Una tempesta d’immagini

Abel Gance ebbe la conferma che il suo antico sogno di proiettare Napoléon tra le Rovine , si era infine avverato, da Claude Lelouch. – Vado a telefonargli, glielo dirò piano piano – ci aveva annunciato dopo la proiezione, accompagnando quel piano piano con un piccolo movimento delle mani . Un gesto affettuoso, protettivo.Gance aveva allora oltre novant’anni (morirà due mesi dopo) e i medici gli avevano sconsigliato di viaggiare. Soprattutto di evitare forti emozioni. Le rovine che aveva sognato, erano quelle del Colosseo e dell’Arco di Costantino a ridosso del quale erano stati sistemati gli schermi e la buca dell’orchestra. L’area, quella bellissima che arriva fino al Clivo di Venere Felice e che dal 6 agosto al 13 settembre 1981 aveva ospitato una tra le edizioni più ricche di Massenzio.Gance dovette accontentarsi del racconto piano piano di Claude Lelouch, di sicuro gli avrà detto che la proiezione era stata interrotta da una pioggia durata mezz’ora ma che nessuno tra il pubblico, nemmeno Madame Danielle Mitterand, l’ospite più importante (e anche la più gradita) nemmeno il sindaco di Roma Luigi Petroselli e il Presidente del Senato Spadolini, nemmeno Enrico Berlinguer,si era mosso dal proprio posto,che ognuno aveva aspettato pazientemente che finisse di piovere e che alla fine il pubblico si era alzato in piedi e aveva applaudito a lungo . Venticinque anni fa la standing ovation non era un tributo abituale. Napoléon è un film con una storia infinita, piena di traversie. Uscito a ridosso dell’avvento del sonoro cui Gance (e non solo) aveva preconizzato vita breve (ma lo stesso cinema non era forse un ‘invenzione senza futuro secondo i Lumiere?) era stato proiettato la prima volta nel 1927 all’Opéra di Parigi accompagnato da una partitura di Arthur Honnegger.Più Monumento che Kolossal, pensato come il primo di cinque capitoli sulla vita di Napoleone , era costato un grosso impegno alla Pathe la casa produttrice, affiancata per l’occasione da un team di banchieri : 18.000.000 franchi, uno sproposito per quell’epoca, senza considerare un cast di grandi attori di teatro da Albert Dieudonné (Napoleone ) ad Antonin Artaud ( Marat ) passando per Annabella (Violine) Gina Manès (Joséphine de Beauharmais) e lo stesso Gance nei panni di Saint Just nonchè una nutrita schiera di comparse. Il Meraviglioso però era dato da una serie di marchingegni tecnici impensabili per l’epoca : il sistema della “polyvision", con tre schermi affiancati che allargano la visione, usato per le sequenze del Dibattito alla Convenzione, del Bal des Victimes, e della marcia dell’esercito francese verso l’Italia, la divisione delle inquadrature in più immagini, effetto difficile da ottenere allora, in assenza di stampatrici ottiche, le cineprese collocate in ceste oscillanti sospese nel vuoto a dorso di cavallo per imprimere movimento alle sequenze, perché lo spettatore potesse incorporarsi al dramma visivo . Effetto questo accentuato dalle sequenze in soggettiva, e dal montaggio dai ritmi rapidissimi. La storia della lavorazione di Napoleon è a sua volta un’ epopea. Quattordici mesi di riprese, quattrocentocinquantamila metri di pellicola, settanta ore di girato.Un’impresa parossistica e mirabolante. Ma.. furono proprio la lunghezza del film, sei ore, e l’attenzione del mercato rivolta alla novità del sonoro, a renderne difficile la distribuzione. Anche i successivi tentativi di postsincronizzazione non sortirono l’effetto.Così quello che Chaplin aveva definito Tempesta d’immagini, fu tagluizzato, ora per renderne accettabile la durata, ora perchè nelle sale non erano disponibili i tre schermi necessari alla proiezione. All’inizio degli anni settanta, di quell’opera rimanevano frammenti sparsi nei musei del cinema di tutto il mondo. L’operazione di recupero e ricostruzione del film durò dieci anni ed è in gran parte dovuta al regista e storico inglese Kewin Brownlow. Nel 1981 la copia ricostruita fu recuperata dal regista Francis Ford Coppola, presentata a New York, al Radio City Music Hall, e fatta ricircolare in tutto il mondo. La versione di Coppola era di 4 ore e con musiche composte da suo padre Carmine Coppola appositamente; una versione di Brownlow e di David Gill dura 5 ore e 13 minuti, con musiche di compositori del XVIII secolo (a cura di Carl Davis); la versione che proiettammo a Roma, a Massenzio era la copia restaurata da Brownlow ma nella versione più breve di Coppola.Come si arrivò a portare Napoléon a Roma per offrirlo al grande pubblico fa parte di un’altra epopea, come i due giorni di prove con Coppola circondato dai guardaspalle che strillava ordini al proiezionista collegato con un walkie talkie mentre suo padre ammoniva dolcemente i violini, sono ancora un’altra storia.
