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Categoria: La fabbrica del cinema

Why would I want to talk to David Frost?

Why would I want to talk to David Frost?

Da storica intervista televisiva, a pièce teatrale  di successo, a film,  ritrovando il racconto, in quest’ultima trasformazione, un brillante condensato di tre differenti generi. Consacrato da cinque nominations di quelle pesanti, including the best picture, come avvertono le locandine e i trailers, omaggio alla fatica di mettere in scena, lo storico match  in cui David Frost, anchor inglese privo di qualsiasi credito politico, incalzò talmente Richard Nixon, unico presidente degli Stati Uniti ad essersi dimesso,  da indurlo ad ammettere per la prima volta in pubblico le sue responsabilità nello scandalo Watergate. Ma anche storia degli antefatti, dei retroscena, del come si arrivò allo scontro televisivo, attraverso una lunga preparazione e ad un misurarsi reciproco assai simile a quello dei lottatori o dei pugili.

I protagonisti – Shenn e Langella – sono gli stessi della commedia di Peter Morgan, dunque da una parte pienamente avvezzi ai ruoli, dall’altra impegnati a moltiplicare gli sforzi innanzi alla cinepresa che a differenza del pubblico in teatro, scruta e mette a fuoco ogni dettaglio, così implacabile  da rendere evidente la più piccola falsificazione o il più infinitesimale degli errori. Bravi nel rendere l’uno, il presidente caduto in disgrazia che passò il resto della sua vita a cercare di risorgere, l’altro in quelli del conduttore d’intrattenimento per il quale quell’intervista rappresentò l’avvio  di ben diverse fortune professionali. Un Ron Howard inatteso in grado di rendere quell’evento sensazionale e i relativi  colpi  bassi come un’elegante raffinata partita a scacchi. Un gran bel film.

 Qui è possibile vedere The original Watergate  interviews, il vero scontro a fuoco del 1977 andato in onda per la televisione inglese in quattro puntate.

 

 

Frost/Nixon è un film di Ron Howard. Con Frank Langella, Michael Sheen, Kevin Bacon, Rebecca Hall, Toby Jones Titolo originale Frost/Nixon. Drammatico, durata 122 min. – USA 2008. – Universal Pictures

 

Sweet home?

Sweet home?

Davanti ad una casa priva di vie d’accesso,  laddove altri hanno il giardino o il cortile,  loro hanno un’autostrada mai terminata, chiusa da dieci anni, deserta. Loro sono una bizzarra famiglia e utilizzano quello spazio un po’ surreale come veranda, parco giochi, solarium, pista di pattinaggio. Si direbbero un gruppo compatto, lieto, giocherellone, ma a ben vedere quella  ricerca di felicità vissuta ai margini, lontana da mode e da rumori nasconde seri squilibri. Quando all’improvviso  l’autostrada sarà ultimata e prenderà a funzionare rendendo loro difficoltosa la sopravvivenza,  reagiranno come sempre : ignorando la realtà fino all’autoesclusione, alla rinuncia,  murandosi in casa per sfuggire ai rumori e all’inquinamento


Opera prima – documentari a parte –  di Ursula Meier, molto apprezzata a Cannes e dalla critica francese in genere. Meno dalle nostre parti, dove il film è stato giudicato cerebrale e un po’ troppo metaforico. In realtà la sceneggiatura funziona benissimo mentre cresce il disagio o quando, da piccoli e grandi indizi, viene rivelata la natura sostanzialmente folle  di quell’ insieme domestico. Ma essendo la narrazione costruita pietra su pietra, per essere destinata ad un finale tragico, l’happy end che la regista ammette di aver voluto inserire all’ultimo momento, squilibra l’economia del racconto,  risultando spiazzante e curiosamente stonato, quell’ improvviso risolversi della tensione, banalmente …nel trionfo dell’amore.

Il nemico non viene da fuori a turbare una serenità che non esiste e in cui ci  ostiniamo  a credere, il nemico è dentro di noi. Negazione ed autodistruzione procedono di pari passo. Sbaglia la critica che ha bollato questo film come criptico.

Grandissima Isabelle Huppert regina – e probabile artefice – incontrastata dell’Incubo Domestico e magnifica interprete del disastro psichico sotterraneo, ruolo a lei congeniale e già largamente sperimentato.

Futura Presidente della Giuria a Cannes 2009, compito che si propone di assolvere democraticamente con  occhio particolarmente attento al cinema di qualità che però richiami il grosso pubblico. Aspettando un nuovo Fellini. Che arrivi o meno, una cosa è certa : Isabelle sarà all’altezza.

