La boiata probabilmente consiste nel fatto di aver esteso i diritti di cui usufruiva solo una parte dei lavoratori a tutti gli altri, di aver introdotto – per la prima volta – controlli sulla effettiva necessità dei contratti flessibili e per la faccenda dell’articolo 18 non abolito, com’era nelle attese, ma semplicemente adeguato alla legislazione dei paesi comunitari.
Altri sgarbi Confindustria non può aver ricevuto da questa tardiva riforma del lavoro che il presidente Squinzi raccomanda di votare comunque, nei tempi dovuti, per le note questioni di credibilità internazionale.Boiata per boiata, il messaggio è tanto ambiguo quanto indegno ma non tutto si può avere : nemmeno il bene di una terminologia acconcia.
Men che meno un briciolo di ripensamento per aver contribuito in maniera determinante a rendere il mondo del lavoro uno scenario caotico tra immobilismo, furbizie e assurde pretese, investendo energie e quattrini più per tener lontani i lavoratori dai loro posti che per mantenerceli o crearne di altri.
Le vere boiate andrebbero ricercate nel corso del tempo. Per anni e anni le imprese hanno adottato incentivi all’esodo e mobilità come misura unica di governo del personale in esubero per i motivi più svariati : svecchiamento, ristrutturazione, difficoltà economiche, il tutto risolvendo con accordi collettivi (e non) tra azienda e soggetti interessati, benedicenti le istituzioni e i sindacati senza che ad alcuno venisse in mente di mettere a punto un dispositivo di cui avvalersi nel caso fossero intervenute ragioni di difficoltà ad onorare quei contratti, cause di forza maggiore nemmeno così difficili da prevedersi in epoca di crisi : si sapeva che prima o dopo si sarebbe dovuto mettere mano alle pensioni.
E adesso che è scoppiata una grana che rischia di compromettere i benefici economici di una riforma che non poco è costata,tutti a spremere la lacrimuccia per il fatto che dietro ogni motivazione, accordo o scadenza ci sono persone. Prima no?
Il decreto annovera sette tipologie di lavoratori, corrispondenti ad altrettante tipologie di accordo, li cito tutti : mobilità, mobilità lunga,fondi di solidarietà, prosecutori volontari,esonerati,genitori di disabili e Cessati ai sensi art 6 DL 216 2011. Sui numeri reali stendiamo un vel pietoso, non è la prima volta che ci sono discrasie sui dati – non è che tra questi bravi tecnici c’è un ministro o un sottosegretario dei temporali che magari senza ricorso al tripudio di tromboni rimette a posto questa storia dei numeri che non tornano mai o che non si conoscono o che vengono male aggregati : capita oggi col lavoro, capitò con la riforma scolastica e se la memoria non m’inganna, anche ai tempi dello scalone i dati non erano mai certi – resta il fatto che se vale il principio di uguaglianza ,quando pure gli esodati di cui sopra fossero tre milioni avrebbero diritto al medesimo trattamento.Certo è che i contratti non sono tutti in scadenza a breve e che il Governo deve preoccuparsi di stabilire i principi, non ha l’obbligo di trovare la copertura finanziaria per gli anni a venire ma solo per quelli in cui è previsto rimanga in carica, anno finanziario per anno finanziario.
Ciò detto, quel che servirebbe è un lavoro chirurgico per le categorie non comprese in quelle già salvaguardate,sempre che si riesca a sapere quanti sono,per quale motivo e con quali scadenze. Auguri, tecnici.
Ogni volta che si pensa a quale governo per il futuro non si può fare a meno di considerare il nostro cronico malfunzionamento istituzionale, a quanto è di ostacolo per ogni minimo progetto di modernizzazione e a chi potrebbe essere in grado di mettere mano ad un’ impresa di semplice riassetto.
Piuttosto che correre ogni volta in difesa di questo o quel protégé accusato di inefficienza – e più strillano e più s’indignano,più si capisce a quale compagine appartiene la Creatura posta ai vertici dell’Istituzione incriminata, ma quando finisce questa storia della politica a invadere qualunque settore ? – piuttosto che prendersela con un governo o un ministro che in pochi mesi ha il compito – per non dire l’obbligo – di realizzare quello che non si è fatto in vent’anni, varrebbe davvero la pena di riconsiderare le Persone offrendo loro soluzioni degne per l’intero arco della vita lavorativa e non tirandole in ballo solo quando fa comodo speculare sulle loro incertezze.Ognuno è una storia si sente ripetere con improvviso slancio sociologico – umanitario.Già: ognuno è una storia.E non sono storie.
Nell’illustrazione operai di una fabbrica cinese ( non so cosa stiano facendo, e non lo voglio sapere)