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Categoria: La fabbrica del cinema

Con questo regista e questo film …

Con questo regista e questo film …



Tempo verrà anche per i detrattori, per la critica schizzinosa e per quelli cui piace passare per esigenti e fuori dal coro. Nell’attesa,  Habemus papam è già diventato HP, apprezzamenti e paragoni benevoli si sprecano in un’ unanimità consenziente e vagamente affettuosa. Il che non guasta.


L’idea del papa controvoglia, depresso,  in ansia da pontificato, crisi d’inadeguatezza, panico da possibili confronti col predecessore, deficit da accudimento e, come se non bastasse, in fuga da responsabilità connesse alla funzione pastorale, ha trovato tutti concordi per originalità della pensata (o facilità d’ identificazione).


Difficile dunque scrivere di un film di cui tutti parlano – da mesi –  atteso, come lo sono in genere i film di Moretti, non deludente e con battute destinate ad accrescere il novero già straripante delle citazioni e delle metafore sportive o cinematografiche. Difficile anche non scadere nel risaputo e nel ripetitivo.


Ma a voler seguire scrupolosamente le indicazioni morettiane sulla molteplicità ( senza esagerare) delle letture possibili, quella contro cui si va a sbattere inevitabilmente è l’Ossessione del Potere – teocratico peraltro,  il più distante e complicato da decifrare – nei suoi differenti corollari, in questo caso è dominante il Panico, esattamente come in altri fu la Follia  nella variante del Delirio di Onnipotenza.


A dirla tutta, l’immagine dell’uomo investito nientedimeno che dallo Spirito Santo che, schiacciato dell’enormità del compito, asseconda l’irrefrenabile istinto di fuga rinunziando ad affacciarsi alla finestra per ricevere l’acclamazione della folla, non ci è troppo famigliare, circondati come siamo da uomini e donne che per un millesimo dell’investitura e dell’ acclamazione venderebbero la mamma. Non parliamo poi di quel che darebbero per stare eternamente davanti a quella finestra. Ad ante spalancate.


Ergo: questo papa che chiama in causa il disagio da senso d’inadeguatezza proprio ci voleva.


Tutto il  resto – dalla regia, alla sceneggiatura, alle luci, alle ambientazioni, ai costumi –  è meticolosità e precisione tipica in Moretti. Film oltretutto benedetto – a proposito di perfezionismodal Cardinal Ravasi  (ma non ancora dall’Osservatore Romano), con un Michel Piccoli talmente bravo da far scomparire tutti i papi, e non sono pochi, del cinema. Esce in cinquecento copie, per la gioia di chi non dovrà percorrere chilometri per goderselo.


Con questo regista e questo film si potrebbe vincere Cannes 2011.





Habemus Papam è un film di Nanni Moretti del 2011, con Michel Piccoli, Nanni Moretti, Jerzy Stuhr, Renato Scarpa, Margherita Buy, Franco Graziosi, Camillo Milli, Roberto Nobile, Ulrich von Dobschütz, Gianluca Gobbi. Prodotto in Italia, Francia. Durata: 102 minuti. Distribuito in Italia da 01 Distribution

La leggenda dice che ci so fare

La leggenda dice che ci so fare

Agiografico in tutte le accezioni del termine e per il metodo di  ricostruire vita, opere – e pertanto miracoli – di Silvio Berlusconi attraverso un ineccepibile lavoro di cucitura di materiali d’archivio. Ortografia secca e precise imbastiture  per un lavoro raffinato in cui la non interferenza degli autori con la vicenda, genera un meccanismo narrativo che mette la definizione del personaggio – peraltro arcinoto – in sottordine rispetto alle ragioni del mito e dell’ascesa . Rintracciando queste ultime  in una sintonia col popolo italiano che trascende la rappresentanza fino a sfiorare o immergersi nell’identificazione.


Dunque non un pamphlet antagonista con una serie di tesi da dimostrare ma semplicemente un film di montaggio con la storia di Silvio Berlusconi raccontata in presa diretta e viva voce dallo stesso protagonista. Supplente Neri Marcorè quando manca il titolare.



Un sollievo per chi è stanco di misfatti,  di date e indagini, di contestazioni di reato e sentenze. Sedersi in sala per credere. Magari osservando le reazioni del pubblico, deliziate per comicità involontaria o sinceramente affascinate dalla vicenda umana e politica che si  svolge innanzi ai loro occhi.

Quando si dice un film per tutti.


Oppure un modo per far prendere una vacanza al Berlusconi che è in noi.


