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Anno: 2008

George ! ( on the set )

George ! ( on the set )


George Clooney, a suo agio nei panni contemporaneamente rivestiti del primo attore, del regista, e del produttore di Leatherheads, film in uscita  questi giorni nelle sale italiane, ha appena finito di girare Burn after reading dei fratelli Coen, ha in animo di far cadere nel pieno del clima elettorale americano, la trasposizione cinematografica di Ferragut North di Beau Willimon, sui retroscena  dell’elezione di un candidato e sembra ieri che con Michael Clayton  procurava grappoli di extrasistole dentro e fuori la sala di proiezione, abbagliando Venezia con il fascino discreto del suo non passare inosservato mai . Lui è uno che dice di non voler esplorare un solo genere e questo davvero è un rischio che non corre se si pensa alla disinvoltura con la quale passa dal film politico alla commedia sofisticata  a quella bellissima serie  di film di pura evasione che sono i vari Oceaneleven, twelve, thirteen  o alla fiction televisiva Unscripted prodotta insieme a Sodebergh, cinque puntate della quale dirette personalmente, un lavoro contro la televisione sperando che la nostra televisione se ne accorga e lo acquisti per la gioia dei telespettatori italiani.

Con Leatherheads si cimenta con la commedia romantica, genere dal quale si era fin qui tenuto a distanza. Ma, dopo vari ritocchi alla sceneggiatura che non riusciva a far quadrare col contesto storico , ha tirato fuori questo film delizioso che per ritmo e stile , ricorda Cukor e Hawks, geni della commedia, ai quali effettivamente Clooney, da sempre innamorato del passato cinematografico del suo paese,  dichiara di essersi ispirato. Ma qui non si tratta di semplici citazioni, l’intero film è immerso  in un’atmosfera inequivocabilmente anni venti  che si  realizza per tramite di un’accuratezza di particolari che nulla tralascia, dalla recitazione da screwball comedy al recupero dei linguaggi d’epoca, completa il clima e la percezione di una crisi che incombe e che di lì a poco sconvolgerà ogni cosa.


Anno 1925 storia di un triangolo e di un segreto, delle imprese di una scalcagnata squadra di football tra maxi retate e grandi bevute negli speakeasy alla faccia del proibizionismo. Belli ed esilaranti i dialoghi tra Clooney e Zellweger e le spettacolari furbesche soluzioni di gioco messe in campo grazie ai bei tempi in cui il gioco non aveva regole. Come in amore, si potrebbe dire, ma il titolo italiano – In amore niente regole – probabilmente pensato per allontanare dal film l’idea del soggetto esclusivamente sportivo, più caro agli americani che a noi, qui proprio non c’azzecca. Una bella prova di talento maniacalmente espresso nella direzione del film , Clooney a buon diritto stravenerato e conclamato dalla stampa americana,  divo, è in realtà un regista nato che dopo tre belle prove e un capolavoro, si spera continui a coltivare la sua  vocazione.

 

In amore niente regole è un film di George Clooney. Con George Clooney, Renée Zellweger, John Krasinski, Jonathan Pryce. Genere Commedia, colore 114 minuti. – Produzione USA 2008. – Distribuzione Universal Pictures –

Rock ‘n’ roll will never die

Rock ‘n’ roll will never die

Trent’anni dopo The last waltz , Martin Scorsese realizza con il sostegno del Clinton Found, quest’omaggio amorevole e cinico ai Rolling Stones e alla loro musica . Shine a light. Proprio come una delle loro hit . Dunque.. splende una stella, in una torrida serata al Beacon Theatre di New York, insieme ad ospiti trasversali per linguaggi e provenienza  – Anguilera, Guy, Wood –   si celebra il mito di Jagger and co, senza trucchi e senza inganni ma soprattutto, collocandosi a siderali distanze dalla retorica  e dagli infingimenti della routine rockettara che viaggia su clip.  Potenza visiva elargita da venti cineprese in movimento – ai lati e dietro il palco, sulla gru, in mezzo al pubblico e sotto il corridoio da sfilata – che lavorano sincronizzate dal mago David Tedeschi. Indagini approfondite del regista nel reticolato di rughe, fatica e smorfie, compendio  espressivo di questi abilissimi sciamani sessantacinquenni, tutti vibranti di fascino seduttivo antico e decadente. Il tocco di Scorsese non è invasivo, intenzionato a catturare la performance più che a fare un film  , testimonia con dovizia di particolari ,  la resurrezione di Jagger, sublimando in special modo l’anima  blues degli Stones. Poi, giocando la carta ruffiana della memoria che affiora dai filmati d’epoca , strappa, come d’abitudine, momenti di intensa commozione. Ma è un attimo. Il resto sono due ore di grande cinema dedicati interamente  a una band che non molla, non affonda, non arretra e che probabilmente sarà su quel palco finchè avrà vita. Esordiente come aiuto regista del documentario di Woodstock, già esemplare al cospetto di Bob Dylan (No Direction Home),  Martin Scorsese annuncia di voler raccontare anche di George Harrison e Bob Marley. Questo film ha inaugurato, mandandola in delirio, la Berlinale 2008.

