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Mese: Settembre 2008

L'unico maestro ( avanti un'altra )

L'unico maestro ( avanti un'altra )

Premetto che a me del grembiule e del ripristino dei voti non interessa granchè. Piuttosto trovo interessante, nella querelle,  il tipo di argomentazione a carico. In un caso, la pretesa di rendere i ragazzi  tutti uguali attraverso la divisa, dalla quale però sono escluse le scarpe e le calze, veri, inoppugnabili indicatori della presenza o meno di esponenti della classe agiata e  nell’altro, questa sventolata esigenza di chiarezza, nella pratica quotidiana,  già assolta dalle insegnanti che da sempre forniscono alle perplessità dei genitori, riferimenti numerici di tipo tradizionale da applicare ai vari ottimo, distinto etc.. Si trattasse solo di questo e delle fandonie sul merito, la si potrebbe pure lasciar fare, la decisionista Gelmini in vetta alle classifiche del gradimento con quell’aria  segaligna da sciuretta   –  che peraltro denota una certa somiglianza con  …lipstick on a pig,  come dire che dall’Alaska al bresciano, la grinta è grinta -  Il dato veramente inquietante di questa vicenda però, concerne il ripristino del maestro unico, una misura puramente  economica  ( vedi tagli ) mascherata  da intenti pedagogici. Insomma, quale sarebbe l’impero del male, il nemico da abbattere, la madre di tutti i disastri? Semplicemente il fatto che all’epoca dell’istituzione del tempo pieno e quindi della pluralità docente, l’esigenza di offrire ai ragazzi quanta più competenza specifica possibile, si combinava perfettamente con un’altra esigenza che oggi viene considerata una bestemmia :  quella occupazionale. Apriti cielo : tutto diventa, immediatamente stipendificio ovvero una triste eredità sessantottina . Di qui, quello che la stampa di supporto chiama ritorno all’antico e che tanto piacerebbe agl’italiani intervistati nei sondaggi. Dice infatti Gelmini che col maestro unico, il bimbo lascerebbe la mamma per ritrovare nella scuola, senza scossoni, analoga, unica, figura di riferimento. Ora tutti sanno che il bimbo oggi viene accudito  dalla mamma, dal papà, dai nonni e/o  dalla baby sitter al quale viene affidato quando i genitori sono al lavoro. E questo nel caso in cui non ci sono separazioni, altrimenti al tradizionale quadretto vanno aggiunti i fidanzati di mamma e papà ed eventuali altri fratellini di vario letto, con altri nonni, cuginetti e zii a piacere : questa è la famiglia italiana in molti casi. Manco nelle fiction d’importazione sudamericana, sopravvive l’idea  di rapporto esclusivo tra madre e figlio, così proficuo tra l’altro, da acquisire necessità  di un prosieguo all’esterno del contesto famigliare. E poi dove sta scritto che una pluralità di figure di riferimento scolastiche generi malessere ? Milioni di ragazzini sono usciti dal tempo pieno senza, per questo, dover passare dallo psichiatra. Cambia la visione del mondo, c’è poco da fare e dove, fino a pochi anni fa, il concetto di maestra / mamma, anche in ossequio alla professionalità dell’insegnante, oltre che alla necessità di una distinzione dei ruoli, veniva indicato come nefasto, oggi tranquillamente si parla di continuità. Come dire che per questi ragazzini non c’è via di scampo : mamme ovunque.

Sono i primi passi della rivoluzione conservatrice sognata e teorizzata nel centro destra più di 15 anni fa?….Il decollo della nuova Alitalia e la riforma della scuola saranno due banchi di prova per i decisionisti. La storia italiana è come la battaglia tra gli antichi e i moderni, dove falsamente si pensava che il bene fosse tutto nel nuovo e non anche nella tradizione.Gli italiani apprezzano il nuovo che sa recuperarla.

E questo è l’ultimo numero di Panorama, elogiante le imprese del governo e che rimprovera agl’italiani di non aver letto i fondamentali saggi di Schmitt sul decisionismo . Che il cielo perdoni l’intera redazione.

Nell’illustrazione Gelmini e Palin (senza la tradizionale cofana in testa)

