Sfogliato da
Anno: 2008

Air Conditioned

Air Conditioned

Il dato fin qui più rilevante, è il forte plauso che sostiene  ogni provvedimento assunto dal  governo in questa prima fase del mandato. I sondaggi in tal senso, servono solo da conferma ad una sensazione che è già netta tendendo l’orecchio ai discorsi delle persone che incontri. Piccoli e grandi indizi di vasto consenso e forti aspettative accompagnano il Quarto Mandato. Il governo affronta i temi forti di campagna elettorale – disagio ed insicurezza – inaugurando una sorta di Diritto Speciale caratterizzato dalla sospensione delle garanzie costituzionali. E’ possibile che per  inadeguatezza del sistema giudiziario, difficoltà organizzative, carenza di mezzi  o diretto intervento della corte costituzionale,  di queste leggi speciali,  rimanga ben poco. Comunque vada però, si  è stabilita una tale sensazione di efficientismo, da lasciar prevedere un lungo periodo di sintonia tra PDL e gli elettori. Tutti oramai sono convinti che togliere i rifiuti dalle strade di Napoli valga bene il conferimento di una straordinaria ed inedita concentrazione di poteri nelle mani di un solo uomo – Bertolaso –  al quale sono oltretutto subordinate Prefettura, Forze dell’Ordine, Questura etc. E anche se l’unica impresa fino ad ora di successo – mettere intorno ad un tavolo i rappresentanti dei cittadini di  Chiaiano per organizzare i rilievi nell’area da destinarsi a discarica – in realtà segna  lo scacco della logica militare, gl’inasprimenti, la creazione di nuovi reati, le maniere spicce, seppure in forte odore di limitazione dei diritti costituzionalmente garantiti, sono ritenuti  metodi vincenti. Il linguaggio dell’emergenza sollecita l’immaginario, le discariche sono diventate aree d’interesse strategico nazionale, saranno  con ogni probabilità presidiate dall’esercito e anche se Maroni e La Russa concedono magnanimamente l’impegno del non utilizzo dello stesso, in funzione di ordine pubblico – ma l’esercito non avrebbe comunque lo stato giuridico per tale compito – l’idea è quella che sia stata dichiarata una guerra – a chi? – presumibilmente ai cittadini, visto che il decreto sui Rifiuti non s’incarica minimamente delle cause ambientali, affaristiche, malavitose che hanno fatto da contorno all’inerzia degli amministratori locali in questi anni. Senza misure in tal senso, senza attenzione a questi fenomeni, il ritorno alla cattiva gestione è pressocchè garantito. Mi si dirà che per quello abbiamo già leggi. Ma le avevamo anche in materia di ordine pubblico, perchè l’emergenza concerne solo quello ? Ma il pugno duro, l’uomo solo al comando, piacciono, rassicurano, sono sintomo di pronta risoluzione di ogni impasse. Si è approfittato di un momento d’insicurezza strutturale dei cittadini per agitare mostri. Riuscendo perfettamente l’operazione, si passa a completare l’opera con la gestione autoritaria di qualsiasi cosa passi per le mani . La vitalità dell’opinione pubblica, strumento necessario del controllo democratico, oramai si esprime solo in temini di populistico giustizialismo, per tacer di chi, reduce dalla sconfitta elettorale, non sa più a che santo votarsi,  ondivagando tra stati di prostrazione da buttare in caciara, come si dice da noi,  o di orrendo nichilismo ( caciara meno lieta e più contagiosa ma egualmente disperata). Ma qui si gestisce il Presente e si pensa al Futuro. E se questo è il clima in cui si elaboreranno future riforme istituzionali, si può esser certi che la tentazione presidenzialista diverrà un rischio acclarato. Perdere la fiducia nei buoni principi democratici  adesso, sarebbe pazzesco. Guardiamo la vicenda di Chiaiano alla giusta distanza, come se fosse una fiction, connettiamo ogni elemento, ogni dato, ogni componente, ogni implicazione, ogni forza in campo  e le conclusioni invariabilmente andranno a parare su questo semplice dato : è quasi estate ma l’aria condizionata è stata accesa da un bel pezzo.