Salvarsi l'anima

Salvarsi l'anima

Siccome le campagne elettorali si fanno per prendere i voti e non per salvare l’anima agli elettori , difficilmente la Politica,  nell’ accezione più alta del termine, esce valorizzata da questi tours de force, miglior tratto distintivo dei quali, bene che  vada, è l’ossessiva ripetitività di frasi a effetto. Ottimistica e un filin velleitaria , sembrerebbe pure , in tali circostanze,  la ricerca  di  brandelli residui di spinte ideali,magari  da rinvenirsi nei temi dell’assicurazione alle casalinghe o della destinazione dell’extragettito. Manco lo staff di Obama il Trascinatore, riuscirebbe nell’impresa. Era fatale del resto, che nella stagione  delle aspettative  disattese, la vera Mission Impossible  sarebbe stata riaccendere le speranze. Da questo punto di vista , Veltroni con i suoi tentativi di Nuovo che Vorrebbe Avanzare, ha già compiuto alcuni piccoli miracoli in termini di risveglio dell’ attenzione e di rimessa in gioco di Possibilità che francamente sembravano smarrite. Tuttavia, per alcuni, ciò non è ancora  sufficiente a concedersi il lusso di una rinnovata fiducia, quella vecchia si è incrinata nella precedente esperienza di governo, troppo breve e troppo gravata da priorità di risanamento per essere percepita come segnale di vera controtendenza. Resiste pertanto , irriducibile agli appelli, la determinazione di una parte degli elettori che si ripropone di non andare a votare. Non so in che modo costoro pensino di trasformare la non scelta in una forma di incisiva protesta ma non importa, finchè si è in campagna elettorale le incertezze sono oggetto di attenzioni e offerte speciali come usa fare con i compratori difficili nei migliori  negozi ma a partire da lunedì, il dato dell’astensionismo subirà il consueto trattamento : qualcuno osserverà  che la disaffezione sta raggiungendo livelli europei o statunitensi, dopodichè – mal comune mezzo gaudio – si passerà ad altro contendere. L’attribuzione dei seggi, del resto, è un meccanismo che  l’astensione non riesce a scalfire in alcun modo, perchè insistere, da parte dei commentatori e dei politici, con la disanima di quel che poteva essere e non è stato ? Ad ogni buon conto, chi decide di non votare merita egualmente rispetto, inutile agitare gli spettri della democrazia in pericolo, non perchè il rischio non sia concreto, come è logico in un paese come il nostro in cui  la tentazione autoritaria trova sempre un terreno accogliente e sempre  è in agguato, ma perchè chi rifiuta di avvalersi di un istituto democratico, mette in conto ogni rischio connesso. Personalmente amo scegliere e men che meno rinuncerei alla possibilità seppur remota di contare, poi,  per quel che vale la mia esperienza, più difficili sono le condizioni , più controversi e articolati appaiono i termini della mia adesione a questo o a quel progetto, più risulta evidente che la realtà è  tale da rendere la mia scelta necessaria . Oggi dire no alla destra può sembrare riduttivo ma dire no a questa destra e al suo designato Premier, corrisponde già ad una bella e propositiva affermazione. La rivoluzione culturale indispensabile alla sconfitta del modello sociale imperante, non si fa con il voto ma nemmeno senza. E se interrogando tutte le perplessità afferenti a questa nostra, al momento, unica possibilità di  modificare un corso degli eventi che sembra oramai così irreversibilmente disegnato,non troviamo motivazione sufficiente,  pazienza . Quanto a salvarsi l’anima non è materia in cui mi sento particolarmente preparata.Vado a votare con dubbi che non da un giorno,  sono divenuti talmente parte di me che a momenti nemmeno mi accorgo di averne ma una certezza la coltivo  e mi piace oggi  farla valere :  Veltroni si può cambiare. Berlusconi no.