Bocca di Rosa

Bocca di Rosa

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Chi reclamava certezza della pena, nel frattempo ha  trovato solo un moltiplicarsi di nuovi reati da inserire nel Codice, in rapida ed esponenziale crescita. Quanto alle certezze, basti la cronaca : da una parte si presidiano militarmente gli obiettivi sensibili, dall’altra si consente ad un folto gruppo di teppisti tra Napoli e Roma, ogni tipo di devastazione e sopruso, dimenticando di tutelare, chessò…quantomeno i viaggiatori muniti di biglietto. E pensare che fino a qualche tempo fa si parlava di riforma del Codice, di accorpamenti, di depenalizzazioni  di alleggerimento  dalla nota dei reati civili con ricadute nel penale, in una parola di  razionalizzazione che sarebbe andata a sostenere un più agevole governo della Giustizia e prodotto  un minor affollamento delle carceri tramite l’introduzione di pene alternative. Macchè, qui si parla di braccialetti e di nuova, apposita, edilizia. Più galera per tutti ! E’ il nuovo tormentone.  Ma il pensiero politico che sottende qualsiasi provvedimento del Presente Governo, è sempre lo stesso : far pagare il peso di ogni disagio sociale  alle vittime, l’anello debole, quello più facile da inquadrare, distruggendo, se possibile, quanto di sensato e di positivo è stato costruito in questi anni. E in materia di prostituzione – tanto per dire – la Comunità Europea aveva spesso elogiato il sistema di protezione delle vittime messo a punto, qui da noi. Permessi di soggiorno, una rete di assistenza contro le possibili ritorsioni delle organizzazioni malavitose, occasioni di reinsiremento sociale e lavorativo, offrivano più di una possibilità a chi voleva uscire dal racket. Lo chiamavano Modello Italiano lassù a Bruxelles. Invece siamo tornati all’orrore,  quello che, se esercitato in privato, è molto meno orrorifico. Ricacciare le prostitute entro il perimetro dell’illegalità, costringerle  al chiuso di appartamenti, significa solo renderle invisibili e pertanto più vulnerabili. E che dire dell’abolizione del reato di favoreggiamento, un gran regalo ai protettori che  vedranno così spianata la strada per far prosperare i loro affari, potendo, da qui a poco, affittare impunemente case per far esercitare le donne che risulteranno così, sempre più sfruttate. Ed ecco che ci ritroviamo catapultati  mezzo secolo indietro, in una marmellata immonda di clienti colpevoli e minori rimpatriati come pacchi postali   – Liberiamocene ! -.. Che ce ne importa di quello che trovano a casa loro? –  Mara Carfagna, dopo aver fatto pace col suo passato di vedette che seppur a diverso titolo, ha immolato il suo corpo  alla carriera, può accomodarsi in prima fila, insieme alla fitta schiera dei moralizzatori di questo Paese (riconoscibili dalla doppia, tripla e multipla morale) additando l’unica vera colpevole di tutta questa faccenda che –  non dimentichiamolo  – resta sempre Bocca di Rosa.

Silvia non è morta è ritornata dal canal

Silvia non è morta è ritornata dal canal


…e non si sa se questo sia un bene o un male, essendosi tirata dietro, nel suo risorgimento dalle acque, anche il consorte, incapace oramai di presenziare a qualsiasi evento senza illustrare i capisaldi della sua celebrata Mistica : Uno : (trapianti d’organi a parte), molte vite umane potrebbero essere salvate. Se ci fosse più sorveglianza da parte dei datori di lavoro e meno pigrizia negli operai.

Due : siamo vittime della degenerazione di governo e opposizione.

Tre : No al parcheggio sotterraneo del Pincio. Meglio il mare di lamiera che in superficie valorizza i monumenti, allieta l’esistenza dei cittadini romani, residenti e non, impedendo all’area di essere infine pedonalizzata ( io a Celentano farei fare una promenade  mentre spinge un passeggino gemellare tra marciapiedi microscopici, macchine parcheggiate e vicoli ..so beautiful ).

Nonostante tutto ciò, siamo lieti che Yuppi du, non un capolavoro della cinematografia, ma egualmente interessante nel panorama scarno, se non inesistente, dei musical italiani, sia stato restaurato e se ne sia realizzato un dvd da porre in commercio per la gioia degli estimatori . Ognuno pensa al proprio tornaconto è un altro  caposaldo della Mistica di cui sopra. E per una volta almeno, siamo d’accordo.

Ma veniamo al dunque :

Sull’ Avenida Paulista a San Paolo del Brasile, due amici s’incontrano, tentano una conversazione che però è continuamente interrotta dai trilli dei rispettivi  telefonini. Così decidono che l’unico modo per avere uno scambio reale è telefonarsi a loro volta. Parleranno di etica, di vita, di amicizia, incuranti del traffico e del via vai di persone che li circonda. Comincia così Venezia 2008, con questo corto emblematicamente titolato Do visivel ao invisivel , del centenario maestro ( ma che spirito, che tocco  e che verve..) Manoel De Oliveira. Metafora della attuale difficoltà a comunicare se non attraverso mezzi  ma anche la sintesi  di quel che cerchiamo nel cinema :  il racconto di ciò che ( ancora) non si vede.

 

Elaborato il tragitto di questa Mostra e, per sovrapprezzo, attraversato da polemiche spesso ridicolmente gonfiate da una copertura mediatica che, in quanto spropositata, bada sempre meno ai contenuti, offrendo più rilievo alla marginalità.

Marginalità data non solo dai muri del pianto di Ippoliti o dagli abbigliamenti informali di certi critici o dal menù servito per colazione a Brad Pitt ma anche dalle dispute blockbuster – cinefilia ( Più Risi meno Antonioni si è dovuto leggere in un editoriale di cui francamente non si sentiva la necessità) ovvero dalla imperdibile polemica se sia o meno servita la contestazione

Come se tenersi un regolamento di epoca fascista che consentiva ai governi esteri, tramite le loro ambasciate, di avere pesante voce in capitolo ( vedi alla voce censura) nella selezione internazionale, potesse giovare all’Arte.

