L’aria che tira

E così, semplifica di qua e aggira una procedura di là – ma dopo verrà qualcuno a spiegare che non sempre, e non tutti, i passaggi istituzionali sono da considerarsi cerimonie protocollari ? – il nuovo governo ha giurato fedeltà alla Repubblica e alla Costituzione. Vista da vicino, la nuova compagine è snella, più giovane del consueto ed esprime quattro donne delle quali due persino con portafoglio. Il quadro è così ben delineato da rendere ogni lettura quasi superflua. Il consenso acquisito, le sfide a venire e le esperienze trascorse, hanno suggerito al Presidente del Consiglio la formula per mettere insieme una squadra che, al di là dei naturali problemi di equilibrio tra le diverse componenti, ora più che mai , è la sua squadra. E fedeltà sembra essere stato il criterio che più di ogni altro ha guidato il lavoro del Premier quand’era ancora in pectore. Non c’è gran rinnovamento e non ci sono facce nuove, ma di che stupirsi? La maggioranza degli italiani ha votato proprio per questo tipo di governo. E di questa chiarezza e rispondenza, ognuno dovrebbe compiacersi. La vera semplificazione è tutta lì : il leader che piace agli elettori e i ministri che piacciono al leader. L’imprinting della Lega per sbrogliare i nodi cruciali, i temi forti della futura legislatura: immigrazione, sicurezza, riforme, gli uomini del Premier ai ministeri chiave : Economia e Giustizia. Una mirabile tessitura che fonda la sua ragione d’essere, la sua solidità e, presumibilmente la sua futura armonia sugli undici punti di vantaggio guadagnati sull’avversario. Potenziali conflitti, in queste condizioni, non potranno essere che appianati, inutile sperare in divergenze in grado di minare la stabilità. La trascorsa esperienza – una coalizione troppo ampia, animata da controversie, ricattabile per un margine di vittoria esiguo – ha stimolato, comprensibilmente, una forte esigenza di governance e di concentrazione del potere decisionale. Allo stato attuale, tutte queste condizioni sono state talmente onorate che senza un ruolo di rilievo dell’Opposizione, si rischia l’appiattimento ovvero il farsi spazio di forme di decisionismo che eludendo ogni complessità finiscono con lasciare le questioni irrisolte . Questo governo può far da solo e fare anche molto male a questo Paese se lascia prevalere la sindrome dell’ autosufficienza. Per questo non mi dicono niente di buono la modalità di avvicendamento Taiani – Frattini alla Comunità Europea e tutta l’irritualità post elettorale vissuta e presentata come semplificazione. Ne’ la presenza femminile sacrificata a logiche di equilibrio o l’assenza di figure autorevoli di rilievo istituzionale – sembra davvero curioso che l’attivismo e l’esposizione mediatica di Michela Brambilla siano destinati a risolversi in un probabile ruolo di sottogoverno, che le competenze di Giulia Bongiorno, o il prestigio di Marcello Pera non siano stati impiegati nella Giustizia, ministero chiave nella lotta alla criminalità e quindi contiguo alla risoluzione del problema della Sicurezza, affidato invece alle cure di Angelino Alfano che affianca alla scarsa esperienza anche una obiettiva mancanza di autonomia. L’aria che tira peraltro largamente anticipata durante la fase pre-consultazioni, nelle piccole cose, nei linguaggi, negli atteggiamenti proni, nei paternalismi, nella sbandierata ammirazione dell’uomo solo al comando, non parla il linguaggio della democrazia e dove non c’è democrazia non brillano nemmeno funzionamento e sviluppo. Prima ancora di preoccuparsi se questo governo sarà o meno per Silvio IV, un buon viatico per il Colle e quale modello presidenziale adotterebbe nel caso, bisognerebbe preoccuparsi di costruire le Regole come da promesse di campagna elettorale di recente conclusa. In attesa : lunga vita a Giorgio Napolitano.


Un paio d’ore e, più passate a leggere le geremiadi post sconfitta dei titolari di blog e siti, legati, iscritti, eletti o trombati nelle liste del Partito Democratico, mi hanno chiarito le idee sull’entità e sulla qualità della protesta contro la mancanza di democrazia interna nel partito stesso. Devo confessare che più di risollevare il morale già duramente provato dalla disfatta – qualcosa si muove? Macchè - sono piombata, come se ce ne fosse ulteriore bisogno, nello sconforto più totale. Non che non condivida in linea di massima i rilievi che vengono posti alla nomenklatura ma solo perchè, una volta tanto, in calce alla lista delle doglianze, mi piacerebbe facesse capolino un’avvisaglia del che fare di buona memoria. Non sarebbe poi male, che a margine di tali dibattiti,si tenesse conto che un Partito sedicente Democratico, in occasione di critiche all’interpretazione del criterio di rappresentanza, dovrebbe riflettere quantomeno sul tipo di regole che si è dato con le Primarie, considerando come, le pur legittime aspirazioni di cambio di vertici e compagini varie, possano risolversi esclusivamente tenendo conto di quelle regole. In sostanza se la classe dirigggente non va, c’è un solo modo di sostituirla : diventare maggioranza al congresso, proponendo una nuova dirigenza e un nuovo segretario. Come si ottiene ciò? Convincendo gl’iscritti con proposte alternative politicamente dignitose. Altrimenti non c’è scampo, sono tutte uguali le nomenklature del mondo esattamente come sono tutte uguali le opposizioni alle stesse, con il risultato che all’affresco autoreferenziale già abbondantemente declinato nelle lamentele, si aggiungono nuovi personaggi, tingendosi l’atmosfera generale con i colori inquietanti dell’impotenza. Veltroni è stato eletto poggiando la sua candidatura su liste omogenee ad un progetto politico. E’ impensabile che il segretario governi il partito con altri che non siano quelli che le primarie hanno designato direttamente ed indirettamente. Il nodo è tutto lì. Allora perchè io sento parlare di cambiamento senza che – tranne in un caso conclamato – in ciò venga anche inclusa la carica di segretario?. Si abbia allora il coraggio di mettere in discussione il nome di Veltroni invece che di menare il can per l’aia prendendosela, ora con i singoli candidati ( le poche donne sono i bersagli preferiti,tra l’altro ), ora con non meglio identificate sedi informali di decisione dai nomi suggestivi…caminetti, salotti e – new entry nel gergo populista – ora pure le terrazze. Chi ragiona in questi termini o solo di questo, va cercando rassicurazioni per sentirsi autorizzato a non fare i conti con una durissima realtà italiana. Ecco perchè sarebbe gradita un’analisi onesta che si avventuri oltre la campagna elettorale, che non individui i motivi della sconfitta solo in quella e soprattutto che si ponga il problema del futuro e cioè di quale opposizione fare: Sotto questo aspetto la discussione è stata assai povera di considerazioni.Si potrà riempire quel vuoto? Potrà il configurarsi di una nuova cultura precedere la scelta di nuove classi dirigenti? O dobbiamo aspirare al nuovo senza conoscerne i contorni? Chi ha qualche anno conosce assai bene la discussione sui contenitori che è senz’altro da annoverarsi tra gli errori più frequenti del passato.Tenere botta – ci mandano a dire – Nel contempo però cerchiamo anche di farci del bene.