Per un cinema dei panni sporchi

Per un cinema dei panni sporchi


C’è una sorta di feroce contrappasso nel fatto che al Marché, il Divo di Sorrentino abbia suscitato grande interesse tra i compratori stranieri. Pur essendo un discreto cinefilo ( o forse proprio per questo ) il senatore Andreotti della fine anni 40, avversava il neorealismo come cinema che, raccontando delle nostre miserie e della fatica post bellica di risalire la china, restituisse all’estero una visione non decorosa del nostro paese. Ma non solo Andreotti si diceva convinto che una cinematografia brillante ed ottimista avrebbe giovato di più all’ Immagine. Ettore Scola lo rappresenta da par suo, quel sentimento  di ostilità che animava una visione piccolo – borghese  nei confronti di storie di gente comune, allestite in contesti miserevoli, interpretate da attori non professionisti, strutturalmente inadatte sia a risolversi in  happy end che a lasciar intravedere un tenue filo di speranza. In  C’eravamo tanto amati, le autorità di un piccolo centro abbandonano sdegnate il cineforum dove si è appena proiettato Ladri di biciclette dicendo appunto che i panni sporchi si lavano in famiglia. E non è un caso che del cinefilo controcorrente che ha proposto la pellicola per il dibattito, si racconterà, per tutto il resto del film la parabola da Perdente Nato. Come potessero all’estero pensare ad una nostra presunta floridità, visti gl’ingenti finanziamenti dell’epoca – Andreotti stesso perorante –  soprattutto statunitensi, non è dato sapere. La verità su quell’avversione, infatti, risiede altrove e cioè nella potenza del Cinema che avvalendosi di strumenti semplici ed immediati può trasformarsi, da innocuo intrattenimento ad arma minacciosa per conservatorismi e restaurazioni ( o all’ opposto, di promozione di totalitarismi). Il neorealismo era un cinema sovversivo anche oltre le intenzioni degli autori : sapeva parlare al cuore e alle coscienze, istigava rivolte anche raccontando la banale storia del furto di una bicicletta. Ecco perchè l’Italia del Pericolo Rosso non lo ha mai amato. Oggi che il nostro cinema tenta la riconquista del posto che gli spetta, torniamo a discutere – ma forse non abbiamo mai smesso – se sia o meno il caso di mostrare storie vere che parlino di noi, di quel che siamo stati, di quel che vorremmo essere ma con l’ausilio indispensabile del racconto di quello che siamo oggi. Che almeno il Cinema non sia un’operazione consolatoria e racconti il Paese che c’è. I selezionatori di Cannes hanno scelto quattro film : Malavita organizzata ( Gomorra ), Potere (Il Divo), Xenofobia ( Il resto della notte ) Fascismo ( Sanguepazzo) tutti accomunati da un medesimo istinto culturalmente sano, vivo e attivo dei nostri cineasti : un distacco studiato, voluto, volto a decifrare il disagio, e raccontarlo, cercando nei nostri film, una specie di ‘utopia concreta’, un progetto di ‘futuro possibile’, a portata di mano, una rivendicazione orgogliosa, capace di vibrare in sintonia col paese reale: vedersi rappresentati, vedersi raccontati, aiuta a capirsi.
Perché di questo c’è bisogno: di tornare a ‘vederci’.
Ho preso a prestito,per quest’ultimo passaggio, le parole dei “100 autori” nella loro bella lettera di qualche mese fa, indirizzata al futuro governo. Nello stesso momento in cui i fondi destinati al Cinema già esigui di per sè, subiscono un taglio del 20 %, il nostro cinema forte vario e appassionante (sono sempre i 100 autori a parlare) ottiene due significativi riconoscimenti. Questo paese sarà anche un gran produttore di panni sporchi ma anche di grandi talenti per promuoverne l’esposizione e il lavaggio.In luoghi quanto più pubblici sia possibile

Respiro impresa

Respiro impresa

La malattia del paese è la bassa crescita ma l’occasione – un esecutivo con una solida maggioranza e un’opposizione dialogante – è irripetibile e pertanto non bisogna lasciarsi sfuggire  l’opportunità di liberare le imprese dall’oppressione fiscale, da quella burocratica e  – come ti sbagli ? -  anche da quella giudiziaria. Emma Marcegaglia è stata molto deludente, da lei, così capace, fiera e concreta si sperava arrivasse un segnale di maggiore autonomia e invece la sua modalità di donna alla guida della Confindustria risulta complessivamente  indebolita, soprattutto  per il gioco di specchi che il discorso tenuto all’assemblea annuale di ieri,  ingaggia col Programma di Governo, dal capo del quale, non a caso,  riceve alla fine,  appalusi e abbracci. Qualcuno ha scritto che è stata arrogante, che a ognuno ha consegnato un compito e ad ognuno ha assegnato un voto . Magari. Invece niente, adattando il suo disegno a quello del Governo ha compiuto esattamente l’operazione contraria : gran docilità, nella richiesta costante dell’investitura ufficiale. Come se non fossero stati sufficienti i consensi plebiscitari che l’hanno portata alla Presidenza.  Quanto al merito, non che ci si aspettasse qualcosa di diverso da una visione del mondo  marcatamente liberista, attribuire però, le responsabilità della scarsa crescita ad un sistema che va sicuramente riformato e alleggerito ma che sottende una serie di garanzie per i lavoratori e la collettività, significa banalizzare, e di molto, l’analisi. Insomma a sentir lei, Marcegaglia, le imprese di questo andamento poco brillante dell’ economia hanno responsabilità sfumate , nemmeno quelle di amare, per esempio, i mercati protetti, le agevolazioni, gli aiuti statali, l’essere in certi casi poco versati al rispetto delle regole ed infine mancare di coraggio negli investimenti per formazione e ricerca. Il prosieguo è in tono e realizza una specie di crescendo rossiniano :  ridefinire  i rapporti industriali oramai obsoleti, indicizzare le pensioni all’attesa di vita liberando risorse per il lavoro delle donne e dei giovani e i salari alla produttività, rivedere contratto collettivo nazionale e regole del mercato del lavoro puntando sulla flexicurity. Per realizzare ciò, mano tesa al sindacato nella stagione che vede il superamento della contraddizione tra capitale e lavoro. Certo che se però è l’impresa e non lo sviluppo, il fine ultimo di tutta questa nuova stagione di concordia, se agl’impenditori prospererà sotto agli occhi il fatturato e ai  lavoratori non rimarrà che la flexsecurity, sarà difficile archiviare del tutto l’aborrito conflitto. Il resto va, nella noia dello smantellamento delle municipalizzate, dei costi della politica da abbattere e di rifritture varie: dai pantaloni Fendi ai grazie a mammà e papà imprenditori  – se non si è discepole inappuntabili, si è figlie, non si scappa –  per la formazione ricevuta e per averle consentito di respirare Impresa fin dai primi anni di vita. Il fatto, ahimè, è che con i suoi discorsi, anche i presenti, respirando, hanno sentito lo stesso odore .

