagamente ipocrita ai tempi del declinante impero di Alexandrina Victoria – la quale, sebbene in regime di assoluta fedeltà coniugale, predicava bene e razzolava ancor meglio tra le lenzuola complice il dotatissimo principe Alberto, degno esponente  della dinastia Coburgo Sassonia, quella che Bismark definiva allevamento degli stalloni d’Europa – ma anche la nascita di una nuova presa di coscienza femminile incarnata dalla figlia ribelle del professore, suffragetta,socialista  e impegnata nell’assistenza dei più deboli – mentre l’altra sorella, quella destinata al matrimonio col giovane dottore è un angelo di domestiche virtù).


Allontanati i rischi del pamphlet politico, della macchietta e della volgarità (anche quella involontaria), il film realizza un’ amalgama ben riuscita  erotico-romantico-esilarante a sfondo sociale, di assoluto godimento (è la parola giusta).


Romafilmfestival mantiene,fin qui, le promesse di rassegna al femminile mentre la Produzione di Hysteria omaggia le spettatrici della Prima di un piccolo gadget elegantemente confezionato in sacchetto rosa. Allegato un biglietto con su scritto “Vibranti emozioni”. Cosa volere di più?



Hysteria è un film a colori di genere commedia, della durata di 95 min. diretto da Tanya Wexler e interpretato da Maggie GyllenhaalHugh DancyJonathan PryceFelicity JonesRupert EverettAshley JensenSheridan SmithDominic BorrelliAnna ChancellorKim Criswell.
Prodotto nel 2011 in Gran Bretagna e distribuito in Italia da Bim Distribuzione.

The talking cure

The talking cure

Atmosfera checoviana, tutta mussole, orologi da taschino e pince-nez. Salvo poi scoprire che le tradizionali efferatezze cronenberghiane vivono egualmente – e nemmeno troppo tra le pieghe – in questo suo  The dangerous method ovvero :   The talking cure dal lavoro teatrale di  Hampton  a sua volta  riadattato da un libro di  Kerr.


Dove si narra della triangolazione, non propriamente  amorosa tra  Freud,  l’allievo prediletto Jung e la di lui paziente Sabine Spielrein la cui schizofrenia, sottratta alle infernali terapie dell’ospedale Burgohzli, sarà trattata appunto con la emergente talking cure:  riesumanti confessioni in luogo di immersioni in acqua gelida e chissà cos’altro.


La Spielrein, com’è noto funzionerà da detonatore nel  contrasto per divergenze  scientifiche dei due psicoanalisti, provocandone la rottura definitiva. Cronenberg si adopera a dar conto di tutto : dal poco deontologico rapporto erotico sentimentale tra medico e paziente, alle differenze d’impostazione tra maestro e allievo, comprese rivalità di generi diversi e del contesto, tra vendicative mogli tradite e poligamici  uffici dell’amico Otto Gross ( Vincent Cassel, sempre perfetto nel ruolo dello sciupafemmine, qui anche  ingravidatore seriale).


L’epilogo racconta  l’inevitabile fine del rapporto d’amore  ma soprattutto il gioco di sponda del terzetto con Sabine che si confida con Freud – e quest’ultimo, manco a dirlo,  severamente la rimprovera – mentre Jung coraggiosamente nega ogni addebito.


Non stupisca la dimensione miserevolmente umana soprattutto dei due conoscitori dell’anima, le cose andarono esattamente così : Sabine cui, tra una disputa e l’altra, furono  persino sottratte (da Freud) intuizioni scientifiche , una volta guarita, diverrà psichiatra – ovviamente freudiana, alla faccia dell’ex – costringerà il reprobo ad ammettere la relazione e infine prenderà il tè con la di lui moglie.


Ogni cosa al suo posto grazie ad un tragitto e ad un metodo pericolosi. Sembrerebbe.


Si attendevano polemiche e smentite dagli addetti che per fortuna non sono arrivate. Meglio così : le visioni, non funestate da chiacchiere sull’intangibilità del Genio, risultano più interessanti e a questo film, dall’accuratezza-  nonostante i territori decisamente ostici –  dei dialoghi alla consueta perfezione formale, non manca nulla per esserlo davvero.





A Dangerous Method è un film di genere drammatico della durata di 99 min. diretto da David Cronenberg e interpretato daViggo MortensenKeira KnightleyMichael FassbenderVincent CasselSarah GadonAndré HennickeArndt Schwering-Sohnrey,Mignon ReméMareike CarrièreFranziska Arndt.
Prodotto nel 2011 in USA e distribuito in Italia da Bim Distribuzione