Sfogliato da
Mese: Luglio 2008

Isabellissima e la grande depressione

Isabellissima e la grande depressione

la-canzone-piu-triste-del-mondo-42287

Gli amanti dell’eccentrico, potranno con questo film – la Canzone più triste del mondo -appagare i loro desideri  di novità e sperimentazione, immersi, come si troveranno  in un mescolio in salsa postmoderna di generi e stili  –  musical, espressionismo tedesco, circo, cinema muto –  ovvero nel bianco e nero  che scintilla o in quello che quando perde smalto, vira al claustrofobico, alla definizione delle ombre e  viene, su iniziativa del regista, squarciato dall’ irruzione del colore. Ovvero potranno divertirsi a rintracciare – attività cinefila per eccellenza – nella pletora di citazioni disseminate ad arte  dal talento antiquario del regista Guy Maddin, i film di riferimento.


 Tema: la Grande Depressione e il proibizionismo che stanno uccidendo l’attività di una fabbrica di birra a Winnipeg e la manageriale iniziativa  della proprietaria  Lady Helen Port Huntley, di organizzare il   concorso La canzone più triste del mondo  allo scopo di risollevare le sorti della cittadina e dell’Impresa. Intorno a Lady Helen  si muove un campionario di divertenti personaggi : l’ ex amante della stessa Helen, produttore arrogante e fallito di Broadway con la sua fidanzata ninfomane, il di lui fratello che ha perso la famiglia in Serbia e punta alla ninfomane e infine il padre divenuto alcolista per amore. (sempre di Helen) Il passato che ritorna, con l’occasione del concorso, regala irresistibili episodi e colpi di scena : Helen per esempio ha perso le gambe in circostanze –  diciamo rocambolesche – e il responsabile dell’incidente sogna di  farle dono di un paio di gambe di vetro piene di birra. E poi ancora : follia, potere, critica politica, amore, raccontati col doppio registro dei dialoghi che utilizzano linguaggi moderni ma con recitazioni da cinema classico, il tutto impresso su pellicola anticata.

Film passato cinque anni fa a Venezia nella sezione Nuovi territori, è approdato solo da venerdì nelle sale. Nel frattempo Maddin, regista sperimentale di belle realizzazioni e speranze nonchè gran cinefilo, ha avuto tempo di firmare ben cinque corti e due lungometraggi. Ma per come funziona la distribuzione qui da noi, già è tanto che sia arrivato, oltretutto in questa stagione che certo non è l’ideale per i lanci. Infine, onore al merito di due attrici che sanno quel che fanno  : Isabella Rossellini e Maria de Medeiros ( regista del Resto di niente…altro film dimenticato). Belle, brave, divertite e in parte, concorrono alla riuscita di questa  piccola perla confezionata con il piacere perfezionista ed estetizzante di un innamorato del proprio mestiere.

 

 

The saddest music in the world  è un film di Guy Maddin. Con Mark McKinney, Isabella Rossellini, Maria de Medeiros, David Fox, Ross McMillan. Genere Musicale, colore 99 minuti. – Produzione Canada 2003. – Distribuzione Fandango

L’agguato, la vendetta ( e la sentenza)

L’agguato, la vendetta ( e la sentenza)