Stasera al Colosseo si replica.L’Estate Romana compie trent’anni e li festeggia con trentacinque metri di schermo, cinque proiettori, e Napoléon che a ottant’anni dalla Prima all’Opéra di Parigi,dopo essere stato dato per spacciato molte volte, continua a far tremare le vene ai polsi di spettatori visionari.


Assai più di quanto appaia, una certa qual sopravvalutazione della Politica e una buona dose di fiducia nel Potere delle Leggi, animano i molti fautori del rinnovamento prêt- à -porter;, seguaci o meno che siano, del Fenomeno®.Come se essere giovani,donne,incensurati, politici inesperti bastasse di per sè a garantire una politica migliore,più onesta,più vicina ai cittadini e meno soggetta alle pressioni delle lobby.Come se spazzare via la legge 30 significasse automaticamente abolire il precariato.Come se nel nostro Paese, i padroni che dispongono di analoghe leggi da mezzo secolo ,si risolvessero dall’oggi al domani ad assumere in pianta stabile ogni lavoratore a progetto, solo perchè manca un istituto contrattuale idoneo.Così non è.E non perchè le buone leggi possono essere eluse ma perchè le buone leggi da sole non bastano.Confesso di essere molto infastidita da questo impasto rudimentale di rancore, primordiale rivendicazione, frustrazione senza progetto che pervade le recenti contestazioni. Ne’ sono certa che sia chiaro ad ognuno che i tagli alla spesa pubblica non significano solo metter mano agli stipendi e ai privilegi dei parlamentari ma fondamentalmente rivedere il funzionamento della pubblica amministrazione,organici compresi. Mi domando come mai quest’argomento latiti nei comizi degli appassionati delle vie brevi.Come mai nell’ostentata ruvidezza,nelle urla dal palco, con le maniche della camicia arrotolate, non sia incluso anche il benservito ai pubblici dipendenti, troppi e come se non bastasse, responsabili ,secondo molti, di sprechi e malfunzionamento.Certo lì si tratterebbe di andare al cuore del problema correndo il rischio dell’impopolarità e forse di perdere il consenso di qualche spettatore.Anche questo è un atteggiamento da politicante di mestiere. Meglio prendersela genericamente con i politici : Destra e sinistra? Tutti uguali .Tutti malversatori.Per tutta la settimana il Fenomeno® è stato vezzeggiato dai media, guadagnando la ribalta delle principali trasmissioni politiche e delle copertine e questo è davvero incredibile se si pensa a quanto poco spazio, alle volte destinino i media al rinnovo dei contratti o ad altre manifestazioni di protesta.Abbiamo bisogno di capire,sicuramente ma perchè di fronte ad affermazioni tanto generiche ed omologanti,dovremmo prenderci la briga di valutare quanto sta succedendo alla luce di sottili distinguo e magari rinunciando pure a chiamare le cose con il loro nome? Qualunquismo si chiama tutto questo sparare a zero senza perdere ne’ tempo né fiato per approfondire le dinamiche, giudicando con l’accetta e confondendo la partecipazione nella quale risiede il vero controllo democratico, con uno spettacolo di piazza o con un giro sul web. Qualunquismo, cioè fascismo in potenza.
Si può essere o meno d’accordo con la politica del Governo ma non si può negare che, dopo una settimana dominata da discussioni sui nuovi modi della comunicazione politica,l’apparizione di Romano Prodi in televisione, ci abbia riconciliato con il valore della Parola intesa come strumento per produrre dialogo,e non come oggetto contundente da scaraventare addosso agli intelocutori.Adottare un registro improntato più che alla semplice pacatezza, a quella civiltà che s’incarica delle argomentazioni dell’altro senza dovere per questo rinunziare ad un linguaggio dirimente,rappresentano una fatica che importa un retroterra culturale e politico che a Romano Prodi non fa davvero difetto,impresa resa ancor più difficile in una televisione in cui fa più sensazione il costo della buvette che l’aver riportato a livelli accettabili ,il disavanzo primario.Sarà anche letargico, poco incline agli effettacci dell’arte oratoria o a quella d’indovinare la cravatta, il Presidente, ma è di tutta evidenza che al Fare Politico servono rigore,diligenza,chiarezza e coraggio, non le definizioni rifritte o le denunce strillate ma l’indicazione dei percorsi con i quali procedere al superamento degli ostacoli.Lì si determina la Differenza e in tal caso, il linguaggio attraverso il quale ci si esprime, non è mai neutro. Romano Prodi ci ha trasmesso un po’ di chiarezza sugli orientamenti del Governo, senza creare aspettative con annunci trionfali (che pure gli sono stati vivamente richiesti) e riuscendo a parlare di risultati raggiunti.Che non sono pochi ne’ di poco conto.Anche se per sua stessa amissione, molto rimane ancora da fare. Stamattina invece, leggo che gli si imputa di appartenere ad una classe politica tutta chiacchiere e televisione.Può darsi. Ma visto che le nuovissime invettive invitano a scegliere con quali chiacchiere stare,io non ho dubbi : sto con quelle di Prodi.