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Anno: 2008

Viva l’Italia, l’Italia che non ha paura

Viva l’Italia, l’Italia che non ha paura

Un’idea precisa di Futuro alimenta lo spirito della Resistenza – ma con che pietra si costruirà a deciderlo tocca a noi  – Quella stessa idea, sostenne i Liberatori – per dignità non per odio – nell’impresa dolorosa di affrancare il nostro paese da un’orribile dittatura. A distanza di anni,  anche noi ci dibattiamo nel disperato bisogno di un Futuro del quale spesso avvertiamo il senso di sottrazione. Se la memoria del passato non riesce ad animare il nostro guardare avanti, la festa della Liberazione sarà presto ridotta ad un rituale deporre le corone sotto alle lapidi. Ma  la Resistenza parla ancora alle nostre coscienze con il linguaggio moderno della solidarietà – soltanto con la roccia di questo patto giurato fra uomini liberi – e della difesa dei diritti calpestati – ai nostri posti ci troverai, morti e vivi, con lo stesso impegno – Non merita, il sacrificio  di quelle donne e di quegli uomini di essere vanificato, ne’ le attese dei ragazzini dell’immagine qui sopra, di essere deluse.

Francesco De Gregori ci ha messo il titolo, Piero Calamandrei gl’inserti dalla poesia “Ora e sempre Resistenza”. Di mio c’è una bella voglia di contrattaccare.