(Nelle manifestazioni di ieri al Palazzo di Giustizia di Milano, una sorta di postfazione al Berlusconi forever di Rizzo, Stella, Faenza Macelloni :

Due sparute fazioni, una di sostenitori, l’altra di detrattori (entrambe in costume), si contendevano il Divo che, all’interno di una berlina scura e con tanto di scorta a piedi, faceva il suo trionfale ingresso per presenziare, dopo otto anni, ad un’udienza tecnica del procedimento Mediatrade. In aula è successo assai poco ma gli strepiti, i titoli, i telegiornali, le interviste gli slogan,  i predellini, gli striscioni e le note di colore sono state tali da far impallidire il rumore che producevano le udienze  dell’affaire Dreyfuss.

Il tutto preceduto al mattino, da una telefonata a Rete di proprietà, in diretta, durante una trasmissione condotta da uno dei Fedeli, tanto per ribadire la propria innocenza e lamentare le solite  persecuzioni. Silvio forever. Facciamo Silvio basta?)




Silvio Forever è un film di Roberto FaenzaFilippo Macelloni del 2011, conSilvio Berlusconi. Prodotto in Italia. Durata: 85 minuti. Distribuito in Italia da Lucky Red

Gesuzza e Carmeliddu

Gesuzza e Carmeliddu

Al pari delle Serpieri, dei Franz Mahler, delle Sedara e dei principi di Salina  che con Visconti  hanno  raccontato il Risorgimento attraverso l’inesorabile declino di un mondo   –  agonizzante ma abbastanza vitale da  contaminare con i suoi  vezzi e le sue pessime inclinazioni il nuovo in ascesa –  Gesuzza e Carmeliddu, di quella stessa epoca risorgimentale, rappresentano non un differente punto di vista, ma direttemente un’altra dimensione.


Accomunate le visioni da un preciso intento antiretorico – ma per Visconti  anni 50- 60 era forse più facile che per Blasetti a metà degli anni 30 e dunque in pieno fascismo – il racconto dell’impresa dei Mille viene mostrata come atto improvvisamente risolutivo e drastico – l’allusione al 1921 è inevitabile, poichè 1860 è comunque  un film di regime –  di divisioni, di teorie,di argomentazioni e dissidi tra gl’italiani alla vigilia dell’unificazione e puntualmente annotati nel corso di un viaggio che Carmeliddu intraprende attraverso la penisola.


Protagonista principale non un singolo personaggio con la sua particolare vicenda, ma la massa, il popolo, risentendo il film degli echi del contemporaneo cinema russo, come pure riferito da Georges Sadoul  che anzi riconosce in 1860 la parentela di questo perfetto esercizio di stile con il Griffith di Birth of a nation e più ancora con l’Eseinstein di Que viva Mexico o il Pabst di Don Chisciotte.


Ma soprattutto in 1860 colpiscono le ragioni con le quali Blasetti spiega la vittoria dei garibaldini, numericamente inferiori e male equipaggiati rispetto ai soldati borbonici : quella milizia era un corpo senz’anima : mancava una coscienza centrale, mancava oramai lo scopo ideale di esistenza.Calatafimi oltre che un fatto d’armi è soprattutto una grande lezione di morale storica e di ottimismo : la stessa violenza non è mai cieca o bruta, ma agisce in funzione dello spirito che la informa.(Alessandro Blasetti, Il Mattino, Napoli 24 novembre 1933)


Facile a scriversi, meno a essere rappresentato in immagini (che saranno di rara potenza con inquadrature, data l’epoca, prodigiose).


La giustezza di una causa e le ragioni di una rivoluzione raccontate da due registi italiani che hanno reso grande il Cinema –  e non solo il nostro – sono motivi sufficienti per ritenere  futili e artificiosi i distinguo di questa giornata che comunque è riuscita ad essere lo stesso di festa.


La nostra storia del resto è storia di divisioni e disparati sentimenti  che spesso hanno reso difficile la ricerca del Bene Comune. Forse l’ultimo atto di quella rivoluzione sarà imparare a convivere con le differenze.

I nostri predecessori , tra repubblicani, monarchici, socialisti, autonomisti e ammiratori del  papa, ad un certo punto, misero da parte le loro, ritenendo prioritario sopra ogni forma di governo futuro, l’obiettivo di unificare la patria. Noi che viviamo epoche non meno difficili  non dovremmo rinunciare a  fare altrettanto



1860 – I mille di Garibaldi è un film di Alessandro Blasetti del 1934, con Giuseppe Gulino, Aida Bellia, Gianfranco Giachetti, Mario Ferrari, Maria Denis, Ugo Gracci, Vasco Creti, Totò Majorana, Otello Toso, Laura Nucci. Prodotto in Italia. Durata: 80 minuti.