 

Ansiolitico di massa

Ansiolitico di massa

In attesa di capire quali macchinazioni inventerà il nuovo governo per aggirare una legge (la Bossi Fini), nei casi di individui privi di permesso di soggiorno (quindi clandestini oggi e futuri delinquenti tra breve ) ma egualmente occupati nel nostro paese (quindi con lavoro nero), prendiamo per buone le parole di Tremonti che vorrebbero questa prima attività legislativa  volta a togliere un po’ d’angoscia alle famiglie, in presumibile affanno per problemi di carattere economico con aggravio di  senso d’insicurezza da immigrazione clandestina delinquente e incontrollata. Resta inteso che per le famiglie preda di angoscia data da un uso sempre più disinvolto dello strumento penale e della misura detentiva, non resta che l’assunzione di un ansiolitico, atteso che in aperta contraddizione con il Principio Guida di sicura efficacia elettorale – Padroni in casa nostra –  gli stranieri irregolari,  più che scacciarli, si tenda a farne ospiti  di carceri o strutture assimilate, introducendo  il reato di immigrazione clandestina. E passi che gl’istituti di pena  siano sovraffollati e le Corti non abbiano affatto bisogno che decine di migliaia di processi, ancorchè per direttissima, vadano ad aggiungersi al già complicato esistente, ma solo un alieno può pensare che affidando un’espulsione al nostro sistema giudiziario, l’attuazione ne risulti agevolata. Se poi si pensa che tutto questo trambusto di forze dell’ordine, istituti di pena, tribunali e direttissime, si creerebbe per colpire individui considerati pericolosi a prescindere, si ha un’idea esatta dell’utilità sociale di queste trovate. Va detto, che l’intero pacchetto denominato di Sicurezza, è tutto intriso di questo spirito risolutivo delle complicanze. D’altronde che razza di provvedimento è, quello che trasforma una condizione personale in reato? E  le aggravanti per i reati commessi da stranieri? Che ne sarebbe della parità di trattamento riferita alla responsabilità personale? Certo,  come dice Maroni, in altri paesi il reato di immigrazione clandestina c’è, ma differenti sono i contesti costituzionali e le modalità che regolano l’ accesso al sistema giudiziario, due condizioni dalle quali il legislatore non  può prescindere. Come pure resta attivo, equo ed infinitamente più rassicurante di mille inasprimenti,  il principio costituzionalmente valido che mette in guardia lo stesso legislatore dall’assumere provvedimenti che prescindano da accertata o presunta pericolosità dei soggetti responsabili  introducendo sanzioni penali  tali da rendere problematica la verifica di compatibilità con i principi di eguaglianza e proporzionalità. Insomma in uno Stato Democratico carcere e strumenti penali non sono utilizzabili ad libitum dal legislatore. Resta da capire se l’attuale governo è davvero convinto di poter porre rimedio all’immigrazione clandestina e alla problematica afferente, attraverso provvedimenti impraticabili oltre che a serio rischio di essere rispediti al mittente dopo l’esame di compatibilità costituzionale, ovvero si serva delle maniere spicce per farne materia di annunci roboanti in chiave ansiolitica. Se così fosse, non sarebbe una buona notizia per la democrazia, tantomeno per il superamento delle numerose problematiche . Non rimane che sperare nelle preoccupazioni dei datori di lavoro di badanti asiatiche e sudamericane prossime alla trasvolata oceanica regolarizzatrice e nei giudici costituzionali ( ai quali si deve il bel linguaggio della sentenza n. 22 del 2007, alcuni passaggi della quale sono citati in corsivo)