Il ritorno del Fenomeno®

Il ritorno del Fenomeno®

L’informazione, supporto naturale ed insostituibile veicolo di tutte le campagne securitarie del mondo, racconta di città indifese, esposte, a seconda dei casi, ai rischi di una criminalità o di un terrorismo dilaganti e fuori controllo. Soffiando sul fuoco della paura, invocando misure straordinarie, costruisce consensi e prepara il terreno sul quale prospera la fortuna politica di forze conservatrici, quando non reazionarie.Ma non solo. In Italia, di recente,  l’informazione si è anche molto adoperata a raccontare un Paese che non c’è. Una stortura evidenziatasi durante la recente campagna elettorale, periodo durante il quale, nessuno,  dal commentatore più autorevole al politologo più raffinato, è riuscito ad intuire quel che sarebbe realmente accaduto. Una vittoria di misura del centro destra è stata sì annunciata insieme ad una vasta gamma di considerazioni sulle ricadute che un eventuale pareggio tra le principali forze in campo,  avrebbe prodotto. Nessun’altra variabile però, men che meno, la possibilità che un riesplodere dei consensi alla Lega potesse rimettere in gioco gli esiti previsti. La Lega è il vero fenomeno di queste consultazioni. Eppure il Carroccio tutto è fuori che una forza politica dedita ad un lavoro sotterraneo, impercettibile. Pontedilegno, le ampolle con l’acqua del Po, le ronde, Pontida, sono comparsi sugli schermi televisivi e sulla carta stampata, additati però alla nostra attenzione come i tratti di una folcloristica anomalia. Quasi innocua, nella rappresentazione che ci è stata tramandata di un’espressione politica territoriale dai tratti talvolta ingenui, talvolta beceri. Poche voci a rammentarci gli esiti devastanti che le t – shirt di Calderoli hanno prodotto davanti ad una nostra ambasciata all’estero appena qualche tempo fa, ma poche anche quelle che si sono incaricate d’indagare sulla forte connotazione popolare dell’adesione a certe formule xenofobe. Il nostro immaginario è stato dirottato sulle ampolle del Po. Ma questo vuol essere solo uno dei tanti esempi , un altro fuori casa nostra,  potrebbe essere rappresentato dai Rifiuti che secondo la stampa asiatica sommergono non solo Napoli ma l’intera Europa o dalla città di Roma che, grazie alle strumentalizzazioni della recente campagna elettorale è divenuta improvvisamente omologa a quella di Mogadiscio. Produzione di opinioni a mezzo di opinioni: l’informazione e la comunicazione funzionano così. La nostra percezione del presente soggiace ad un grande dispositivo massmediale che con buona pace della moltiplicazione di fonti, notizie e commenti che continuamente produce, rilascia pochissimi elementi originali alla comprensione dell’attualità. L’attenzione allo scarto e alla differenza, necessaria al pensiero per individuare i varchi del cambiamento possibile, mal si concilia con il dispositivo della ripetizione cui tutto il sistema dei media è improntato. E l’ascolto di soggetti ed esperienze che restano ai margini dell’ordine del discorso dominante, viene anch’esso depotenziato da un sistema della comunicazione che accende e spegne i riflettori sulle voci fuori dal coro, a caso, un giorno sì e cinque no, una testimonianza oggi e l’oblio quasi sempre, un’apparizione in tv, un trafiletto sulla stampa a piccolo risarcimento dell’assenza destinata dal mercato economico e politico delle merci e delle idee. Mai la censura è stata così potente come nella società dei media che tutto dice e tutto fa vedere. Mai l’invisibile e l’indicibile di un’epoca sono stati così estesi come nell’epoca della massima visibilità e dicibilità: è questo il paradosso che rende insieme più possibile e più arduo decifrare il tempo presente. Non per questo possiamo desistere: è sbagliato cedere alle derive apocalittiche del discorso sui massmedia di cui è costellato il pensiero critico del novecento,  è sulla moltiplicazione, non sulla riduzione dell’informazione e della comunicazione che le strategie di resistenza devono comunque puntare. Significa , quanto alla comprensione del presente, che non dobbiamo mai cessare di interrogarci su quello che vediamo e su come ce lo fanno vedere ma anche su quello che non vediamo perché nessuno ce lo fa vedere. Su quello – sempre più – che è consentito dire, e su quello che non è consentito dire e resta censurato e ancor più, su quello che non serve censurare perché proprio il regime della dicibilità di tutto rende tutto equivalente e privo di senso. Che cosa va perduto di ciascuna esperienza e di ciascuna differenza nel gigantesco dispositivo della traduzione linguistica che consente la comunicazione globale? Quante pratiche di resistenza al potere riesce a nascondere e a depotenziare il potere? Sono domande che dovremmo prendere l’abitudine di farci ogni volta che sfogliamo un giornale o guardiamo un tg. E la patinata impaginazione del presente che ogni mezz’ora viene approntata per ricondurlo forzosamente nelle compatibilità dell’ordine del discorso ci apparirebbe subito per com’è, piena di buchi e di strappi e di paradossi, altrettanti varchi in cui infilarsi per sovvertirlo o, quantomeno, ostacolarne l’onnipotente pretesa. Il Fenomeno®, comico, comunicatore, agitatore  di piazze più o meno telematiche,  tutt’altro che immune da sospetti  di manipolazione,  sarà in piazza domani a Torino sul tema dell’Informazione e del delicato rapporto tra giornalismo e potere. Non un tema da poco. Tra le proposte della sua nuova campagna, l’abolizione del contributo statale alla carta stampata. Una tendenza iperliberista vorrebbe che i giornali affidassero i propri destini esclusivamente al mercato e alla libera concorrenza, come è delle merci. Varrebbe la pena, una volta tanto, di riflettere sulla scorta di qualche opportuno distinguo e, eliminate le anomalie di quella legge che col metodo del finanziamento a pioggia, consente uno spreco di denaro pubblico  per soccorre testate inesistenti o confortarne altre in ottimo stato di salute, chiedere piuttosto che siano fissati criteri certi per continuare a sostenere esperienze editoriali  che non potendo o non volendo vantare proprietari eccellenti – grandi gruppi o banche – ovvero essendo poco inclini a raccolte pubblicitarie sconsiderate, cadrebbero vittime, proprio per quanto sopra detto ,  del loro stesso essere indipendenti voci fuori dal coro. I giornali sono troppi – dicono –  e la qualità dell’informazione è sempre più rara – principio da far valere indipendentemente dalla quantità – ma, ci mancherebbe altro, che un discorso di moralizzazione ed indipendenza dell’informazione, falcidiasse proprio quelle esperienze che negli anni sono state, in tal senso,  più significative. Non tutto può viaggiare sulla Rete che sarà anche libera e gratuita e grandemente esaltata dai supporters come insostituibile occasione democratica di informazione e confronto , ma che ha dimostrato, dimostra e dimostrerà sempre, l’imprescindibile esigenza di essere comunque assistiti da quel senso critico e da quell’interrogarsi sulle cose che sta alla base di ogni etica e di ogni libertà.

