Sister Meryl, Father Philip

Sister Meryl, Father Philip

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L’unico dubbio che non rimane dopo la visione di questo cupo e claustrofobico film, è che L’Academy possa esimersi dal rifilargli – vista anche la scariolata di nominations –  qualche statuetta. Per il resto, in omaggio al titolo,  gl’interrogativi si susseguiranno dal primo all’ultimo fotogramma, senza tregua.

Andatura classica, classicissima – ma non per questo vecchia – secondo un filone Hollywoodiano che a quanto sembra di capire, torna a prendere piede – Valchiria, Appaloosa etc – e tutto questo dopo una stagione cinematograficamente apocalittica, sanguinolenta e priva di speranza che sembrava non voler finire più. Magari anche gli studios hanno inaugurato la loro era della Responsabilità. Purché non esagerino.

 Dunque old fashioned way, a partire dall’elogiatissima sceneggiatura, un testo teatrale di John Patrick Shanley  che nel travaso cinematografico , operazione mai semplice, nulla  ha smarrito dell’originaria e ben congegnata struttura. (peraltro in questa stagione, la versione teatrale, interpretata da Stefano Accorsi e Lucilla Morlacchi per la regia di Sergio Castellitto, è prevista nel cartellone di diverse città)

Senza considerare gli attori – tutti nominati – che nemmeno recitano, calzano il ruolo senza l’ingombro di sostanze aggiuntive.

E’ il 1964, Kennedy è stato assassinato l’anno prima e Vaticano II promette un’apertura epocale della chiesa alla modernità. Il clima politico sembra annunciare gran cambiamenti  a venire ed è proprio a questo nuovo in avanzata che suor Aloysius, inflessibile preside di una scuola cattolica del Bronx, intende resistere.

Occasione di molti dubbi è un possibile  crimine – tra i più odiosi e all’epoca  meno confessabili – le attenzioni, in odore di molestia, che il progressista e carismatico padre Flynn sembrerebbe rivolgere al primo allievo di colore della scuola.

Il dubbio di colpevolezza rimarrà tale, non essendo interessante ai fini del racconto accertare quel tipo di verità. Dunque, non ci troviamo  al cospetto di una detection, bensì di un’autentica macchinazione della sceneggiatura che, attraverso uno scontro senza demonizzazioni né santificazioni tra un asfissiante conservatorismo e un progressismo battagliero ( ma che però alla fine sceglierà la ritirata) , insinua rovelli a getto continuo nello spettatore.

Privi di chiavi di lettura, non rimangono che riflessioni e per l’appunto dubbi e anche se l’autore nega il tema religioso come centrale, non si può fare a meno di connettere la natura intransigente di Sister Aloysius che, esclusivamente sulla scorta di intuizioni e sospetti, senza cioè prove effettive,  perseguita Father Flynn, con la recente intolleranza ecclesiastica, favorevole a pene capitali, laddove previste, pur di ostacolare la depenalizzazione di rapporti omosessuali tra adulti consenzienti.

Ma assumere il dubbio come criterio guida  significa anche farsi carico di innumerevoli peccati di eresia. Un rischio che non sempre paga assumersi in epoche di granitiche certezze e di apparenze che ingannano. Scontro titanico Streep vs Seymour a parte, straordinaria prova di Viola Davis nel ruolo della madre del bambino

 

 

Il Dubbio è un film di John Patrick Shanley. Con Meryl Streep, Philip Seymour Hoffman, Amy Adams, Viola Davis, Lloyd Clay Brown Titolo originale Doubt. Drammatico, durata 104 min. – USA 2008. – Walt Disney

4 pensieri riguardo “Sister Meryl, Father Philip

  1. La trama sa di “deja vu”,ma, come dici tu, il fine non è la storia in sé… Vabbeh, aspettiamolo fra un paio di anni, fosse solo per godermi la Meryl Streep, che in qui panni mi pare già di vederla…..;-)

    ( ieri sera ho visto su sky un film delizioso, non recentissimo, del 2004 “Le ricamatrici”di Éléonore Faucher. Veramente gradevole!!! )

  2. Un film molto carino, me lo ricordo bene anche se il passaggio per le sale è stato velocissimo.

    Del resto, i film usciti in settembre sono già in dvd. Oramai se non cogli l’attimo, c’è sempre l’attimo dopo…

    Se penso alla “tenitura” del Dottor Zivago nei cinema…mesi e mesi.

  3. io è da bel po’ che colgo l’attimo. Ci sono film che sono stati in sala “ben” due giorni e poi mai più visti.

    Vorrei capire come fanno i gestori a stabilire che quelle pellicole “non incontrano”

    Bello Le ricamatrici, visto al cineforum anni fa

  4. Il conto è brutalmente economico.

    Non che non sia importante, ma così non danno modo nemmeno al passaparola di fare il suo corso.

    Con una mentalità del genere, film usciti in sordina e poi “scoperti” via via dal pubblico o dalla critica non avrebbero avuto fortuna.

    Comunque, ogni crisi che si rispetti riempie le sale…vediamo questa.

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