Oh Georges (C’est dur d’etre aimè par de cons)

Oh Georges (C’est dur d’etre aimè par de cons)

Al cuore non si comanda e dunque, prima di raccontare delle complicate circostanze che hanno portato Georges Wolinski,  il  garbato e affascinante signore  dell’immagine qui sopra, a Cannes, dirò del suo talento e di come grazia, eleganza, tratto lieve e senso artistico, pur messi al servizio di cause feroci e mortifere quali la guerra dei sessi e l’intramontabile maschilismo, riescano spesso nella non facile impresa di neutralizzarne i devastanti effetti. Se satira dev’essere, satira sia, anche a rischio di sfiorare argomenti che per istinto falsamente ideologico, si vorrebbero trattati con maggior rispetto. Tanto Georges con tutti quei porconi laidi e allupati non la conta affatto giusta e come spesso capita in queste circostanze è il disegno e non le battute a rivelare da quale parte pende l’autore. E poi c’è una qualità che su tutte spicca e che lo rende unico : l’imprevedibilità. Non è poco se si pensa alla semplicità delle pulsioni su cui fa leva la satira e all’inevitabile senso di scontato  che spesso produce il voler strappare la risata facile a tutti, e a tutti i costi.

Wolinski del resto, è sempre stato irrefrenabile fin dagli esordi, così  dopo aver fondato giornali sovversivi come L’Enragè; – dodici numeri distribuiti a mano a Parigi, anno di grazia 1968, più esplosivi di cinquanta molotov confezionate con amore  educato i suoi istinti peggiori in accademie quali Hara Kiri, subtitled Journal bête et méchant, poi trasformatosi, per un combinato disposto di disgrazie economiche e immancabili noie legali prima in Hara Kiri hebdo e infine in Charlie Hebdoet pourquoi pas Charlie Hebdo? disse monsieur Wolinski ad una cena costituente la nuova creatura editoriale –  il nostro caro Georges si ritrova in tribunale con tutta la redazione. Esperienza non nuova certamente ma questa volta non è il ministero degl’Interni che chiama a render conto di questo o quel misfatto ma nientedimeno che la Moschea di Parigi,l’Unione delle Organizzazioni Islamiche in Francia e la Lega Islamica Mondiale. Tombola.


Tutta colpa di una copertina di Charlie Hebdo disegnata da Cabu, in cui un Maometto di nero vestito, sopraffatto dagl’integralisti e al colmo della disperazione, mormora la frase c’est dur d’etre aimè par de cons che poi è anche il titolo del documentario che ha portato Wolinski, Philippe Val ed altri a Cannes per la presentazione ufficiale di sabato scorso.Si tratta della cronaca di quel  processo nei tre giorni in cui si avvicendarono testimoni eccellenti, uomini politici – da Hollande a Bayrou senza contare i telegrammi di sostegno dell’allora candidato presidenziale Nicolas Sarkozy –  più noti cineasti, noti disegnatori satirici e noti preti antisemiti. Una sarabanda assolutamente folle e godibile  anche se non si è appassionati di procedure, divertente per l’assemblaggio di momenti quasi teatrali in cui il diabolico avvocato maître Francis Szpiner – uno dei legali di Chirac, si scoprirà poi,  che ha assunto le difese della Moschea di Parigi preoccupato per eventuali ritorsioni islamiche sui francesi all’estero –  tenta il colpaccio invocando in aula la libertà d’espressione per tutte le religioni mentre alla sua controparte  maître Richard Malka non par vero di cogliere l’occasione per mostrare alla giuria le vignette islamiche su Benedetto XVI assai inquietanti per la verità. Ironicissimi ed elegantissimi – ed entrambi presenti a Cannes – i principi del foro parigino, un po’ meno la folla ripresa fuori del Palais de Justice, vivace e litigiosa, in verità. Ma tanto è inutile. Non è che si sia nella patria della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, più volte ribaditi dal 1789 fino al 1948, così, per cambiar aria. La sentenza è di piena assoluzione perché la libertà di espressione è un caposaldo della democrazia. E gran trionfo per tutti – avvocati, disegnatori, redattori e regista – è stato anche al festival, dopo tutte quelle misure di sicurezza e quelle cautele, ci sarebbe mancato anche il flop : alla fine vincono coraggio spregiudicatezza, laicità e libertà d’espressione. Almeno in Francia.

 

C’est dur d’etre aimè par de cons è un film di Daniel Leconte  prodotto dalla Film en Stock; distribuito da Pyramide film. Francia 2008