Marriage is hard..

Marriage is hard..

The kid are all right. I ragazzi stanno bene. E se non ci si mettessero le stroncature e gl’insulti  della Critica Cinematografica delle Libertà, starebbero anche meglio.


Passi la  coppia omosessuale – se ne incontrano col marchio Medusa e senza particolari sconvolgimenti –  ma il regolare matrimonio con figli da fecondazione eterologa e per di più legalmente riconosciuti, dev’essere sembrato troppo persino ai libertari dell’ognuno a casa sua si regola come gli pare.


Tanto più se il caso vuole che la distribuzione Lucky Red renda ognuno libero da qualsiasi remora.


E allora vai con le espressioni, le spiritosaggini e la filosofia da bar di sotto e vai pure con la difesa sperticata del premier, incautamente contraddetto a Romafilmfestival da una esterrefatta Julianne Moore che alla domanda ” cosa ne pensa dell’ assunto meglio appassionarsi di belle ragazze che essere gay. ” aveva replicato come qualsiasi persona di buon senso avrebbe fatto ” ma che scemenza”. Apriti cielo.


Invece nel film la sceneggiatura risulta assai credibile, vicina a quella realtà, lodevolmente priva di  idealizzazioni lesbo militanti e piuttosto orientata  a lasciar trapelare dinamiche da coppia –  o famiglia –  qualsiasi. Proprio quelle che rendono ogni matrimonio  hard, a prescindere dal genere dei contraenti.


E se i ragazzi stanno tutti bene (e i Diritti delle persone, negli altri paesi, trovano miglior attenzione e rispetto che da noi),  le ragazze, cinquantenni e oltre ma senza  troppo trucco e ritocco, sono bravissime. Come pure la regista  Lisa Cholodenko, omosessuale dichiarata che qui mette in campo, con successo e disinvoltura,  tutto il suo know how matrimoniale.

Ovviamente, secondo i critici in questione, le signore non rappresentano che il segmento lesbo- chic – radical di propaganda omosessual hollywoodiana. Immaginando con quali parole d’ordine, lasciamoli dire.







I ragazzi stanno bene è un film di Lisa Cholodenko del 2010, con Julianne Moore, Annette Bening, Mark Ruffalo, Josh Hutcherson, Mia Wasikowska, Yaya DaCosta, Rebecca Lawrence, Kunal Sharma, Amy Grabow, Eddie Hassell. Prodotto in USA. Durata: 104 minuti. Distribuito in Italia da Lucky Red

Te lo danno loro il western (Wayne chi?)

Te lo danno loro il western (Wayne chi?)

The true Grit. Ed è chiaro fin da subito che il vero Grinta non è quello che  insegue  i fuorilegge al galoppo e con le redini tra i denti perchè ha le mani occupate (una dal fucile, l’altra dalla pistola)

Come è altrettanto chiaro che il  vero, l’autentico Grinta lo hanno realizzato  loro, i Coen, ricostruendo il film sul romanzo di Charles Portis  True Grit e non sui pur noti Precedenti.


E infatti, che rottura il Remake. Con tutti quegli assilli filologici,  i richiami,  i paragoni, senza poi contare il rischio concreto di farsi mettere i piedi in testa dai Monumenti (che nel caso sarebbero stati parecchi).

Così facendo si sarebbe finito per privilegiare lo sfondo, celebrando il  risaputo a tutto scapito della storia. E invece no.

Dunque via il Grinta e via John Wayne  per far largo al genere western dei momenti migliori, cioè senza redenzioni, lezioni morali, burberi benefici e donnette troppo petulanti per essere vere.


Qui abbiamo la storia di Mattie Ross, ragazzina che vuole Giustizia con tale infantile determinazione da essere lei The True Grit e non Rooster Gogburn che in fondo è solo un vecchio sceriffo con la benda, tutto carneficine ed efferatezze.

Il resto procede nella perfezione marcata Coen. Belle immagini, attori ineccepibili, musica all’altezza, frasi memorabili già sulla bocca di tutti. Il film non in concorso, ha aperto la Berlinale ma nonostante le nominations, nemmeno un Oscar.






Il grinta è un film di Ethan Coen, Joel Coen del 2010, con Hailee Steinfeld, Jeff Bridges, Matt Damon, Josh Brolin, Barry Pepper, Dakin Matthews, Jarlath Conroy, Paul Rae, Domhnall Gleeson, Leon Russom. Prodotto in USA. Durata: 110 minuti. Distribuito in Italia da Universal Pictures