Non si commentano le sentenze . Non ci piove. E poi siamo solo al primo grado – 180 udienze, 360 testi, 155 parti civili con i loro 50 avvocati, più 60 difensori degl’imputati –  e l’appello è già  stato annunciato. Tempo verrà per ulteriori disanime. Nelle more però andrebb evidenziato che se a Genova – Bolzaneto si fosse potuto sostituire  il reato di abuso di autorità – già importante di per sè, viste le circostanze,  ma meno specifico – con il reato di tortura, le cose sarebbero andate diversamente, in termini di entità delle pene comminate, ma soprattutto  di significato complessivo dell’intero Procedimento. Ci sarebbe piaciuto che il disegno di legge relativo  approvato dalla Camera in dicembre 2007 con voto bipartisan (compreso emendamento di Forza Italia sull’ inapplicabilità dell’ immunità diplomatica) avesse potuto compiere il suo naturale iter. Così non è stato, la XV legislatura stroncata, più o meno , sul nascere, tra le altre buone cose, avrebbe da ascriversi anche questo tentativo di colmare una evidente, contraddittoria, lacuna del codice. Si ha un bel dire dobbiamo fare in modo che queste cose non accadano più ma poi in termini concreti una legge vale più di un lungo procedimento come Bolzaneto è stato e sarà. Ma non commentare la sentenza non ci esime dal valutare quanto va oltre il chi ha picchiato chi  e perchè o se ci fossero dietro quegli inqualificabili episodi di violenza morale e materiale, altrettanto inqualificabili regie o piani preordinati della mattanza. Questo, al momento non è dato sapere, anche se dai giornali trapela ( le motivazioni della sentenza non sono state ancora rese pubbliche ) che la Corte l’abbia, per Bolzaneto, escluso, appuntando com’era prevedibile l’ attenzione sulle responsabilità individuali. Ma in nessuna Corte potrà essere trascinata mai la Responsabilità gravissima della gestione dell’Ordine Pubblico di quelle giornate. Invece che regia, possiamo chiamarla Mario, ma quello è . Ed è che a Genova da parte delle forze dell’ordine, si è cercato lo scontro, la prova di forza, si sono  inseguiti manifestanti che ripiegavano, colpiti quelli che procedevano  con le mani alzate, sono stati selvaggiamente picchiati i passanti e i giornalisti, si è consentito a industurbati  provocatori e  black block di assaltare il carcere o procedere ad ogni sorta di devastazione, al preciso scopo di tendere la  trappola. Prima l’agguato, poi la vendetta. Queste sono state via Tolemaide, il Lungomare,  la Diaz e  Bolzaneto . E per questa insensatezza è morto Carlo. Se non c’è stata strategia preordinata, allora vuol dire – qualunque cosa sia scritta  nella sentenza che comunque riconosce l’abuso di autorità – che ci sono circostanze in cui le forze dell’Ordine hanno un margine di autonomia troppo ampio per un paese che si dice democratico. Un lungo e complesso procedimento come quello in questione, avrebbe potuto essere affiancato dall’ istituzione della famosa Commissione Parlamentare d’inchiesta, contro la quale si espressero con voto contrario il Centro Destra e l’Italia dei  valori, per l’appunto motivando con l’inopportunità di esporre le forze dell’ordine ad un possibile danno d’immagine. I conti tornano.

Ci basta quel che abbiamo

Ci basta quel che abbiamo

Beppino 22

Una legge non può togliere la vita. Non può regolare la morte E’ vero. Ma nemmeno obbligare a sottoporsi ad una terapia  o a un trattamento. Ora, prima che i termini di questo dibattito che, al di là delle diatribe, ha per tema lo stato irreversibilmente vegetativo  di una creatura e le sofferenze indicibili della sua famiglia – lo vorrei sottolineare, basterebbe aver seguito il calvario di Beppino Englaro in questi ultimi anni, per capirlo –  diventino una querelle tra il Partito del Meglio Vivere VS il Partito del  Meglio Morire, prima che l’accanimento terapeutico e il precetto evangelico del dar da bere agli assetati vengano, dopo essere stati messi sullo stesso piano, tirati in ballo, manco nel settore si potessero stabilire regole generali che prescindano dalla volontà delle persone, dai pareri dei medici o da quello dei giudici chiamati ad esprimersi, sarà il caso di riflettere su quel che già fu il tema dibattuto per Welby : bene il testamento biologico a patto che la Norma non vada ad inerpicarsi nelle casistiche e le voglia enumerare tutte – qui si e qui no, questa malattia si e questa no, mangiare è una terapia? E bere cos’è? - A queste condizioni, meglio lasciar perdere. Ogni caso ha la sua particolarità. La legge non può regolare tutti gli aspetti dell’esistenza, tantomeno  essere chiamata a  esprimersi su scelte private in materia di vita o di morte, pena, come puntualmente accade, l’intromissione della politica per fissare burocraticamente limiti e paletti che mal si conciliano con l’eccezionalità di ogni singola storia. Ci basta quel che abbiamo, ed è  tra l’Ordinamento e i Codici Deontologici che va cercata la risposta. Lasciamo che la decisione sia degli interessati. Altrimenti non c’è alternativa : lo Stato Etico che decide una volta per sempre e per tutti è assai  più insidioso dello straparlare dei Vescovi, i quali fanno lo stesso mestiere dei politici e dei direttori dei giornali : prendere voti , garantirsi il potere, vendere copie. Che c’entra tutto ciò con Eluana? Beppino Englaro, i medici, i giudici  ne sanno più di tutti i politici e i giornalisti messi insieme. E sono in scienza, coscienza e prudenza  infinitamente  più saggi. E liberi .