Home è un film di Ursula Meier. Con Isabelle Huppert, Olivier Gourmet, Madeleine Budd, Kacey Mottet Klein, Adélaïde Leroux Drammatico, durata 95 min. – Svizzera, Francia, Belgio 2008. – Teodora Film

 

…e vai con Wagner

…e vai con Wagner

 


Bryan Singer, regista di rango alla prova di thriller emozionanti – The Usual Suspects, Legal Eagles, X Men – qui si cimenta con il filone sempreverde dei film sul nazismo, mentre dello stesso Genere stanno per arrivare qui da noi anche altri esemplari  – Good, Ingloriosous Basterd, The Reader – avendo il pubblico italiano già visto DefianceIl bambino dal pigiama a righe. Tutta colpa dell’11 settembre –  dicono – e del ritorno di quel senso di smarrimento e di morte per niente che l’idea delle stragi naziste implica.

Film preceduto e seguito da polemiche a non finire – germaniche specialmente – circa l’opportunità che un esponente di Scientology interpretasse il ruolo di un eroe nazionale ovvero gran preoccupazione per la lunga teoria di disgrazie, contrattempi e abbandoni  durante la lavorazione. Tutto questo fino alle varie Première europee, allorquando al consueto repertorio di rumors  si è  aggiunta – nonostante la pignoleria degli sceneggiatori –  la Madre di tutte le Querelles, quella sull’attendibilità storica, sui buoni e sui cattivi etc etc etc

Ciò che invece non è per niente chiaro e che nemmeno William Shirer, storico del Terzo Reich, ;rivela, è come fu  possibile che nell’ambito dell’operazione Valchiaria – uno dei dieci o dodici tentativi, purtroppo andati a male, di putsch contro Hitler – l’innesco dei due ordigni da sistemare nella Wolfsschanze, sia stato affidato ad un orbo, con una mano sola e due dita mancanti da quella cosiddetta buona. Tale era la condizione di Herr Kolonnel von Stauffenberg – il protagonista – all’epoca dei fatti.

Per il resto su Claus Philipp Maria Schenk Graf von Stauffenberg,  Shirer scrive che il ripensamento sul nazismo fu un po’ troppo tardivo e il complotto fortemente sospetto di voler semplicemente sostituire un gruppo di potere ad un altro, volendo i congiurati eliminare da quel regime solo gli stermini, tenendosi però tutto il resto. Cioè l’idea della Grande Santa Germania.

Mentre altri invece sono convinti che la congiura fu ordita per instaurare una sorta di regime liberaldemocratico e che il colonnello Claus fosse un eroe. Coraggioso invero lo fu, ma sfortunato oltreché obiettivamente impedito da quelle sue menomazioni. Ragion per cui, non riuscì ad innescare la seconda delle due cariche previste. Inoltre la riunione presieduta da Hitler non si tenne in quella stanza  ma altrove, poiché era luglio e faceva caldo. L’esplosione ci fu, ma il Führer se la cavò con qualche graffio. I congiurati invece furono passati per le armi il giorno stesso.

Ma qualunque sia la valutazione su Von Stauffenberg e su Cruise, legnoso & assorto, del resto come sempre –  atteso che un conte tedesco elegante ed austero, appartenente alle alte sfere militari, non è che esprima tanto di più- sarebbe un errore pensare a questo film come un prodotto scontatamente hollywoodiano. Molto perché risente della documentata ed elegante regia, molto perché il racconto poggia su di una ricostruzione accurata e su ipotesi razionali  in cui i personaggi non risultano, tutto sommato, centrali, col risultato che il rischio retorico santificante sfuma nella storia o nelle storie. Che poi è quel che più conta.

 

Operazione Valchiria è un  film di Bryan Singer. Con Tom Cruise, Kenneth Branagh, Bill Nighy, Tom Wilkinson, Carice van Houten Titolo originale Valkyrie. Thriller, durata 120 min. – USA, Germania 2008. – 01 Distribution

Sister Meryl, Father Philip

Sister Meryl, Father Philip

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L’unico dubbio che non rimane dopo la visione di questo cupo e claustrofobico film, è che L’Academy possa esimersi dal rifilargli – vista anche la scariolata di nominations –  qualche statuetta. Per il resto, in omaggio al titolo,  gl’interrogativi si susseguiranno dal primo all’ultimo fotogramma, senza tregua.

Andatura classica, classicissima – ma non per questo vecchia – secondo un filone Hollywoodiano che a quanto sembra di capire, torna a prendere piede – Valchiria, Appaloosa etc – e tutto questo dopo una stagione cinematograficamente apocalittica, sanguinolenta e priva di speranza che sembrava non voler finire più. Magari anche gli studios hanno inaugurato la loro era della Responsabilità. Purché non esagerino.

 Dunque old fashioned way, a partire dall’elogiatissima sceneggiatura, un testo teatrale di John Patrick Shanley  che nel travaso cinematografico , operazione mai semplice, nulla  ha smarrito dell’originaria e ben congegnata struttura. (peraltro in questa stagione, la versione teatrale, interpretata da Stefano Accorsi e Lucilla Morlacchi per la regia di Sergio Castellitto, è prevista nel cartellone di diverse città)

Senza considerare gli attori – tutti nominati – che nemmeno recitano, calzano il ruolo senza l’ingombro di sostanze aggiuntive.