Tuttavia – e questo è vero – le presenze sono calate, colpa della crisi economica ( di cui poco si  parla ) più che del programma definito (a torto ) anemico e del fatto che se Venezia è una città costosa per le Major hollywoodiane, come pure precisato da Variety in apposito articolo, figuriamoci per i ragazzini con lo zaino in spalla e i di loro parenti.

Ciò detto, Müller, a mio sommesso parere,  ha allestito una mostra significativa dell’attuale offerta cinematografica di qualità nel pianeta, compiendo slalom tra i diktat di Toronto, lo sciopero degli sceneggiatori che ha ovviamente avuto ricadute sui tempi di lavorazione e consegna , la censura cinese che sdogana solo film in cui tutto va bene e chissà quale altra diavoleria o capriccio del settore.

E’ giusto che una mostra sia la più variegata – o schizofrenica, fa lo stesso –  internazionale, eclettica, sperimentale,  possibile, che offra una panoramica sui generi, senza ridicole –  in epoca di ibridazione, poi.. – pretese gerarchiche,  che offra al pubblico la possibilità dell’incontro –  che diventa sempre più scontro – con la realtà, con il lirismo, con l’immaginario. Sotto questo aspetto  il talento esplorativo – nonostante la riconferma che avrebbe suggerito in chiunque, un minimo di surplace – della catena di comando Müller and co ha dato i suoi risultati.


Sognando un’altra Cannes, la Mostra ha schierato in concorso ben quattro film italiani.  Scelta giustificata date le affermazioni primaverili da mettere a profitto che però non ha sortito l’effetto sperato, ne’ si può considerare la coppa Volpi a Silvio Orlando un risultato soddisfacente. 

L’impeccabile,  quanto a gusti, Wim Wenders, lo ha pur spiegato : peccato che il regolamento impedisca di premiare  il miglior attore se il film in cui recita è stato già insignitondel Leone d’oro.

Come dire : avremmo premiato più volentieri Rourke –  notevolissimo peraltro nell’ interpretazione del wrestler  Randy “The Ram” Robinson.

Non che i nostri film fossero  brutti , intendiamoci, ma le grandi aspettative della vigilia e soprattutto il confronto – in alcuni casi umiliante – con la cinematografia di altri paesi,  hanno orientato le scelte dei giurati su opere di differente spessore.

Poco male. Ne’ per questo sembra giustificata la recita dei requiem – dopo l’alleluja di Cannes sarebbe in ogni caso troppo tempestiva – già avviata dai giornali in salvezza dell’anima del defunto cinema italiano.

In definitiva : Opzetek ha sperimentato ( ben venga, a prescindere) un differente registro rispetto al consueto e anche se il suo film  ha un che di incompiuto ( bravi gli attori, toccante la storia ma..) è già  a Toronto e sarà al Moma di New York in autunno con una retrospettiva.

Corsicato è tornato tra noi con un film innovativo, vivace, che riesce finanche ad alleggerire il gravoso testo di Von Kleist già trasposto da Rohmer anni fa,  e anche se il richiamo ad Almodovar è pura invenzione ( ah la critica, oramai è diventata un coretto ben intonato ) ha messo in circolazione un’opera dignitosa e di discreta qualità.

E’ possibile dunque che il pubblico riservi  a questi film un trattamento differente, pareggiando così i conti con il giudizio non sempre generoso degli addetti.


Ma il punto non è questo, la difficoltà del nostro cinema, probabilmente  risiede nella cifra narrativa, troppo chiusa in ambiti angusti, di coppia, familiari, privati, troppo incentrata sulla psicologia dei personaggi, laddove il massimo della contestualizzazione è dato da una lei che lavora in un call center.

Anche Jerichow di Christian Petzold è la storia di un triangolo classico, anche Nuit de chien di Werner Schroeter, ruota su di un ossessione amorosa, anche Rachel getting married di Demme  racconta del ritorno a casa di una problem child la cui presenza mette in moto nella sua famiglia, dinamiche infami .

 

Ma intorno ad ognuna di queste storie si muovono  universi interi dei quali la narrazione puntualmente si appropria e che ci restituisce, non meno indispensabili delle singole vicende

Sono lì. Non vengono lasciati fuori della porta di casa. Persino Calopresti ci ha raccontato di aver costruito il suo documentario sulla Thyssen ( ahimè brutto ) sul dolore, un sentimento privato che per diventare collettivo e quindi motore di cambiamento, abbisogna di un’ impalcatura robusta : la presa di coscienza.

Ma quanto del necessario senso civile viene sottratto allo scopo principale : informare allineando i fatti. Che, soprattutto in questo caso, sono un cazzotto nello stomaco e annichiliscono assai più di qualunque altro racconto. Torneremo a riparlarne.

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