Sfoltire…

L’idea che il taglio dei posti di lavoro – Alitalia, scuola, pubblica amministrazione in genere – non susciti alcun sentimento di solidarietà o preoccupazione nel grosso dell’opinione pubblica, mi pare un dato assai più vistoso ed inquietante delle eterne fissazioni, confindustriali o governative, sul cucire a filo doppio salari e produttività, razionalizzazione e tagli. Come se in Italia non si producesse abbastanza unicamente perchè il lavoro costa troppo e sono in troppi a lavorare e non perchè una classe imprenditoriale furbetta investe poco in tecnologie e laddove ci sono risultati positivi ne evita accuratamente la "capitalizzazione" . Da molto tempo licenziare è diventato un Bene, una misura di igienica efficienza, se poi ai licenziamenti si affianca la parola merito : è fatta, il tutto assume immediatamente i contorni dell’operazione indifferibile e che oltretutto ripristina pure un criterio di giustizia. L’eliminazione brutale di 87.000 posti di lavoro della scuola, viene presentata come necessaria per una miglior resa del servizio ma in realtà nessuno è in grado di dire di quali superflue mansioni si tratti, se della decima maestra che insiste su di una classe o della terza che insegna inglese su due. Lo stesso vale per Alitalia, con il suo altalenante – ma sempre in crescita – numero di esuberi. Chi sono costoro? Meccanici? Personale di terra? Assistenti di volo?. Alla fine viene il fondato sospetto che le misure di razionalizzazione con i piani industriali c’entrino ben poco e che i tagli siano un’operazione puramente contabile che investe brutalmente solo e sempre i senza tutela, cioè i precari che numerosi, oramai abitano tutte le categorie: venuti via quelli, chi rimane, va a sostituire le mansioni che rimangono scoperte. Alla faccia del merito. In questo metodo risiede tutta l’efficienza. Ma è esattamente così che si uccide un servizio. Che dei piani industriali o delle riforme dovrebbe essere il cuore. Tuttavia, non si ottiene un imbarazzante consenso che spiana la strada al massacro dell’idea stessa di Occupazione, senza un’adeguata rivoluzione culturale : oramai i lavoratori quando non sono esuberanti zavorre, vengono descritti come esseri abietti, malati immaginari, parassiti protetti dai sindacati che, più fannulloni ancora di chi rappresentano, se la godono approfittando di appetibili distacchi. Senza considerare la criminalizzazione di chi spera in un posto fisso o di chi ambisce a costruirsi un futuro semplicemente attraverso la propria professionalità, senza doversi trasformare in un social climber, uno di quegli sgomitanti individui che per abbrancare la cima, venderebbero la propria madre al primo che gliela chiede. Brunetta, Gelmini e l’ineffabile Presidente del Consiglio – che-pensa-solo-a-lavorare- sanno di parlare ad un paese impoverito, arrabbiato e in virtù di questo, poco incline, non solo a sentimenti di solidarietà ma anche semplicemente a soffermarsi per riflettere sul reale stato delle cose. Così viene alimentato, di proposito, un Immaginario fondato sui più vieti luoghi comuni, dove nemmeno il sano buon senso del non generalizzare, ha più cittadinanza, : i lavoratori Alitalia sono tutti privilegiatissimi piloti, gl’insegnanti lavorano solo quattro ore e hanno un numero imprecisato di mesi di ferie, i pubblici dipendenti sono tutti fannulloni. Ed è fomentando e rendendosi interpreti di questo sentire comune, improntato più allo spirito di vendetta che a quello di giustizia, che preparano il terreno ad un progetto di restaurazione . E di tale progetto, l’umiliazione del lavoro è uno dei cardini. Anche per questo, il nuovo "modello contrattuale" che si sta discutendo con Confindustria e che di questa cultura è l’esito, deve essere ricusato con fermezza. Non usa più dire che a fronte di ogni lavoratore che perde il posto, si articolano drammi. Fa buonismo esprimere umana comprensione di fronte alle foto che pure circolano in quantità, delle lavoratrici in lacrime e non si pensa più che quei drammi non rimangono al chiuso delle rispettive famiglie ma si ripercuotono sulla società e sull’economia. E che i risultati si chiamino nuovi disadattamenti o spirali deflattive, tutto è destinato a riguardarci.
Il piano industriale che disegnava la compagnia tutta italiana, piccina picciò, appositamente dimensionata per importare poca spesa ed essere rimessa in vendita – tempo tre o quattro anni – e che fondava le sue uniche speranze sul monopolio della tratta Milano Roma, è sfumato. Sul tavolo c’erano l’occupazione, i salari, il servizio e le regole del gioco, queste ultime completamente stravolte in una trattativa che, nei fatti, non c’è mai stata, se si eccettuano gli ultimatum, i ricatti e qualche spicciolo in termini di accoglimento di minime richieste. Come da copione, ieri prima che l’ultimatum scadesse, al manifestarsi della controproposta della CGIL e di altre cinque sigle sindacali, i capitani coraggiosi hanno battuto la ritirata. Al Salvatore, quello che per biechi motivi propagantistici, in campagna elettorale, s’è fatto in quattro per emarginare l’unica proposta dignitosa, non rimane che far diffondere via filo, etere e carta stampata, la versione dei fatti che lo esonera da ogni responsabilità, mentre sistema una foglia di fico sul suo, forse più clamoroso, fallimento: la colpa è del sindacato, istigato dall’Opposizione che da sempre ha puntato allo sfascio del bel progetto. Quello che oltre a segare posti di lavoro e salari, non garantiva affatto un servizio accettabile e competitivo e come se non bastasse, socializzava le perdite e privatizzava gli utili. Saranno anche atipiche le manifestazioni di giubilo dei lavoratori, ma proprio per questo, invece di riflettere sul Titanic – è la terza volta da stamane che ne ascolto la metafora, su tre diversi notiziari, più l’ editoriale di un quotidiano, va bene esprimere fino alla nausea, gli stessi concetti, ma potrebbero almeno cambiare le parole - e sull’irresponsabilità dei lavoratori, forse è il caso di leggere in quelle reazioni , il senso liberatorio dalla gestione di una crisi in cui è stato fatto saltare ogni schema : dagl’imprenditori con nessuna voglia di assumersi il seppur minimo rischio d’impresa, alle banche più versate a guardare di buon occhio la politica che il mercato, al commissario che non si è capito bene che mestiere faccia, ai cospicui aiuti di Stato. Il tutto per partorire una proposta impossibile, messa sul tavolo col metodo del ricatto. In epoca di confusione, di falsità e di pianificazione dei conflitti, è bene che ciascuno recuperi il proprio ruolo e lo svolga fino in fondo, pena lo spaesamento collettivo e bene ha fatto Epifani a cercare con una nuova proposta, il prosieguo della trattativa e il recupero di quel ruolo che altri sembrano aver smarrito. Se fallimento ci sarà, non si potrà davvero dire che la colpa è stata la sua.