Qualcuno obietterà che l’articolo 579 cp  –  omicidio del consensiente con quindici anni di reclusione – e l’impossibilità per alcune famiglie  di sostenere un iter giudiziario lungo e costoso, sono due ottimi motivi per fare una buona legge. Sono d’accordo, con una sola riserva. Penso alle storture derivate dall’aver messo le mani sulla legge per la fecondazione assistita. Penso che allo stato, il rischio incombente sia l’effetto negativo che l’ingerenza dei vescovi abbia sul legislatore. Non parlo di pressioni dirette ovviamente, ma di quel meccanismo perverso secondo il quale, per tacitare le obiezioni dei cattolici, qui da noi,  non  si cerchi di trovare una giusta sintesi con le posizioni laiche ma si tenda piuttosto all’opera di collazione e dunque al pasticcio. La legge già consente, il passaggio successivo consisterebbe nella prescrizione e all’interno di questo discorso, andrebbe l’impossibile determinazione di una casistica esaustiva. Questo Paese non è pronto per scrivere una Norma autenticamente laica e come tale astratta. Per questo,  preferirei che almeno per il  momento, le cose rimanessero come sono.

Matthäus passion

Matthäus passion

Accattone

Il cinema spesso trasfigura i luoghi di cui si serve, li manipola, li imbellisce ( o imbruttisce ) li piega a diverse esigenze di sceneggiatura. Aggiunge o toglie, rende profondo un vicolo di pochi metri, fa sembrare maestoso un vialetto. Spesso visitare una location,dopo aver visto il film, provoca una specie di choc, tanto è incisiva la trasformazione che può operare la macchina da presa. Ho visto il Pigneto, la Maranella, la Borgata Gordiani , i prati dell’ Acqua Santa –  i luoghi di Accattone – qualche anno dopo l’uscita del film che è del 1961. I dialoghi, le espressioni idiomatiche, i toni, invece, li ho continuati a sentire  per parecchio tempo nelle conversazioni dei pischelli che nelle domeniche d’estate sciamavano per Ostia, al barcone del Ciriola  o nei bar. E qui in Trastevere, prima che l’esodo verso altre zone  della città e l’arrivo di nuovi inquilini, trasformasse i  linguaggi in uso nel quartiere . Ma per tornare al Pigneto, ancora negli anni 70, tutto, assolutamente tutto, era come Pasolini l’aveva mostrato : incredibilmente veri erano quegli  sterrati, quelle piazzette e il famoso bar con i tavolini . Unico elemento aggiuntivo, quantunque in armonia con i contesti, era la musica di Bach  – Matthäus passion –  un’inclusione ad imprimere sulla povertà degli abiti e sul volto dei personaggi, un’elevatezza di sentimento che il cinema italiano non conosceva dai tempi di Ossessione, Roma città aperta, Paisà I riferimenti del cinema di Pasolini sono  evidenti : Dreyer (Giovanna D’Arco, dirà , una norma di assoluta semplicità espressiva), Mizoguchi e  Rossellini . Accattone è personificato da Franco Citti che di un mondo reale, dolente – quello di Ragazzi di vita – è la piena e completa espressione. Intorno a lui tutto è Bellezza, non quella cinematografica con i suoi criteri convenzionali ed espressionistici ma quella che nei corpi magri, mortificati rinviene i tratti di un’angoscia irriscattabile. Così si snoda la parabola di un’attesa fatta di stazioni progressive che culminano nella sequenza del sogno e che infine  si risolvono nell’immagine  in cui Accattone contempla la propria morte. E in questi passaggi, i  fatti vengono scorticati con l’eleganza squisita dei primi piani – intensi angosciati e di durata spinta fino ai limiti del tollerabile – che prevaricano i campi lunghi: la frontalità che vince sulla discorsività . Il vero sull’artificio. E la meraviglia dei  bianchi sovraesposti e di quella luce romana che non perdona, contribuiscono alla sensazione di una sorta di mistero sacro. 

Metta metta Tonino/ il cinquanta, non abbia paura/ che la luce sfondi/ facciamo questo carrello contro natura!