E’ il 1964, Kennedy è stato assassinato l’anno prima e Vaticano II promette un’apertura epocale della chiesa alla modernità. Il clima politico sembra annunciare gran cambiamenti  a venire ed è proprio a questo nuovo in avanzata che suor Aloysius, inflessibile preside di una scuola cattolica del Bronx, intende resistere.

Occasione di molti dubbi è un possibile  crimine – tra i più odiosi e all’epoca  meno confessabili – le attenzioni, in odore di molestia, che il progressista e carismatico padre Flynn sembrerebbe rivolgere al primo allievo di colore della scuola.

Il dubbio di colpevolezza rimarrà tale, non essendo interessante ai fini del racconto accertare quel tipo di verità. Dunque, non ci troviamo  al cospetto di una detection, bensì di un’autentica macchinazione della sceneggiatura che, attraverso uno scontro senza demonizzazioni né santificazioni tra un asfissiante conservatorismo e un progressismo battagliero ( ma che però alla fine sceglierà la ritirata) , insinua rovelli a getto continuo nello spettatore.

Privi di chiavi di lettura, non rimangono che riflessioni e per l’appunto dubbi e anche se l’autore nega il tema religioso come centrale, non si può fare a meno di connettere la natura intransigente di Sister Aloysius che, esclusivamente sulla scorta di intuizioni e sospetti, senza cioè prove effettive,  perseguita Father Flynn, con la recente intolleranza ecclesiastica, favorevole a pene capitali, laddove previste, pur di ostacolare la depenalizzazione di rapporti omosessuali tra adulti consenzienti.

Ma assumere il dubbio come criterio guida  significa anche farsi carico di innumerevoli peccati di eresia. Un rischio che non sempre paga assumersi in epoche di granitiche certezze e di apparenze che ingannano. Scontro titanico Streep vs Seymour a parte, straordinaria prova di Viola Davis nel ruolo della madre del bambino

 

 

Il Dubbio è un film di John Patrick Shanley. Con Meryl Streep, Philip Seymour Hoffman, Amy Adams, Viola Davis, Lloyd Clay Brown Titolo originale Doubt. Drammatico, durata 104 min. – USA 2008. – Walt Disney

Su di una rossa mongolfiera

Su di una rossa mongolfiera

 

 

 

 


Quando ti sembra di essere divenuto incomunicabile col  mondo che ti circonda, meglio cambiar aria. E ciò ad evitare che insoddisfazioni e senso di isolamento, ti trasformino in un essere bizzoso, capace solo di coltivare rancori.

E così,  lo stoccaggio delle bottiglie vuote di un supermercato, diventa un’occasione rigenerante per l’anziano professore che, lasciata la scuola,  non intende rinchiudersi in un pensionamento che rimbambisce. Di questa avventurosa scelta trarranno profitto,  inaspettatamente anche le persone che, nella nuova esperienza,  gli si faranno intorno, catturate dalla straordinaria vitalità e da un senso dell’ umorismo ispido e sottile

Terzo capitolo della trilogia cominciata con Scuola elementare e proseguita con Kolja , questo Vuoti a rendere del pluridecorato Jan Sverak e di suo padre Zdenek – protagonista e autore, nel contempo -  si avvale di una sceneggiatura ben congegnata in cui tra le righe del racconto emerge un universo di relazioni e i contrasti tra vecchio  e nuovo mondo ( siamo a Praga) oltre che un’approfondita analisi dell’animo umano che però, nonostante il tema, viene condotta senza indulgere  nel pietismo e nella retorica ma nemmeno nella rappresentazione di maniera della vecchiaia arzilla.

 Poichè di sicuro non si possono rimpiangere stagioni in cui nei negozi c’erano per mesi e mesi solo pomodori e cetrioli sottaceto, ma all’epoca della Primavera di Praga il professore e sua moglie avevano vent’anni, disponendo di ben altri spazi e coltivando speranze rimaste purtroppo disilluse, mentre il presente sembra solo fatto di scontento e recriminazioni. Dunque, non su una forma di generico ottimismo è  fondata la storia ma sulla possibilità concreta di tirarsi fuori dalle peste se solo si smette di assecondare l’inerzia, l’ineluttabilità, il circolo vizioso.

Amore per il cinema manifestato in copiose citazioni  : nella struggente apparizione  del Ferroviere, omaggio a Treni strettamente sorvegliati di Menzel. Nel viaggio in mongolfiera per festeggiare l’anniversario di nozze ( ed un rapporto ritrovato) in onore di Giulietta degli Spiriti e di Federico Fellini.

 

Vuoti a rendere, è un film di Jan Sverak. Con Zdenek Sverak, Tatiana Vilhelmová, Daniela Kolarova, Alena Vránová, Jirí Machacek Titolo originale Vratné lahve. Commedia, durata 100 min. – Repubblica ceca, Gran Bretagna 2007. – Fandango