The talking cure
Atmosfera checoviana, tutta mussole, orologi da taschino e pince-nez. Salvo poi scoprire che le tradizionali efferatezze cronenberghiane vivono egualmente – e nemmeno troppo tra le pieghe – in questo suo The dangerous method ovvero : The talking cure dal lavoro teatrale di Hampton a sua volta riadattato da un libro di Kerr.
Dove si narra della triangolazione, non propriamente amorosa tra Freud, l’allievo prediletto Jung e la di lui paziente Sabine Spielrein la cui schizofrenia, sottratta alle infernali terapie dell’ospedale Burgohzli, sarà trattata appunto con la emergente talking cure: riesumanti confessioni in luogo di immersioni in acqua gelida e chissà cos’altro.
La Spielrein, com’è noto funzionerà da detonatore nel contrasto per divergenze scientifiche dei due psicoanalisti, provocandone la rottura definitiva. Cronenberg si adopera a dar conto di tutto : dal poco deontologico rapporto erotico sentimentale tra medico e paziente, alle differenze d’impostazione tra maestro e allievo, comprese rivalità di generi diversi e del contesto, tra vendicative mogli tradite e poligamici uffici dell’amico Otto Gross ( Vincent Cassel, sempre perfetto nel ruolo dello sciupafemmine, qui anche ingravidatore seriale).
L’epilogo racconta l’inevitabile fine del rapporto d’amore ma soprattutto il gioco di sponda del terzetto con Sabine che si confida con Freud – e quest’ultimo, manco a dirlo, severamente la rimprovera – mentre Jung coraggiosamente nega ogni addebito.
Non stupisca la dimensione miserevolmente umana soprattutto dei due conoscitori dell’anima, le cose andarono esattamente così : Sabine cui, tra una disputa e l’altra, furono persino sottratte (da Freud) intuizioni scientifiche , una volta guarita, diverrà psichiatra – ovviamente freudiana, alla faccia dell’ex – costringerà il reprobo ad ammettere la relazione e infine prenderà il tè con la di lui moglie.
Ogni cosa al suo posto grazie ad un tragitto e ad un metodo pericolosi. Sembrerebbe.
Si attendevano polemiche e smentite dagli addetti che per fortuna non sono arrivate. Meglio così : le visioni, non funestate da chiacchiere sull’intangibilità del Genio, risultano più interessanti e a questo film, dall’accuratezza- nonostante i territori decisamente ostici – dei dialoghi alla consueta perfezione formale, non manca nulla per esserlo davvero.
A Dangerous Method è un film di genere drammatico della durata di 99 min. diretto da David Cronenberg e interpretato daViggo Mortensen, Keira Knightley, Michael Fassbender, Vincent Cassel, Sarah Gadon, André Hennicke, Arndt Schwering-Sohnrey,Mignon Remé, Mareike Carrière, Franziska Arndt.
Prodotto nel 2011 in USA e distribuito in Italia da Bim Distribuzione
6 pensieri riguardo “The talking cure”
io ricordo ancora con piacere Prendimi l’anima, il bel film di Roberto Faenza. Vedremo anche questo.
(Ma com’è che latiti, da un po’?)
Come no e spingeva il racconto ben oltre la rottura con Jung.A me poi Faenza piace tantissimo.
Latito è vero e me ne dispiace. C’ho un problema con le parole per dire le cose.Tutto mi sembra rifritto (poi ho anche case, lavoro e famiglia/e da combinare insieme e non è una cosa mai semplice)
E’ un film che mi incuriosisce assai, sia per il tema che per il regista. Andrò senz’altro…
…quanto alle “latitanze”, ti capisco… è una sensazione che ho anch’io quella del “rifritto”
Se ti piace Cronenberg (ti piace Cronenberg veeeero?)amerai anche questo suo film sottilmente crudele ed elegante.
Per il rifritto,è una vera tortura.Le parole rimbalzano troppo e sembrano sempre le stesse.Sarei contenta solo se dietro la resistenza a mettere nero su bianco, si nascondesse un briciolo di rispetto per il “lettorato”.Già sarebbe qualcosa.
Invece col lavoro non mi capita.Eppure anche lì le parole sono sempre le stesse…
Eccome se mi piace Cronenberg!!!
Quanto al “rifritto”, almeno per ciò che mi riguarda, si tratta di periodi più o meno fisiologici. A me è capitato di recente… sono stato fermo per circa due mesi e poi, da poco, ho pian piano ripreso. Quello che mi dà noia, oltre al fatto di dire bene o male sempre le stesse cose, è la fenomenologia del baretto virtuale. Un blog dovrebbe essere un’agorà con gente che viene e che va, ed invece molto più spesso somiglia ad un bar di periferia con i soliti avventori che ormai si conoscono talmente bene da prevederne con esattezza i vari commenti.
Insomma: non solo ciò che si scrive è sempre lo stesso (e passi), ma anche quello che si legge non sorprende più…
Da amante di Cronenberg sono curiosissima di vederlo in questa veste “inedita”.
Tra l’altro gli attori coinvolti mi piacciono tutti.