 

La boccata d’aria ( ghe pensi mì )

La boccata d’aria ( ghe pensi mì )

Alitalia 34

In un’azienda normale, che normalmente perde un milione al giorno e che oltre ad essere sull’orlo del fallimento, non è un modello di efficienza e nemmeno quello che comunemente viene definito un buon affare, si sarebbe allontanato l’unico compratore credibile ( rimasto)  e chiesto un finanziamento ad un istituto bancario per tirare a campare la produzione , solo se una cordata di emiri sperperoni (ed improvvidi ) avesse stipulato un patto di sangue con la proprietà e messo sul piatto un’offerta da capogiro a fronte di un piano industriale da maghi del know how. Ma Alitalia, si sa, di normale non ha nemmeno la spillatrice dell’ufficio acquisti. Dunque, continua la saga, il tempo passa  e il conto da pagare sale. In compenso, al posto della cordata degli emiri sperperoni, abbiamo la boccata d’aria – come l’ha definita Fini  – 300 milioni di Euro ( 150 in più del previsto su richiesta di Berlusconi) del Prestito Ponte, necessaria a garantire il funzionamento del servizio fino a conclusione di nuove trattative. E questo intanto smentisce la favoletta di campagna elettorale sull’entità; del cash flow e sul largo margine di autonomia che, da una parte avrebbe spostato  di qualche mese l’ombra di un fallimento, dai  più ritenuto imminente, e dall’altra, consentito di trattare col massimo della tranquillità e, se del caso, di esaminare  offerte di altri acquirenti . Offerte e acquirenti che allo stato ancora non si sono materializzati. Oggi invece lo Stato interviene in tutta fretta, attivando una procedura che per motivi di ordine pubblico (ovvero a fronte del prosieguo di un servizio essenziale) deve essere richiesta a Bruxelles per l’avallo  e finanziata dal Ministero degli Interni per non risultare come un  aiuto statale alle imprese, e per questo, stigmatizzato dalle normative comunitarie. Niente paura però,  il prestito sarà restituito a fine anno a condizioni di mercato, cioè al tasso d’ interesse corrente. Una bella consolazione . Peccato che essendo lo Stato proprietario di Alitalia al cinquantanove per cento ( e se s’indaga sul resto della proprietà, forse anche qualcosina di più) ogni perdita, interesse passivo o dissesto, gravi comunque sulle spalle del contribuente appunto per quel cinquantanove per cento. Resta inteso che questo oneroso pannicello caldo, non ha effetto alcuno sulla perdita che noi continueremo a sostenere con quattrini nostri   che nessuno mai ci restituirà. In compenso il premier in doppiopectore scravattato  Caraceni,  potrà far colazione con Cossiga e con tutti quelli che riterrà, facendo vanto di efficienza meneghina ” ghe pensi mi “. E chissà perchè, proprio per questo, più  che una rassicurazione, ha il sapore di una minaccia.