 (Tonino è Tonino Delli Colli, direttore della fotografia in Accattone, Pasolini apprese da lui l’uso degli obiettivi ma poi a sua volta gliene andava spiegando la modulazione espressiva)

 La macchina è quasi sempre sul cavalletto, i carrelli sono brevi , la recitazione è quella barbarica delle voci prese dalla strada ( ma qualche necessario doppiatore lavorerà fianco a fianco con il vero interprete , in qualche modo sotto la sua guida ).Un uso minimale dello stile, una forma di severità, di austerità, di pauperismo visivo assai differente dalle modalità  del Pasolini scrittore. Ma se in una Vita Violenta s’intravede una soluzione eroica e civile dell’esistenza sottoproletaria, in Accattone è la disperazione allo stato puro e un incontrovertibile senso di deriva a padroneggiare la scena. La macchina da presa si deve piegare a quest’imperativo  e serve  a percorrere il campo dell’angoscia. E quell’angoscia viene risolta in una forma speciale, pittorica

Quello che io ho in testa come visione, come campo visivo, sono gli affreschi di Masaccio e Giotto – che sono i pittori che amo di più – assieme a certi manieristi ( per esempio il Pontorno). E non riesco a concepire immagini, paesaggi, composizioni di figure, al di fuori  di questa mia iniziale passione pittorica, trecentesca, che ha l’uomo come centro di ogni prospettiva.Quindi quando le mie immagini sono in movimento,sono in movimento un po’ come se l’obiettivo si muovesse su loro sopra un quadro;concepisco sempre il fondo come il fondo di un quadro,come uno scenario e per questo lo aggredisco sempre frontalmente 

Pier Paolo Pasolini  Mamma Roma  Milano 1962 pag 145

Questa pittoricità ci fa avvertire  i fondi e le figure del suo cinema come immobili e chiaroscurati. Ma ricacciati controluce o sprofondati nella luce bianca, quei fondi e quelle figure sono i segni di un linguaggio funebre.

 

Accattone è un film di Pier Paolo Pasolini. Con Franco Citti, Franca Pasut, Adriana Asti, Silvana Corsini, Paola Guidi, Sergio Citti, Alfredo Leggi, Mario Cipriani, Umberto Bevilacqua, Edgardo Siroli, Polidor. Genere Drammatico, b/n 120 minuti. – Produzione Italia 1961

Ma in Accattone  lavorano in piccole parti  anche  gli amici …Stefano D’Arrigo, Adele Cambria e un’indimenticabile Elsa Morante.

Le 14 juillet 1789 (le jour de gloire est arrivé..)

Le 14 juillet 1789 (le jour de gloire est arrivé..)

Prise de la Bastille

Quella sera, il re era andato a dormire dopo aver scritto sul suo diario:” 14, nulla.. Eppure, lo stesso pomeriggio, una deputazione dell’ Assemblea era venuta di nuovo a chiedergli, onde calmare Parigi, il ritiro delle truppe che erano accampate nel Campo di Marte. Egli aveva accettato. Che cosa rischiava? Versailles e i sobborghi parigini traboccavano di soldati! Le guardie del corpo sono ” consegnate da due giorni!
Mme de Polignac è andata a portare nel pomeriggio dei dolcetti secchi ai due reggimenti tedeschi che bivaccano all’Orangerie! La deputazione gli aveva anche annunciato che i parigini stavano marciando sulla Bastiglia. Ebbene, dunque! Si sarebbe difesa! Forse che M. de Launay ( il governatore della prigione ndr) non aveva dei cannoni? Alla prima scarica gli assalitori sarebbero spariti! Domani si sarebbe andati all’Assemblea e si sarebbero sciolti gli Stati.. Il re si addormenta pacifico… All’improvviso è svegliato di soprassalto. Il gran maestro addetto al suo guardaroba, il duca de La Rochefoucauld-Liancourt, è là, al suo capezzale:
– Sire, la Bastiglia è presa.
– Presa? – chiede Luigi XVI, ancora mezzo addormentato.
– Si, sire, dal popolo. Il governatore è stato assassinato. Portano la sua testa, infilata su una picca, per tutta la città.
– Ma è una rivolta?
– No, sire, è una rivoluzione!

André Castelot :
1789-1795: Cronaca della Rivoluzione francese, Editore Mursia, Milano, 1989
pagg. 79