I care

I care

Mi sta a cuore. Più efficace traduzione del motto dei giovani americani migliori , Don Lorenzo non avrebbe potuto trovare . Nella selva di metafore e slogan politici che hanno attraversato gli ultimi  anni, l’ I care  mantiene integra la sua forza, un po’ perchè filo conduttore di un’esperienza Unica quale è stata Barbiana ma soprattutto perchè I care stimola l’istinto dello scatto in più rispetto al nostro abituale essere o meno d’accordo su di un’idea o su un progetto. I care. E corri con la mente subito a cosa puoi fare, perchè se ti sta a cuore davvero qualcosa, il solo Pensiero non può essere sufficiente a contenere la determinazione di quell’istinto. Ma non è tutto .  Don Lorenzo per esempio, ancora testimonia come essere dalla parte degli Ultimi significhi in realtà volere molto altro. Giustizia, equità, stesse opportunità per ciascuno. In una parola : Democrazia. Ancora quell’esperienza indica con chiarezza quanto sia aspro il cammino di chi si mette per traverso, magari perchè semplicemente s’interroga, coltiva o insinua dubbi e con questa piccola operazione si costruisce un’etica che di questi tempi equivale a mettere le bombe sotto la carrozza del tiranno, ovvero perchè direttamente contrasta interessi, o mette in dubbio poteri costituiti. Il Partito Democratico che ha preso l’avvio da Barbiana, ha espresso l’ambizione d’interiorizzarne lo spirito. E’ tuttavia lecita ogni perplessità e  senso di scoramento che accompagna il voto di domenica. Non può essere sufficientemente motivato chi vede ancora  irrisolte le grandi questioni che assillano la vita di questo Paese, ne’ l’aver avuto in Romano Prodi l’artefice del risanamento potrebbe di per sè attenuare la delusione, quando non il peso dell’insistere di effettivi disagi. L’astensione non è una scelta che mi è congeniale ma capisco chi ne è tentato.Il Partito Democratico non ha potuto ancora offrire di sè una visione certa, ne’ una prova dei fatti tale da poter essere considerato una garanzia effettiva. C’è molto di detto e scritto, ci sono i programmi, le liste, i dibattiti, la stampa, la generosa partecipazione di molte donne e di molti uomini, ma un partito non si può giudicare dalla campagna elettorale ne’ dalle scelte , seppur felici, ad essa connesse.Troppo poco per le aspettative deluse e per il conseguente bisogno di concretezza degli elettori. Troppo poco per capire come e se, l’idea di sintesi tra diverse sensibilità riuscirà a materializzarsi in un progetto comune che sia laico e improntato al valore irrinunziabile della Giustizia Sociale. I partiti si giudicano alla prova dei fatti. E fin qui il Partito Democratico  ha potuto solo esprimere promesse, dichiarazioni d’intenti : Parole. E anche se la gente di Roma ha trovato in Veltroni sindaco, l’amministratore che ogni capitale europea meriterebbe, ciò non è ancora sufficiente a confortare dubbi e disillusioni. Noi possiamo argomentare quanto vogliamo con gli elettori indecisi, presentare programmi e chiarire dubbi , motivare, ove ce ne fosse bisogno, alcune scelte del Partito Democratico dalle Primarie fino alla compilazione delle liste passando per le prove di dialogo sulla riforma elettorale, quanto poi a presentare Berlusconi come un reale pericolo per la Democrazia, non si fatica nemmeno troppo, in ogni piega dei suoi discorsi, è contenuto un pesante disprezzo per le istituzioni, un’idiosincrasia per le regole, particolarmente per quelle che potrebbero contrastare quel modo rapace di fare impresa di cui è campione indiscusso. Si può votare contro e in questo caso specifico  il contro sarebbe già un’affermazione ben definita ma si dovrebbe anche votare per un’idea di futuro che si stima essere la migliore e che appassiona. Quale che sia l’idea, noi sappiamo si dovrà confrontare con le persistenti anomalie di questo Paese : una destra con tentazioni autoritarie oltre il consentito e che non svolge il ruolo  liberista che le sarebbe proprio, una parte di sinistra che  cerca di sopperire alla carenza con quel che ne consegue in termini di confusione , mentre l’altra parte, poco incline a gestire il proprio rapporto con il potere, sembra destinarsi a quella perenne testimonianza che, almeno altrove, ne ha invariabilmente assottigliato le fila. In mezzo tutto l’ individualismo e il corporativismo che il tempo che passa sembra acuire e che impedisce la formazione di una coscienza del Bene Comune.  Alla fine di tutto, quel che si può chiedere agli elettori è sempre un (ennesimo) atto di fiducia verso una forza politica che si spera abbia conservato nel proprio DNA uno dei tratti distintivi del proprio passato e che a più riprese ha sempre offerto un contributo essenziale per combattere la disgregazione in questo Paese. Andiamo a votare, non mi pare ci sia altra scelta se non tornare ad attivare la Speranza. I care. Nonostante tutto, molto ci sta ancora a cuore. Veltroni si può cambiare. Berlusconi no.

