Che amarezza
L’articolo 82 della Costituzione recita :
Ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse.
A tale scopo nomina fra i propri componenti una commissione formata in modo da rispecchiare la proporzione dei vari gruppi.
La commissione di inchiesta procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni della Autorità giudiziaria.
Dove sta scritto che una commissione d’inchiesta, che tra l’altro è un organo collegiale indaghi in una sola direzione? Nell’analizzare le dinamiche di quei giorni è impossibile non valutare la situazione nel suo complesso . Forse che il Parlamento oltre che autorizzare avrebbe indicato anche le modalità e le direzioni ? Le giustificazioni dei dissidenti sono davvero offensive. Uno non c’era, non sa, non ha visto l’apposito punto del programma . L’altro con incredibile fiducia nella capacità delle indagini di stabilire la verità ;sapeva già come sarebbe andata a finire. Poi ci sarebbero gli assenti che avrebbero potuto fare la differenza, poi il ritardatario…In questo modo è sin impossibile che il Parlamento si pronunzi.Alla fine tra ritardi e dissidenze a chi interessa indagare sul rapporto tra polizia e cittadini? A pochi credo .Il che è grave in ogni caso, ed è un insulto al dovere civile di conoscere la verità.Certo si può recuperare ma anche questa faccenda di Genova ,come le altre del resto,diventerà occasione di scambi,lanci di segnali e ricatti .Chi desidera che si faccia – programma o non programma – quel che è giusto e legittimo fare,s’è un po’ stancato di queste ali dissidenti e desidera un percorso piano che rispecchi la volontà espressa dalla maggioranza dei cittadini che si tratti di Genova o di Welfare, di pacchetti di sicurezza o di varianti di valico,i numeri sembrano non contare più e quand’è così,altro che democrazia,governano i ricatti e la confusione mentre c’è qualcuno che ancora vuol andare a votare con questa legge elettorale.Che amarezza.


Si può essere o meno d’accordo con la politica del Governo ma non si può negare che, dopo una settimana dominata da discussioni sui nuovi modi della comunicazione politica,l’apparizione di Romano Prodi in televisione, ci abbia riconciliato con il valore della Parola intesa come strumento per produrre dialogo,e non come oggetto contundente da scaraventare addosso agli intelocutori.Adottare un registro improntato più che alla semplice pacatezza, a quella civiltà che s’incarica delle argomentazioni dell’altro senza dovere per questo rinunziare ad un linguaggio dirimente,rappresentano una fatica che importa un retroterra culturale e politico che a Romano Prodi non fa davvero difetto,impresa resa ancor più difficile in una televisione in cui fa più sensazione il costo della buvette che l’aver riportato a livelli accettabili ,il disavanzo primario.Sarà anche letargico, poco incline agli effettacci dell’arte oratoria o a quella d’indovinare la cravatta, il Presidente, ma è di tutta evidenza che al Fare Politico servono rigore,diligenza,chiarezza e coraggio, non le definizioni rifritte o le denunce strillate ma l’indicazione dei percorsi con i quali procedere al superamento degli ostacoli.Lì si determina la Differenza e in tal caso, il linguaggio attraverso il quale ci si esprime, non è mai neutro. Romano Prodi ci ha trasmesso un po’ di chiarezza sugli orientamenti del Governo, senza creare aspettative con annunci trionfali (che pure gli sono stati vivamente richiesti) e riuscendo a parlare di risultati raggiunti.Che non sono pochi ne’ di poco conto.Anche se per sua stessa amissione, molto rimane ancora da fare. Stamattina invece, leggo che gli si imputa di appartenere ad una classe politica tutta chiacchiere e televisione.Può darsi. Ma visto che le nuovissime invettive invitano a scegliere con quali chiacchiere stare,io non ho dubbi : sto con quelle di Prodi.