Ci sarebbe il primo conto da pagare

Ci sarebbe il primo conto da pagare

ali

Far danni prima ancora di essersi insediati a Palazzo Chigi non è  impresa da tutte le forze politiche  ma questo è esattamente quello che è successo con il ritiro di Air France dalla trattativa per l’acquisizione di Alitalia. Defezione del resto, ampiamente prevista nonchè auspiacata dalla neomaggioranza. Chiedere ad Air France, da parte di Alitalia, di chiarire la situazione legale successiva alla rottura delle negoziazioni,  tecnicamente significa volersi mettere al riparo dalle penali che intervengono quando una trattativa è ancora in piedi e  si cercano altri partner. La risposta, che è stata fatta pervenire al Tesoro, e non all’Alitalia, non poteva non sancire la fine dei negoziati. Il via libera che si attendeva per poter procedere ufficialmente all’acquisizione di nuove offerte, ora c’è. Allo stato, se non interviene un aumento di capitale sociale il fallimento è pressocchè automatico. Il progetto Air France in tal senso, prevedeva l’impegno di un miliardo , ora c’è da vedere se la cordata italiana supportata da alcune banche farà altrettanto. Nel consorzio potrebbe esserci Aeroflot, con una quota non superiore al 49% di Alitalia, per evitare la perdita dei diritti di volo. Finisce qui l’unica speranza concreta di trattativa trasparente, con piano industriale attendibile proposta dal più grande vettore al mondo: Air France. Comunque vada, una sola prospettiva è sicura : lo Stato si appresta a immettere nella voragine Alitalia altri 150 milioni di quattrini pubblici a fondo perduto. Il gioiello di famiglia è rientrato nelle disponibilità dei proprietari  che possono essere grati ad un modo di fare affari secondo il quale  sono sempre gli altri  ad assumersi  rischi e  costi. In primis i lavoratori, nel gongolio generale che ieri sera ha accolto la notizia,  nessuno li ha nominati e a seguire i contribuenti anche quelli assenti dal chiacchiericcio stucchevole del salottino bianco di regime.

Un impossibile kit di garanzie

Un impossibile kit di garanzie

Libera nos dagli uomini di lotta e di governo alle prese con un caso di stupro che, provvidenziale ai fini ben identificati della stampa e della propaganda politica, capita in campagna elettorale. Proprio qui, a Roma. Ma a parte il solito considerare la violenza sulle donne  alla stregua dello scippo di una borsetta ed inserirne le contromisure nella rosa di improbabili provvedimenti –  ventimila espulsioni…Alemanno deve essersi candidato anche a Prefetto, oltre a non conoscere le procedure e a non saper contare – o pacchetti detti  della sicurezza, si possono dormire sonni tranquilli : nella sarabanda di strumentalizzazioni nessuno sta davvero pensando a noi, men che meno  alla nostra incolumità. Se così fosse, invece di spremere le meningi alla ricerca dello spot più efficace, si parlerebbe d’altro :  per esempio di sessualità maschile, perchè gli stupri censiti nel nostro paese, viaggiano, tra pareti domestiche e strade, alla velocità di tredici al giorno, poi ci sono quelli non denunziati e poi c’è anche chi pensa di fare del turismo sessuale o essere, nella propria città,  cliente abituale di minorenni dell’est e non essere annoverato nella categoria degli stupratori. Quali misure si propongono in questi  casi o in quelli in cui il barbaro, oltre che non essere romeno è anche un rispettabile signore o uno che conosci molto bene? Ma queste sono problematiche che non riguardano mai gli uomini di lotta e di governo ma sempre qualcun altro. Ci sono scomode verità dietro questa storia che vanno ben oltre il semplice spietato utilizzo a fini elettorali dello stupro di una ragazza e che nessun maschio di lotta o di governo, troppo occupato a battibeccare – sicurezza si,  sicurezza no, ronde si, ronde no, diritti si, diritti no, libertà si, libertà no – ammetterà mai : si chiama esposizione all’altro e non c’è democrazia che tenga, ne’ garanzie sufficienti ad eliminare il rischio. Si chiama libertà femminile interpretata dai media come disponibilità sessuale. Servirebbe un’altra riflessione e un’altra cultura ma sono tutti così impegnati : chi a tirare i remi in barca, chi a leccarsi le ferite, chi a riorganizzarsi e chi a marciare armi e bagagli su Roma con nutrito seguito di forze politiche e sindache compiacenti targate nord  - ce la devono far pagare del resto e  se riuscisse loro l’impresa, altro che stupro subirebbe questa città – che non c’è speranza. Men che meno ce la potrebbe offrire chi storicamente  vive la libertà e la dignità delle donne come una minaccia. Fortunatamente in questa città, non siamo all’anno zero delle politiche femminili, ne’ tanto disperate da invocare l’intervento delle ronde. Alemanno pensi all’agricoltura. Possibilmente nell’orto di casa sua.

nell’illustrazione il bel pavè delle nostre strade