barbiana40Nelle illustrazioni c’è l’aula di Don Lorenzo Milani a Barbiana , il perchè la visione di questi ambienti, abbia su di me, che non sono nemmeno credente, un forte impatto, rimane un mistero

Jezebel!

Jezebel!

Il confine tra un cattivo carattere e l’avere carattere è , come si sa, molto esile. Questa donna ha dato filo da torcere a tutti : mariti (quattro) , produttori , sceneggiatori, registi, amici, ma se le avessero affidato, com’era previsto, il ruolo di Scarlett , Via col vento sarebbe stato un capolavoro immortale e non un polpettone indigesto che prende luce solo quando il colonnello Buthler mostra al mondo quanto è maschio lui. Non certo per l’interpretazione leziosa e priva di dramma della Leigh. Bette Davis però, non ebbe quella parte per la quale aveva fatto un provino e preso accordi e che rispetto alla Mitcheliana descrizione, le calzava a pennello. In  compenso mise in croce Jack Warner della concorrenza perchè producesse la Figlia del Vento. I due film ebbero destini diversi (anche  la Figlia del Vento però , fu premiato dall’Academy) , ma oggi noi ci ricordiamo di Rossella – Vivien Leigh e niente più, mentre Bette Davis è nelle nostre menti  indipendentemente dai personaggi che ha interpretato. Il carattere è un’arte e, in sottordine, una categoria del cinema. Ma per avere carattere cioè per essere se stessi ad ogni costo, si pagano prezzi altissimi . E a Bette Davis per lavorare capitò anche di scrivere un’inserzione su Variety . Ciò non le impedì di aggiudicarsi i premi più ambiti : due Oscar e una Palma d’oro . Il suo discorso sul genere femminile rimane ancora oggi di una modernità sorprendente, niente a che vedere col femminismo soft aereobico di Jane Fonda. Bette uccideva mariti e amanti, maltrattava sorelle, detestava mamme, vinceva impari tornei di scopone con i baraccati , sopportando però con dignità il peggior contrappasso per un’attrice : essere soppiantata da un’attrice più giovane. Fuori da qualsiasi schema, in controtendenza con il  melò  dai 40 th in poi , si mangiava tuttavia ,  l’Actor’s Studio a colazione, non era bella ( o forse si ) non era docile (sicuramente no ) ma era un’attrice di impressionante bravura. Doppiata in Italia dal magico birignao di Tina Lattanzi ( chi ha chiuso la luce caaara?) , coeva di Anna Magnani con la quale intrattenne una fitta corrispondenza  che durò fino alla morte di Anna, compirebbe in questi giorni 100 anni. Per 50 ha graffiato gli uomini della sua generazione (Tavernier diceva che aveva gli occhi tondi da rapace), facendosi poi perdonare tutto quando mandò in giro per il mondo la vecchina delle mele di Angeli con la pistola.